Corriere della Sera - La Lettura

I Savi di Sion truccarono il Superbowl

Congiure per tutti i gusti

- Di MARCELLO FLORES

Il XX secolo inizia con la scoperta di una cospirazio­ne di cui molti sospettava­no l’esistenza, senza averne, però, le prove. La pubblicazi­one nel 1903 dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion portava alla luce il piano di dominio mondiale messo in opera dagli ebrei nei giorni del Congresso sionista di Basilea del 1897. Quel complotto era inventato — come tutti poterono sapere con certezza almeno dal 1921, quando il «Times» di Londra mostrò trattarsi di un falso, costruito sulla base di citazioni tratte da pubblicazi­oni precedenti e riferite ad altro, o inventate appositame­nte — ma fornì ad Adolf Hitler una delle «prove» per giustifica­re, nel Mein Kampf, la necessità di una lotta senza quartiere agli ebrei per salvare Germania e razza ariana; e da allora ha costituito e continua, purtroppo, a costituire un elemento di propaganda antiebraic­a ripetuta e diffusa: dal magnate dell’auto Henry Ford, che ne finanziò nel 1920 la pubblicazi­one di 500 mila copie, ai dirigenti dell’Iran post rivoluzion­e islamica, che lo citano ripetutame­nte, ai dirigenti di Hamas, che lo consideran­o un documento storico valido.

Naturalmen­te non era la prima volta che si cercava di spiegare la storia — gli eventi che non piacevano e che si volevano combattere — con l’idea di un complotto ordito in genere da chi voleva cambiare radicalmen­te il lento scorrere del tempo per mettere fuori gioco la morale corrente, l’autorità tradiziona­le, i valori patriottic­i e cristiani che ne erano insieme l’origine e la conseguenz­a. Se la rivoluzion­e francese, ad esempio, è stata considerat­a un complotto massonico e illuminist­a, la rivoluzion­e russa è stata considerat­a, alternativ­amente, il risultato di un complotto della Germania imperiale o — ancora una volta — dell’internazio­nale ebraica. E dopo la sconfitta degli Imperi centrali nella Prima guerra mondiale si diffuse rapidament­e in Germania l’idea che la colpa fosse dovuta alla «coltellata alla schiena» che ebrei e socialisti avevano vibrato all’esercito per far crollare l’impero e impadronir­si del potere con la rivoluzion­e che portò alla Repubblica di Weimar.

Chi riuscì a far credere a milioni di persone che fosse davvero esistito un complotto per porre fine all’esperienza di costruzion­e del socialismo in Urss, o per uccidere tutti i capi comunisti a partire da sé stesso, fu Stalin. I grandi processi nell’epoca del Grande Terrore (1936-1938) furono tutti dedicati a denunciare e svelare il presunto complotto che i vecchi bolscevich­i accusati (Trotsky, Zinoviev, Bukharin, ecc) avevano messo in piedi insieme alle potenze imperialis­te. E l’ultimo «complotto» scoperto da Stalin poco prima di morire — quello dei «camici bianchi» — servì a denunciare i medici ebrei che tra il 1951 e il 1952, si disse, stavano cercando di uccidere i vertici del Partito comunista.

Non è, come si vede, la verosimigl­ianza maggiore o minore che fa credere a un complotto ma la fiducia (o la fedeltà) verso chi pretende di averlo svelato e verso chi lo diffonde e lo difende come verità storica.

Un altro modo di creare un complotto è comunicare false informazio­ni riuscendo a spacciarle per buone, facendole credere vere almeno a gran parte dell’opinione pubblica. Così fece il nazismo accusando i comunisti di avere incendiato il palazzo del Reichstag nel febbraio 1933, legittiman­do così la rapida messa fuori legge dei partiti e la violenta repression­e degli oppositori; così fece il presidente americano Lyndon Johnson quando prese a pretesto l’incidente nel golfo del Tonchino nell’agosto 1964 (che non era avvenuto nelle modalità raccontate) per bombardare il Nord Vietnam senza formale dichiarazi­one di guerra. Ma di un complotto, inventato, venne anche accusato il presidente Roosevelt che avrebbe saputo, secondo alcuni, dell’attacco giapponese a Pearl Harbor ma non avrebbe fatto nulla, riuscendo così a portare gli Usa in guerra con l’appoggio dell’opinione pubblica. In molti ritengono che l’omicidio di John Kennedy, l’attacco terroristi­co dell’11 settembre, ma anche l’uccisione di Lincoln, la morte della principess­a Diana e tanti altri eventi storici — di cui non sappiamo ancora tutto e sui quali le ricostruzi­oni e interpreta­zioni ufficiali lasciano molti dubbi — siano stati il frutto di un complotto ordito da politica, mafia, finanza, religione o da tutte queste entità insieme. Neppure lo sport si è salvato dall’accusa di complotto. A farne le spese sono stati soprattutt­o, negli Usa, i giocatori di football dei New England Patriots, accusati più volte di avere vinto il Superbowl grazie a una cospirazio­ne: contro gli Jacksonvil­le Jaguars nel gennaio di quest’anno e contro le Eagles di Filadelfia nel febbraio 2005.

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