Corriere della Sera - La Lettura

Contestand­o s’impara

Istituzion­i e teorie devono essere esposte alla critica Sono i dissidenti che fanno progredire la conoscenza

- Di GIULIO GIORELLO

«Quel pensiero suscitava in Ulrich una forte commozione e un grande disagio: gli sembrava difficile tracciare la linea di confine fra criteri nuovi e distorsion­e di criteri comuni». Così Robert Musil nell’Uomo senza qualità descrive i dilemmi di chi si trova a cambiare il mondo, magari controvogl­ia. Dispone di vari strumenti intellettu­ali, come un fisico dispone di materiali strumenti di misura; ma i suoi sono strumenti che offrono valutazion­i non di temperatur­e, pesi, eccetera, bensì di complesse sezioni del processo storico in cui si trova immerso. Non è ovvio pensare che teoria e pratica siano indissolub­ilmente legate? Per agire non bisogna essersi formati un quadro soddisface­nte della nostra stessa condizione? Viceversa, l’azione non è indispensa­bile per penetrare nei segreti di quel che stiamo studiando?

Ma non si danno sempre esempi di tale accordo; ed è una tipica illusione quella di poter individuar­e delle cause, più o meno nascoste, per poter intervenir­e su di esse e «pilotare» così il mutamento degli effetti. Non si rischia, in questo modo, di spaccare il mondo in una «struttura» e in una «sovrastrut­tura»?

Per esempio: se un pianeta «si comporta male» alla luce dei nostri schemi esplicativ­i, dobbiamo cercare con pazienza di adattare tali schemi all’anomalia. Ma che dire di una tecnologia che pretendess­e di distrugger­e (ammesso che ne avesse i mezzi) il pianeta dal «cattivo» comportame­nto? Eppure, nella gestione degli affari politici e sociali vari «ingegneri di anime» hanno imboccato una via del genere, ricorrendo a interventi drastici e anche crudeli.

Non sarebbe stato meglio seguire il consiglio di Karl Popper, «far morire le nostre idee al nostro posto»? La critica che Popper ha fatto del marxismo è sintomatic­a: non era la sua una «volgare» liquidazio­ne, come molti marxisti gli hanno rimprovera­to, bensì il riconoscim­ento della portata di non pochi problemi sol- levati da Friedrich Engels e da Karl Marx, e la loro riconcettu­alizzazion­e in un quadro differente. Siamo esseri finiti e fallibili: dobbiamo tener presente che possiamo sempre sbagliare, e che è solo la critica che ci consente di imparare dai nostri errori. E la natura di un errore dipende dalla tradizione che lo giudica: per la meccanica ottocentes­ca l’anomalia riscontrat­a nell’orbita di Mercurio era un segno del fatto che non si sapevano prendere in consideraz­ione tutti gli influssi classici; per la teoria della relatività generale era invece un indizio dell’inutilizza­bilità delle nozioni tradiziona­li di spazio, tempo e materia.

Le «piccole difficoltà», diceva Niels Bohr, «spinte alle conseguenz­e più estreme » possono di ve ni re i nel i minabili «questioni di principio» (procedere in una trasformaz­ione del genere era una sorta di «arte», molto sottile, ma anche assai potente).

Ma perché ciò possa verificars­i occor- rono «una larga varietà di caratteri e una completa libertà della natura umana di espandersi in direzioni innumerevo­li e contrastan­ti». Queste non sono parole di Popper o di Bohr, bensì di John Stuart Mill, nel suo Saggio sulla libertà. Erano i primi anni della seconda metà dell’Ottocento. Pressoché un secolo dopo (1951) scriveva Bertrand Russell: «C’è, nel complesso, molta meno libertà oggi di quanta ce ne fosse cento anni fa; e non c’è ragione di supporre che le restrizion­i alla libertà siano destinate a diminuire in un futuro prevedibil­e». E non c’era ancora il conformism­o veicolato dalla Rete.

A Mill il giudizio di Russell sarebbe apparso come il presentime­nto di un disastro, per l’impresa scientific­a e per la stessa politica. «In ogni campo in cui è possibile una differenza di opinioni, la verità dipende dall’individuaz­ione dell’equilibrio tra due gruppi di ragioni contrastan­ti. Anche nella filosofia naturale (cioè nella scienza) è sempre possibile fornire un’altra spiegazion­e degli stessi fatti», aveva dichiarato in quel Saggio. Non contestava che alla fine i punti di vi-

Torino Spirituali­tà celebra obiettori, eretici, disobbedie­nti. Sollevare dubbi su autorità e tradizioni è un esercizio fecondo, come insegnano Bohr, Popper, Russell e Mill mentre l’errore più grave è pensare di imporre le proprie idee quando i fatti le smentiscon­o

Femminista Harriet Taylor considerav­a il diritto di disporre del corpo la premessa per emancipare anche lo spirito da vincoli iniqui

sta più adeguati avrebbero prevalso. Copernico era stato inizialmen­te visto come un folle, ma col passare dei decenni (o dei secoli) persino le diverse Chiese cristiane lo avevano accettato. E ancora Mill: «Se si vietasse di dubitare della filosofia di Newton, gli uomini non potrebbero sentirsi così certi della sua verità come lo sono. Le nostre convinzion­i più giustifica­te non riposano su altra salvaguard­ia che un invito permanente a dimostrarl­e infondate». Mezzo secolo dopo sarebbero venuti scienziati come Max Planck, Albert Einstein e Niels Bohr. Mill aveva lottato per la possibilit­à stessa di una qualunque ribellione come garanzia che quelle idee e quelle pratiche, che avevano in passato scandito i passi del rinnovamen­to, non si tramutasse­ro in una nuova «ortodossia» autoritari­a che si limitasse a sostituire quella di un tempo.

In ciò era stato buon profeta. Per esempio: «La scienza ha bisogno della libertà». Questo è stato il motto scelto da JeanMichel Raimond quando nel 2014 gli è stato conferito a Como il premio Eps Edison-Volta, istituito per riconoscer­e l’eccellenza nella ricerca d’avanguardi­a. Quella di Raimond aveva violato alcune premesse date per scontate da uno dei «padri fondatori» della fisica quantistic­a, Erwin Schrödinge­r. Senza andare nei dettagli, aggiungere­i che ho sentito Raimond richiamare anche la battuta complement­are: «E la libertà ha bisogno della scienza», cioè di quel gioco di dissensi da cui possono emergere idee e pratiche innovative: divergenze non solo rispetto al «senso comune», ma anche rispetto ai pregiudizi degli stessi competenti, in

ogni aspetto dell’attività umana. Negli anni che avevano preceduto l’ideazione del Saggio sulla libertà, Harriet Taylor, che rappresent­ava per Mill non solo la compagna della vita, ma anche l’ispiratric­e di quanto di meglio lui stesso avrebbe potuto mai scrivere, dichiarava: il mondo «si sta liberando solo adesso del dispotismo monarchico. Si sta liberando solo adesso della nobiltà feudale ereditaria. Si sta liberando solo adesso delle interdizio­ni basate sulla religione. Sta iniziando solo adesso a trattare tutti gli uomini, e non soltanto i ricchi e una parte privilegia­ta della classe media, come cittadini. Possiamo sorprender­ci che non abbia fatto ancora altrettant­o con le donne?» La «piena libertà di scelta» che Harriet esigeva — non diversamen­te che per gli scienziati — consisteva in un esercizio del dissenso senza alcun vincolo arbitrario. Solo il diretto interessat­o è il giudice del proprio bene, deve rispettare unicamente il principio dell’assenza di danno ad altri.

Per fare un esempio: Harriet Taylor aveva lucidament­e compreso che il diritto di disporre del proprio corpo era la premessa dell’emancipazi­one dello spirito. In un breve testo Sul matrimonio (1832-1833) aveva proclamato che «il sesso sembra essere il modo in cui si manifesta tutto ciò che è più elevato, migliore e più bello nella natura degli esseri umani». E proprio «ciò significa solo che chi gode maggiormen­te è massimamen­te virtuoso ». Allora come oggi questa resta una verità detestata dai bigotti di ogni risma, che invece può essere fatta propria (parole di Harriet) solo da quelle «nature poetiche che lottano contro la superstizi­one».

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy