Corriere della Sera - La Lettura
L’eterna migrazione
Intervista Il professor Walter Pohl al Festival del Medioevo di Gubbio: anche i barbari erano popoli in movimento, ma erano armati e puntavano al potere
Walter Pohl è tra i maggiori e s per t i del l e i nvas i oni barbariche e sarà tra i protagonisti del quarto Fe s t i v a l d e l Med i o e vo (Gubbio, Perugia, 26-30 settembre), che avrà come tema proprio I Barbari.
Che cosa furono le invasioni barbariche?
«Le migrazioni di oggi vengono spesso paragonate a quelle dei secoli tra Antichità e Medioevo, quando Goti, Vandali o Longobardi penetrarono nell’Impero romano. Comunque, un elemento importante le distingue nettamente: molti di questi “barbari” entrarono con la forza delle armi; anzi, in molti casi si trattò di guerrieri specializzati, come tali anche utilizzati dalle autorità imperiali, chiamati spesso anche a combattere al fianco dei Romani nei conflitti interni, pressoché continui in alcuni momenti particolari, o per difendere l’impero contro altri gruppi di barbari. È chiaro che spesso combatterono per i propri interessi, distaccandosi man mano dall’autorità imperiale. Così, presero il potere in Italia, Gallia e altre province d’Occidente. L’Impero si stava già sgretolando quando, nel 476, un comandante di origine barbarica, Odoacre, destituì l’ultimo monarca della parte occidentale, Romolo Augustolo, nel corso di un golpe che avvenne quasi senza alcun clamore».
Oggi si parla più di migrazioni che di invasioni.
«Meglio usare il termine migrazioni piuttosto che invasioni, ma furono migrazioni armate: perché i barbari seguirono la logica di un sistema militare, quello romano, non più capace di soddisfare da solo il suo smisurato bisogno di soldati. Un’invasione fu quella dei Longobardi in Italia nel 568; ma fu un ritorno, avvenuto dopo che nel 552 avevano servito come alleati dei Romani dell’Impero d’Oriente nella riconquista della penisola. Migrazioni, insomma, di guerrieri professionali, i quali s’imposero come nuovi signori nei Paesi dove stabilirono i loro regni — un processo del tutto diverso dall’arrivo dei poveri migranti di oggi, gran parte dei quali, se ci riescono, s’inseriscono nelle nostre società dal basso, non dall’alto».
Queste invasioni, o meglio migrazioni, si esaurirono all’epoca dell’Impero romano o andarono oltre?
«Migrazioni da est e nord verso il Mediterraneo ci sono sempre state da quando disponiamo di fonti scritte, e l’Impero romano s’appoggiò su milioni di barbari schiavi o semiliberi per i lavori più onerosi. Invasioni avvenivano periodicamente, più o meno intense. Nel V secolo c’è una successione di migrazioni diverse: i Visigoti di Alarico cercano il comando che però l’imperatore rifiuta, finché essi saccheggiano Roma nel 410. Gli Unni di Attila penetrano in Italia solo per far razzia, nel 452. E gli Ostrogoti di Teodorico vengono utilizzati dall’imperatore di Costantinopoli per sostituire Odoacre in Italia. L’invasione più violenta e distruttiva del VI secolo, paradossalmente, fu quella dei Romani dell’Impero d’Oriente nel corso della guerra greco-gotica, che inflisse danni gravissimi all’Italia. Poi, dai Longobardi del 568 e due secoli dopo con Carlo Magno, iniziano secoli di interventi in Italia da parte dell’impero, anch’esso “romano”, dei Franchi e dei Tedeschi. Senza dimenticare gli Ungari, bloccati nella battaglia di Lechfeld da Ottone I nel 955».
Chi è il barbaro e per chi è tale?
«Il barbaro è, nel senso greco, chi parla in modo incomprensibile, quindi è un termine sprezzante. Per i Greci anche i Romani inizialmente erano barbari. “Bar- baro” indica quindi una distinzione culturale, un giudizio morale, un senso di superiorità, un complesso di pregiudizi, una paura soppressa, forse anche un’ammirazione segreta. Si usa più nel plurale per le “orde” di barbari, mentre nei contatti personali si distingue tra barbari cattivi e meno cattivi, forse persino buoni. Per i cristiani, i barbari sono anche peggio: sono pagani, ma, come tali, possono raggiungere la salvezza attraverso la conversione. Le immagini dei barbari antichi, però, restano in sostanza le stesse nel Medioevo, e in gran parte fino al giorno di oggi: un forte chiaroscuro per scacciare i dubbi tra chi sono i nostri e chi gli altri. Anche noi studiosi, comunque, parliamo di “barbari”, in mancanza di un’altra parola che definisca la gran varietà dei non Romani oltre le frontiere dell’impero — sperando sempre di evitare i pregiudizi che questo termine porta con sé».
Servono i muri a protezione di una supposta civiltà?
«L’impero, paradossalmente, fu un posto molto più sicuro quando le città non avevano mura e le frontiere non erano fortificate: dunque, fino al III secolo d.C. Dopo, vennero costruite mura intorno alle città, come quelle Aureliane a Roma; oppure il limes lungo le frontiere. Comunque, non sappiamo bene se questa nuova serie di opere difensive, la militarizzazione e i controlli ai confini crearono più sicurezza. Molti storici credono che il limes avesse un valore piuttosto simbolico, e servisse soprattutto a controllare la popolazione dell’impero, perché esso non poteva, nei fatti, impedire seriamente che non avvenissero migrazioni lungo una frontiera così estesa».
E pensando a oggi?
«I muri sono segni di potere, ma possono anche indicare una debolezza della civiltà che se ne serve».