Corriere della Sera - La Lettura
Il robot aiuta gli anziani soli Ma il suo affetto è un inganno
L’analisi La macchina, anche la più avanzata, non potrà mai provare sentimenti. Eppure questa capacità può fin da ora essere simulata, con il rischio di sedurre e illudere chi interagisce con gli androidi. La Commissione Europea si è impegnata a mettere a
Perché piangi, Gloria? Robbie era solo una macchina. «Non era nessuna macchina!» insorge Gloria. «Era una persona come te e me. Ed era mio amico. Oh, mamma, io voglio Robbie». Così lo scrittore Isaac Asimov dipinge un quadro che per ora — quasi trent’anni più tardi rispetto al momento in cui la storia è ambientata — resta ancora nel mondo della fantascienza. Il rapporto affettivo, reciproco, tra una bambina ed un robot e la disperazione della piccola quando l’amico le viene sottratto. Un rapporto cui la madre si oppone, a causa di quel timore ancestrale dell’uomo di fronte alla macchina, di perdere il controllo. Ma a cui il padre risponde con l’incondizionata fiducia nella tecnologia, che pure, per altri versi, caratterizza la società contemporanea: «Robbie è stato costruito per essere il compagno di giochi di un bambino. Non può fare a meno di essere fedele, affettuoso, gentile».
Alla capacità della macchina di provare affetto, si contrappone la sua natura deterministica che, in una prospettiva kantiana, la relega tra gli oggetti, ciò che non costituisce un fine in sé. Eppure la reazione emotiva di Gloria trascende ogni distinzione filosofica: per lei Robbie è vero come un bambino in carne ed ossa. Del resto l’uomo è da sempre capace di antropomorfizzare la realtà che lo circonda, investendo in modo emotivo nel rapportarsi a ciò che di inanimato lo circonda. Per quanto tempo Robbie resterà relegato nel mondo letterario, non ci è davvero dato saperlo.
La ricerca tecnologica avanza di gran passo e con essa lo sviluppo di macchine antropomorfe o, più genericamente, robot companion, con le fattezze più varie, chiamati a popolare case e città. Se da un lato è assai improbabile che un «cervello positronico» come quello concepito da Asimov — capace di replicare quello umano, riproponendone coscienza, emozione, empatia, capacità di nutrire affetto — venga mai costruito, già oggi molte emozioni e comportamenti possono essere simulati. La macchina non potrà davvero provare sentimenti, dimostrare simpatia e neppure comprendere che di fronte a sé sta un uomo, altro da lei, con cui interagisce; tantomeno essere consapevole della propria esistenza. Eppure tutto questo può già, fin d’ora, essere simulato, fornendo un’immagine quanto mai realistica, capace di sedurre ed ingannare.
Intelligenza artificiale e finzione sono del resto legate già a partire dalla definizione che della prima è stata offerta da Alan Turing nel 1950. Il matematico, confrontandosi con la difficoltà di precisare le condizioni a cui una macchina possa essere definita intelligente, ha concepito un test incentrato sulla capacità di questa di ingannare un certo numero di esseri umani che con essa interagissero conversando, se pure in modo mediato. Quando il 7 giugno 2014 l’esperimento condotto alla Royal Society di Londra è stato superato, il programma Eugene Goostman ha indotto il 33% degli esaminatori umani a ritenere di interagire con un bambino di 13 anni ucraino invece che con un software. In Giappone numerosi studi, che coinvolgono bambini di età prescolare, sono volti ad identificare quali elementi nel funzionamento della macchina siano in grado di indurre l’essere umano in errore, attribuendo al robot caratteristiche che non gli appartengono, intelligenza, autonomia, emotività. Identificati i parametri e le condizioni, queste vengono perfezionate, affinché i prototipi successivi possano essere ancora più verosimili.
Jibo wants to be your new best friend («Jibo vuole essere il tuo nuovo migliore amico»). La pubblicità dell’ultimo prodotto del Media Lab del Mit di Boston, presenta un social robot dalle movenze irresistibili, progettato con la collaborazione di Pixar. Jibo è in grado di interagire con i bambini, aiutarli nei compiti, intrattenerli, raccontare storie diventando presto il compagno di giochi prediletto, proprio come Robbie. È però anche capace di suggerire al padre quali titoli azionari acquistare, e di interagire con gli anziani per prevenire la solitudine. Jibo promette di essere il motore allegro delle interazioni sociali in casa.
Magnifiche sorti e progressive, o scenari inquietanti. La linea è sottile e muove parallela a quella tra un design efficace e lo sviluppo di un’applicazione utile da un lato, e il rischio di disumanizzazione delle interazioni sociali dall’altro. L’uomo è — nelle parole di Alasdair MacIntyre — un dependent rational animal. «Animale razionale dipendente » e quindi destinato a vivere in una relazione con l’altro che è scambio reale, non simulato e, per questo, significativo. La tecnologia non può sostituirlo. Neppure l’intelligenza artificiale o la robotica più avanzata. Può tuttavia simularlo e crearne l’apparenza. Questo costituisce una tentazione senza precedenti per la società contemporanea che spesso rifugge il confronto e lo scambio. Perché investire in un rapporto umano, talvolta complesso e doloroso, fonte di gioie ma anche di delusioni, quando posso programmare Robbie per essere sempre fedele, affettuoso, gentile? Perché ritagliare tempo in una giornata frenetica per leggere una storia a mio figlio se Jibo può farlo per me, con movenze degne del miglior cartone animato? Perché non risolvere il problema del progressivo invecchiamento della popolazione e dell’isolamento che spesso porta con sé assicurando «un robot in ogni casa», come pronosticato ormai un decennio fa da Bill Gates?
Le possibilità della robotica umanoide e dell’intelligenza artificiale sono davvero straordinarie e dischiudono potenzialità che non devono essere aprioristicamente temute. Tuttavia, lo sviluppo tecnologico non può portare con sé un costo sociale inaccettabile, la disumanizzazione e il depauperamento delle relazioni umane. La società tutta, ed ancor più chi è chiamato a governarla, è responsabile di analizzare, comprendere e indirizzare il cambiamento. Questo è quanto la Commissione Europea si è impegnata a fare a partire dalla propria Comunicazione del 25 aprile, in cui ha definito l’«approccio europeo all’intelligenza artificiale», incentrandolo, oltre che sul rilancio degli investimenti, sia pubblici sia privati, sullo sviluppo di un quadro etico e normativo coerente, definito a partire dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Proprio l’attenzione alle numerose questioni etiche poste dalla tecnologia e il desiderio di offrire la più ampia tutela all’individuo caratterizzano la strategia che l’Europa intende adottare, per distinguersi a livello globale.
La competizione non si gioca, infatti, solo sul piano dell’innovazione tecnologica ma anche sulla sostenibilità sociale della stessa. La robotica e l’intelligenza artificiale europea vogliono, anche in questo, essere un faro per il mondo, in cui l’uomo e le sue esigenze vengono poste al centro, senza inganno. A tal fine è stato istituito anche uno High level expert group di studiosi, imprenditori, esponenti di diverse organizzazioni rappresentative della società civile per discutere le implicazioni etiche di robotica ed intelligenza artificiale. I lavori sono iniziati lo scorso giugno ed ogni valutazione è dunque oggi impossibile. Il percorso è solo iniziato. La direzione è, tuttavia, quella giusta: assicurare che l’uomo tecnologico sia umano e sempre più umano.