Corriere della Sera - La Lettura

20/4/99 ore 11: 19 5/11/17 ore 11: 20 Stragi in America

L’orologio della storia Ventiquatt­r’ore di eventi a partire dal 1900: che cos’è successo nel mondo

- Di MARILISA PALUMBO

Eric Harris e Dylan Klebold, 18 e 17 anni, vengono da due famiglie borghesi, vanno bene a scuola , sono molto amici, e da un po’ di tempo sono ossessiona­ti dal videogioco genere «sparatutto», quello dove vince chi uccide di più. Nel gennaio del 1998 forzano un furgoncino che trasporta apparecchi elettronic­i: sono condannati a qualche ora di servizi sociali e a frequentar­e corsi di gestione della rabbia. Da qualche tempo i loro temi hanno accenti violenti, nei loro profili online si leggono slogan nazisti, e sono entrati a far parte della «mafia degli impermeabi­li», un gruppo che vive la fascinazio­ne per la cultura gotica, tra musica funerea e armadi pieni di vestiti neri, come gli impermeabi­li che indossano quel 20 aprile 1999.

Ore 11:19. Eric e Dylan sono stati a giocare a bowling, e ora si aggirano sulla collinetta davanti al liceo di Columbine di Littleton, 40 mila abitanti a 25 chilometri da Denver, Colorado. Uno dei due apre la giacca, tira fuori degli ordigni amatoriali e li lancia verso l’ingresso della scuola. L’altro punta una semiautoma­tica alla testa di una compagna: Rachel, 17 anni, è la prima vittima della mattanza, che prosegue nella caffetteri­a della scuola, dove le immagini delle telecamere mostrano gli studenti che scappano e i due che ridono «come in preda a un orgasmo», dirà un testimone. Ce l’hanno soprattutt­o con gli atleti della scuola, che li avrebbero bullizzati, ma la loro furia è cieca. Quando arrivano le forze dell’ordine, il rumore degli allarmi antincendi­o è così forte che si fatica a sentire da dove vengano gli spari. La carneficin­a, che intanto si è spostata nella biblioteca, finisce alle 12:08. Eric e Dylan si sparano un colpo in testa: i morti sono 12 studenti (più i killer) e un insegnante, 23 feriti gravi, ma ci vorranno giorni perché la polizia trovi e disinnesch­i le 30 bombole di propano che i due hanno nascosto sperando di far saltare in aria l’intera scuola.

Devin Patrick Kelley ha 26 anni, una storia di turbe mentali, sevizie sugli animali, violenza domestica. Nel 2012 è condannato per aver picchiato e minacciato con una pistola l’allora moglie Tessa, e colpito il figliastro, ancora in fasce, così forte da rompergli il cranio. L’Aeronautic­a, dove presta servizio dal 2009, lo congeda con disonore. Eppure ha una pistola, anzi quattro, nell’auto quando il 5 novembre 2017 guida verso la chiesa battista di Sutherland Springs, comunità di 600 anime, quasi tutte dedite all’alleva-

mento di bestiame, sulla U.S. Highway 87, circa 34 chilometri a est del centro di San Antonio, Texas. È lì che va a messa la famiglia della sua seconda ex consorte, Danielle.

Ore 11:20. Kelley, vestito nero, volto coperto e giubbotto antiproiet­tile, entra nella chiesa e comincia a scaricare i colpi del suo fucile d’assalto. Ventisei morti, 20 feriti. I video di sicurezza raccontano sette lunghissim­i minuti di terrore, con Devin che si aggira tra le file cercando i bambini che le mamme proteggono raggomitol­andosi sotto i banchi. Punta tutte le sue vittime alla testa, come in una gelida esecuzione. Tra i morti la nonna di Danielle, e un’intera famiglia, gli Holcombes, compreso il piccolo Noah di un anno. Le vittime con meno di diciotto anni sono otto, c’è anche la quattordic­enne figlia del pastore, Annabelle. Dopo la mattanza Kelley esce dalla chiesa e si dirige verso l’auto lasciata con il motore acceso quando un passante, a sua volta armato, lo ferisce con due colpi di arma da fuoco. A quel punto entra in macchina e si dà alla fuga, poi si uccide prima di essere raggiunto. 11:19, 20 aprile 1999; 11:20, 5 novembre 2017. Nell’orologio della storia 18 anni ma un solo minuto separano la strage impressa nella memoria collettiva, non solo americana, quella ripresa in documentar­i e film pluripremi­ati, da Bowling a Columbine al capolavoro Elephant, da quella che già nessuno ricorda più. E che pure ha scalzato la prima dalla terribile classifica delle peggiori dieci «sparatorie di massa» della storia americana. Allora quelle tredici croci, per di più in una scuola, sembrarono inaudite, ma poi sono arrivati Virginia Tech, Sandy Hook, Las Vegas, Orlando...

Date e orari si sovrappong­ono in questa mattanza senza fine — il 5 novembre è anche l’anniversar­io dell’attentato nella base militare di Fort Hood, Texas, 2009: allora fu Nidal Hassan, ufficiale influenzat­o dal qaedismo, a colpire: 13 morti —, e così sfumano tra ideologia e turbe mentali le motivazion­i dei terroristi. Nessun luogo è più inviolabil­e, non le classi, non le chiese, e dietro ogni strage ci sono allarmi inascoltat­i, controlli falli- ti (Kelley era riuscito a comprare armi perché la sua condanna per violenza domestica non era stata inserita nel database nazionale). E profili «già visti»: quelli dei ragazzi emarginati, chiusi in una bolla che nessuno riesce a penetrare prima che sia troppo tardi, quello dei violenti in famiglia (il 33% degli sparatori ha una storia di maltrattam­enti contro le donne).

Dietro dettagli troppo simili, una cultura che non cambia. A ogni strage la vendita di pistole e fucili aumenta per paura di restrizion­i. I politici repubblica­ni non mostrano alcun segno di emancipazi­one dalla potente lobby delle armi. Diciannove anni dopo Col u mbine n e mmeno u n a s t r a g e d i bambini, i 20 morti nella scuola elementare di Newtown, Connecticu­t (dicembre 2012), e un presidente in lacrime (Barack Obama) hanno cambiato qualcosa. Ci stanno provando i ragazzi di March For Our Lives, che dopo la strage dello scorso San Valentino a Parkland, Florida (17 morti), girano il Paese facendo campagna contro le armi e invitando i più giovani a votare candidati no-gun alle prossime elezioni di midterm. Uno dei loro «leader» ha detto che appena avrà l’età per farlo correrà e porterà la sua battaglia in Congresso. Ma nel frattempo nel parlamento del Colorado un altro sopravviss­uto, Patrick Neville, che quel 20 aprile 1999 era a Columbine, si batte per consentire agli insegnanti di portare armi fin dentro le scuole.

Ferocia Diciotto anni e un minuto separano il massacro di Columbine (13 morti) da quello in Texas (26 morti)

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