Corriere della Sera - La Lettura
È rosso (come il sangue) il colore dell’Amazzonia
Tommaso Protti, fotografo freelance, è partito per il Brasile prima dei Mondiali del 2014: non è più andato via Al festival di Lodi presenta il reportage «Terra Vermelha»: l’apocalisse — ambientale e civile — di una regione gigantesca Sviluppo insostenibile «Città come Belém e Manaus sono cresciute in modo impressionante attirando abitanti, droga, contrabbando»
Più rossa che verde. L’Amazzonia: quasi sette milioni di chilometri quadrati, di cui oltre cinque di foreste — più dell’intera estensione dell’Unione Europea. «Un territorio immenso, difficile da controllare, una terra di conquista, senza legge: l’ultima grande frontiera». Quando parla al telefono con «la Lettura» Tommaso Protti ha la voce impastata di stanchezza: è appena rientrato a casa, a San Paolo, dopo un viaggio nelle foreste dello Stato brasiliano del Maranhão, uno t r a i p i ù c o l p i t i da l di s b o s c a mento: «Un’area immensa, dove lo Stato non arriva». Qui gli indigeni, in perenne conflitto con i fazendeiros per il possesso delle terre, si sono organizzati in milizie improvvisate, i Guardiani della foresta: «Pattugliano da soli le loro zone ma sono pochi e male armati». Una lotta impari.
Mantovano di nascita, cresciuto a Roma, Protti — fotografo freelance, classe 1986 — vive in Brasile da quattro anni. Da due circa lavora al progetto Terra Vermelha: terra rossa, dove il rosso evoca il sangue, la violenza ma anche il particolare colore della terra amazzonica visibile dopo i disboscamenti. Protti racconta l’Amazzonia, com’è oggi. Povera, saccheggiata, violenta. Ricca di risorse eppure incapace di goderne. Pará, Rondonia, Roraima soprattutto: Stati attraversati da una crisi crescente, con tassi di omicidi e traffico di dro g a i n co nt i nua ascesa. E città dormitorio sempre più grandi e popolose in una regione che, in tutto, conta circa 22 milioni di abitanti, come la Romania ma in un territorio circa 27 volte più esteso. «Uno scenario molto diverso dalla classica visione dell’Amazzonia p o l mone ve rd e d e l l a Terra, paradiso naturale abitato da tribù inviolate». Un’idea romantica dura a morire anche se, racconta Protti, la realtà è un’altra e oggi le terre del Rio delle Amazzoni sono interessate da uno sviluppo urbano rapido, disordinato, feroce: di verdi, ora, ci sono le favelas.
«Città come Belém, capitale del Pará, e Manaus, capitale di Amazonas, negli ultimi anni sono cresciute a ritmi esponenziali, attirando sempre più persone. La popolazione è cresciuta e, con lei, la domanda di droga. In un mercato già ricco (il Brasile è il primo consumatore al mondo di crack e il secondo di cocaina) questi centri hanno aperto nuovi e grandissimi mercati». E nuove rotte del contrabbando, lungo il Rio delle Amazzoni. Le guerre tra fazioni per il controllo del traffico hanno portato omicidi e violenze. Una criminalità giovane e disorganizzata, che lotta per imporsi nelle baraccopoli dei centri urbani: «A San Paolo comanda il Pcc, Primeiro Comando da Capital, qui le gang sono in guerra intestina. Le carceri scoppiano, le crisi penitenziarie degenerano in rivolte, le rivolte in massacri».
Terra Vermelha documenta tutto questo. Protti ha viaggiato — e viaggia: il progetto è ancora in corso — lungo il Rio delle Amazzoni: foreste, città, prigioni. Seguendo la polizia sui luoghi degli omicidi. Fotografando i boss della droga con il volto coperto, le ronde degli indigeni, le celle strapiene, i morti ammazzati. Ora le sue foto — 26 scatti in bianco e nero, prima avanguardia del progetto — vanno in mostra a Lodi, al Festival della Fotografia etica, dal 6 al 28 ottobre.
L’idea del progetto è nata, in origine, da un interesse ambientale. «Lavoravo per un giornale nella zona di Altamira» racconta Tommaso, che è partito dall’Italia per il Brasile prima dei Mondiali del 2014, seguendo il suo lavoro di fotografo, e che da allora è rimasto lì. «Fotografavo la diga di Belo Monte, enorme complesso idroelettrico in costruzione sul fiume Xingu». Per il fotografo italiano era la prima volta in Amazzonia: «Ero partito con l’idea di documentare l’impatto ambientale della diga sul territorio circostante ma, una volta lì, sono rimasto colpito molto di più dall’impatto sociale: Altamira, città poverissima e tra le più violente del Brasile, improvvisamente stava diventando un polo di attrazione per moltissimi lavoratori. E con la migrazione di massa è arrivata la droga». Un fenomeno non solo di Altamira: «Negli ultimi dieci anni in Brasile la mappa della violenza è cambiata: con la crescita delle città, l’asse si sta spostando dalla capitale verso Nord e Nordest». In questo clima il progetto
Terra rossa prende forma, Protti lavora insieme a Sam Cowie, freelance inglese che collabora con «Guardian», Bbc e Al Jazeera: «Dalla droga abbiamo cominciato ad allargare il raggio di osservazione al conflitto agrario, alla lotta per la terra portata avanti dalle tribù indigene».
Alla base di tutto, un’esigenza di denuncia. E l’idea che il giornalismo — immagini e parole — debba essere testimonianza. Fotografia etica. «Quando ho cominciato a lavorare avevo l’idea romantica che le foto avrebbero potuto cambiare il mondo. Ora credo che questo lavoro serva a metterci di fronte alcune situazioni, poi sta a ciascuno approfondire. La violenza dell’Amazzonia in qualche modo tocca anche noi — Brasile e Occidente in generale — è generata anche dalla nostra domanda di consumi: una delle principali ragioni per cui si disbosca, per esempio, è fare spazio all’allevamento, per soddisfare la richiesta di carne».
Terra Vermelha è ancora in corso, la durata del progetto è legata anche ai finanziamenti che riuscirà a ottenere: «Finora siamo andati avanti in parte grazie a sovvenzioni esterne, in parte autofinanziandoci. I viaggi, in queste zone del Paese, sono costosi e difficili, gli spazi sono immensi e serve molto tempo». La sfida è andare avanti il più possibile a raccontare, testimoniare, e c’è l’idea di una futura piattaforma web da legare al progetto. Un lavoro difficile. E rischioso, perché in continuo contatto con violenza e crimine. Ma per Protti la scelta è obbligata: «Se vuoi vedere davvero qualcosa — dice — devi per forza andargli vicino»