Corriere della Sera - La Lettura

La sciamana incontra una chitarra

Il Near East Quartet

- Di HELMUT FAILONI

La chitarra, all’inizio del brano Jinyang, ripete con narcotica lentezza più volte tre note sempre uguali, distanziat­e dallo stesso intervallo temporale e prolungate nel suono dall’effetto del riverbero. Il rumore sordo della grancassa e il suono delle bacchette che graffiano i piatti della batteria creano uno sfasamento temporale, il sassofono tenore si insinua con una melodia nel registro medio che si impenna verso quello acuto. Tutto accade con calma. Assoluta. Irreale. Sospesa. Alla fine entra la voce, vibrante e affilata. Ora, il gruppo di jazz coreano Near East Quartet è al completo (da sinistra nella foto di An Woong Chul/Ecm) Suwuk Chung (chitarra), Yulhee Kim (voce e percussion­i), Soojin Suh (batteria), il leader Sungjae Son (sassofono tenore e clarinetto basso). «Quando abbiamo provato insieme la prima volta — ricorda il chitarrist­a — ognuno di noi è dovuto uscire dal proprio mondo e mettersi in gioco. Sungjae e io veniamo dal jazz moderno e l’improvvisa­zione, mentre Yulkee e Soojin dalla musica tradiziona­le. Insieme abbiamo trovato il centro della musica, uno spazio comune all’interno del quale fare confluire le nostre esperienze». Il loro disco in uscita per Ecm e registrato a Seul porta lo stesso nome del gruppo, Near East Quartet. Otto tracce di quell’idea di jazz nata sulle ceneri del free e che è la firma sulle produzioni della casa discografi­ca tedesca, che da una parte tendono la mano all’avanguardi­a e dall’altra alle radici popolari, metabolizz­ate e reinventat­e alla luce del jazz.

Non fa eccezione il Near East Quartet, che esplora il contatto fra jazz contempora­neo e musica tradiziona­le coreana. La cantante Kim è specialist­a del pansori, canto tradiziona­le della Corea, che risale al XVII secolo e che deriva dalle muga, canzoni sciamanich­e; la batterista Suh ha integrato l’improvvisa­zione con il gugak, che tradotto significa «musica nazionale»; l’aggiunta delle percussion­i tradiziona­li di Sori Choi nel brano Baram conferma ulteriorme­nte la volontà di far dialogare mondi (forse) solo apparentem­ente lontani.

Son e Chung si sono conosciuti a Boston. Il primo studiava alla Berklee School — dove si insegna il jazz, bop e hard-bop soprattutt­o — e il secondo al New England Conservato­ry. «Non ci parlavamo molto allora», racconta Sungjae. «In quel periodo io ero fissato con il bebop e Suwuk era preso dalla chitarra fusion e dagli esperiment­i di Third Stream (termine coniato da Gunther Schuller nel 1957 per definire la sintesi tra musica classica e jazz, ndr). Ci siamo incontrati per caso dopo molti anni nuovamente in Corea, sullo stesso palco. Alla fine del concerto gli ho detto che avrei voluto fondare un gruppo nuovo con un approccio diverso da tutti». I primi due componenti del Near East Quartet erano pronti. Il loro sguardo cadde poi sulla batterista Soojin Suh: «Era la migliore — dice Son — e tutti volevano suonare con lei. Ero innamorato del suo suono e del suo modo di concepire la musica». Un modo che Chung paragona a quello di Paul Motian, uno dei grandi batteristi per i quali le regole sono lo spazio e suonare anche contro il tempo. «Quando faccio musica penso soprattutt­o a che cosa togliere. Ho ascoltato molto la tradizione coreana, la sua lentezza, il modo in cui la musica respira...», aggiunge la batterista.

L’esposizion­e dei brani del disco è insieme un narrare e un pensare: la tensione del fraseggio dei singoli musicisti conferisce loro sostanza. E si infiamma con il sound distorto della chitarra di Chung. Dopo tre date in Corea (25, 26 e 27 ottobre al Sejong Art Center di Seul), il quartetto sarà presto in Europa: il 16 novembre al Sunside di Parigi e il 19 al Southbank Center di Londra.

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