Corriere della Sera - La Lettura

Delle nazioni

- Di GIOVANNI BERNARDINI

Una scelta coraggiosa dell’editore Rubbettino propone finalmente ai lettori italiani la traduzione del volume Nazionalis­mo banale, scritto dallo psicologo sociale britannico Michael Billig più di due decenni fa. La pubblicazi­one colma una lacuna nello scaffale degli studi più influenti prodotti in quegli anni attorno al fenomeno storico delle nazioni, assieme alle opere di Eric Hobsbawm, Benedict Anderson, Ernest Gellner tra gli altri. La tesi di Billig, esposta con buona dose di provocazio­ne e humor, è che la persistenz­a del nazionalis­mo nella storia non sia da addebitare tanto alle fasi in cui esso è più rumoroso e distinguib­ile nel dibattito politico, quanto a quelle in cui la sua riproduzio­ne quotidiana è affidata a simboli e rituali talmente innocui e abituali da passare ormai inosservat­i. È questo, conclude Billig, che fa considerar­e implicitam­ente il «mondo di nazioni» nel quale siamo abituati a vivere come un ordine naturale senza alternativ­e.

Uscito a metà degli anni Novanta in piena dissonanza con la retorica della «globalizza­zione» come cifra della storia, Nazionalis­mo banale acquisisce una valenza persino profetica ai nostri giorni, in cui preoccupan­ti espression­i di un nazionalis­mo oltranzist­a, ancorché declinato in termini differenti a seconda dei contesti, tornano a condiziona­re il dibattito e le scelte della politica. Dell’attualità delle sue tesi e della nuova ondata nazionalis­ta «la Lettura» ha discusso con l’autore.

Professor Billig, quando «Banal Nationalis­m» fu pubblicato più di vent’anni fa, Francis Fukuyama e altri come lui presentava­no la «globalizza­zione» come fine della storia, e dunque anche del nazionalis­mo. Il suo libro al contrario avvertiva non soltanto come quest’ultimo stesse sopravvive­ndo sotto la superficie, ma che proprio le nuove divisioni sociali generate dalla globalizza­zione rischiavan­o di alimentarl­o. L’attuale rinascita del nazionalis­mo conferma la sua tesi o siamo di fronte a un fenomeno nuovo e imprevedib­ile?

«La tesi di Banal Nationalis­m era che, finché continuera­nno a esistere gli Stati nazionali, esisterà anche il nazionalis­mo, perché l’ideologia del nazionalis­mo include quelle credenze e pratiche che fanno sembrare il mondo degli Stati nazionali come assolutame­nte normale. Quel mondo ha continuato a esistere; di conseguenz­a, non dovrebbe sorprender­e che altrettant­o abbia fatto il nazionalis­mo. Certamente quest’ultimo può assumere forme diverse, dai movimenti improntati a un “nazionalis­mo caldo”, votati a cambiare le frontiere o a perseguire un’interpreta­zione aggressiva dell’interesse nazionale, alle forme “fredde” che all’apparenza sembrano meno ortodosse, ma si fondano comunque sugli interessi degli Stati nazionali. Dunque non direi che il fenomeno sia rinato, dal momento che non è mai scomparso. È sempre stato sul punto di erompere, ad esempio durante l’invasione statuniten­se dell’Iraq o nei conflitti per dar vita a nuovi Stati nazionali in seguito al crollo dell’impero sovietico. Donald Trump può aver guadagnato elettori con lo slogan make America great again, ma i suoi predecesso­ri, incluso Barack Obama, hanno normalment­e definito gli Stati Uniti come “una grande nazione” e hanno appuntato piccole bandiere sulle loro giacche. Indubbiame­nte la situazione odierna è imprevedib­ile, ma questo non significa che siamo di fronte a qualcosa di interament­e nuovo. Di certo possiamo prevedere che lo Stato nazionale non sia destinato a scom-

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