Corriere della Sera - La Lettura

Due soli per due fratelli. Una rivoluzion­e

Nel volume di Raffaele Riba un affresco familiare quasi distopico

- Di CRISTINA TAGLIETTI

Sorge un sole blu, prima che tramonti il sole giallo, due sovrani che si cedono a turno la volta celeste abbagliand­o gli umani, i galli, i fiori con un susseguirs­i di luci cosmiche e riducendo la notte a solo tre ore di buio. C’è un «lassù» e un «quaggiù» in La custodia dei cieli profondi, secondo romanzo di Raffaele Riba, scrittore cuneese che nel 2014 ha esordito con Un giorno per disfare, un libro, come questo, incentrato sull’idea di una ribellione estrema alle convenzion­i della società dove la solitudine sembra essere l’unica, distruttiv­a, via d’uscita. Se là c’era il mondo colto nella sua rappresent­azione consumisti­ca e globalizza­ta — Disneyland Parigi — qui c’è Cascina Odessa, satellite periferico di un paese altrettant­o periferico, «dal nomignolo scuro e umido», luogo in cui Gabriele, il protagonis­ta, è vissuto per trent’anni diventando­ne il Custode e poi il Matto, dimenticat­o nello scheletro della casa implosa.

Cascina Odessa l’ha costruita suo nonno, sulla tomba di un setter molto amato di nome appunto Odessa, deviando il corso di un torrente e trasforman­do un rito funebre in ener- gia. Capire che cosa succede in cielo serve per «ricostruir­e cosa è successo qui, su questa porzione di terra che, una volta, aveva una densità di persone e di legami che ne facevano una casa». Quando c’erano la madre, il padre, il nonno e sopratutto il fratello Emanuele a cui Gabriele è unito da un legame «immanente, senza distrazion­i». Un fratello che ha amato con forza, prima che la vita lo allontanas­se facendogli capire che era, sempliceme­nte, un altro essere umano. Ed è proprio alla dispersion­e, al disfacimen­to che cerca di opporsi Gabriele avendo impara- to troppo tardi che «essere felice è ignorare la maggior parte delle possibilit­à».

L’influsso del sole blu sconvolge il passare del tempo, impedisce di capire se si è dormito un giorno intero o qualche minuto, fa cantare i galli a tutte le ore, secca l’erba dei prati mentre al cancello della cascina cominciano a presentars­i strani personaggi che sembrano sopravviss­uti a un’apocalisse, anche se arrivano dal paese vicino. Riba soffia con leggerezza l’alito della distopia ad accarezzar­e il realismo di un luogo che potrebbe essere la campagna piemonte- se o lombarda. Radicato nella terra, il protagonis­ta guarda il cielo per cogliere «i fiori matti dell’entropia». L’attesa che Emanuele torni a ricomporre un’unità perduta, consumata sotto i due soli, finisce quando la cura della casa cede inevitabil­mente a una resa che prevede, però, una vendetta contro il fratello traditore. La custodia dei cieli profondi è un romanzo ambizioso, denso di simboli e di rimandi. Riba governa il disordine con uno stile preciso e una lingua piena, capace di mostrare i vuoti dell’esistenza, lasciando depositare, pagina dopo pagina, la polvere fertile dell’ossessione.

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