Corriere della Sera - La Lettura
I fantasmi prima di andare in scena
Vicenza rende omaggio a Tadeusz Kantor, uno dei grandi innovatori del teatro del Novecento, proponendo alcuni disegni e bozzetti di spettacoli. Le ossessioni sono già qui
Era la sera del 5 marzo 1982 a Parigi. Pare che nel palazzo dove aveva sede una famosa galleria, portinaia e inquilini fossero contrari a rumorosi lavori di ristrutturazione. Di fronte all’argomento chele esposizioni di noti artisti portavano fama a tutto il quartiere, una delle vicine urlò :« Crepino gli artisti !». E il grande drammaturgo, regista e pittore pola cc o TadeuszKan tor, di cuist avano allestendo una mostra, colse al balzola provocazione e intitolò così il suo spettacolo del 1985. Questa volta non si sono certo lamentati i vicini dello Spazio AB23, bella chiesa sconsacrata, in Contrà Sant’Ambrogio a Vicenza dove si è inaugurata, all’interno della 71ª edizione del Ciclo di Spettacoli Classici, la mostra Tadeusz Kantor. Crepino gli artisti (fino al 27 ottobre), disegni e video-documenti a cura di Franco Laera e Lech Stangret, direttore del Tadeusz Kantor Foundation di Varsavia e nipote del grande artista.
Per chi conosce Kantor entrare in questa piccola ma potente mostra, ben allestita, con bozzetti nervosi, personaggi appena accennati ma che parlano, urlano, cantano, è un esercizio perfettamente kantoriano dove la memoria, «file» di istantanee, i negativi del ricordo degli spettacoli, si sovrappongono a quelli emozionali, a quelli del vissuto personale di quei giorni segnati da uno spettacolo, da un artista con le sue Stanze della memoria, e il suo Teatro della morte. Al centro della mostra i disegni che documentano la nascita dei suoi spettacoli, disegni che erano come i «cartoni» preparatori degli affreschi dei grandi pittori del Rinascimento: studi preliminari che mettono in luce la formazione di Kantor come pittore e artista visivo. «Nessuna intenzione di paragonare Kantor al Rinascimento italiano — sottolinea Lech Stangret —, ma come quei cartoni anche i disegni di Kantor mostrano una forza espressiva autonoma che andrà sommata ai video degli spettacoli per generare, spero, una conoscenza più precisa di questo maestro del teatro che in Italia ha trovato una sua seconda patria». Per chi non lo conosce? «Il mio sogno è riuscire a suscitare un minimo di emozione con semplici disegni e alcune immagini di spettacoli. Per la mostra abbiamo scelto non un museo, ma una chiesetta sconsacrata con i muri scrostati che sarebbe piaciuta senz’altro a Kantor, in un angolo della città così come la scena de La classe morta che lui voleva sempre in un angolo dello spazio teatrale». Proprio con La classe morta e gli altri ultimi spettacoli si affermò l’idea di un teatro come «macchina di emozioni», in cui la scena era una tela su cui il pittore Kantor «dipingeva» usando attori, parole, suoni, oggetti, musica, azioni, danza, luci, come fossero colori di un quadro in movimento.
La mostra è nata con la richiesta e la complicità di Franco Laera, oltre che produttore ex compagno di strada di tante avventure in giro per il mondo di Kantor e del suo Teatro Cricot 2. Figura complessa, geniale, l’artista polacco ha aperto la via che unisce l’arte figurativa al teatro, toccando tutte le avanguardie del primo Novecento, inventore del Teatro della Morte, la messinscena dei ricordi, sequenze di immagini, lacerti di gioia o di dolore, brandelli di comicità del passato, segni di guerra, orrore, devastazione, frammenti di riti funebri, preti rabbini, croci, ieri e oggi; i morti si uniscono ai vivi, ai miti nazionali, le ossessioni private dell’artista svaniscono e compulsivamente ritornano. Frammentazione, sovrapposizione, una situazione scivola nell’altra e diventa altro. Surrealismo e altro ancora. Una costellazione sconnessa di me- morie che, relazionata alla soggettività dell’artista, non risulta più frammentaria ma organica e congruente nella dimensione estetica. Una costellazione che da sua diventa tua, si universalizza nell’universalità dell’arte. Il ritmo è sempre seguito, impresso, corretto in scena da quel musicista dell’anima, della memoria, della morte che fu Kantor, che schizzava con i colori artaudiani del teatro della crudeltà, percorso e percosso da «violenta, fisica determinazione di scuotere la falsa realtà che si stende come un lenzuolo sulle nostre percezioni». Quello di Kantor è anche il teatro della libertà, contro le convenzioni sociali, religiose, ideologiche, c’è provocazione, ma c’è un’opera distruttiva che si trasforma in creativa, e il rifiuto diventa invenzione.
Piccole riflessioni nate da un mostra garbata e forte, su un artista complesso e affascinante, ardente, crudele, ironico e sornione che ha segnato chi ha visto i suoi spettacoli e chi l’ha conosciuto. Celebri le sue sfuriate agli attori, ai tecnici, al mondo intero e a Laera, dal quale, dopo un dissidio, Kantor arrivava con un disegno in mano, regalo di pace. Pare che Laera ne abbia più di sessanta!