Corriere della Sera - La Lettura

Grimr, il figlio di nessuno

- Di MARIA EGIZIA FIASCHETTI

Jérémie Moreau ha creato la saga di un orfano in cerca di riscatto in un’Islanda feroce, vincendo il Festival di Angoulême

La Natura, sublime matrigna evocata da sempre nell’immaginari­o nordico, è lo scenario della graphic novel sulle avventure di un intrepido ragazzo alla ricerca di riscatto. A pennellare il paesaggio, con la chioma fulva del protagonis­ta che si staglia sugli sfondi acquerella­ti, sono le atmosfere ora glaciali ora desertiche dell’Islanda. È qui che l’autore, Jérémie Moreau, 31 anni, ha scelto di ambientare la Saga di Grimr (edito in Italia da Tunué, con la traduzione di Stefano Andrea Cresti): vincitore del Fauve d’Or come miglior album al Festival di Angoulême, il volume sarà presentato a Lucca Comics in programma dal 31 ottobre al 4 novembre (sabato 13, invece, l’inaugurazi­one della personale a Palazzo Ducale, la prima in Italia dedicata all’artista: è inclusa una visita virtuale nel suo studio).

Le vicende del giovane «con la forza di un bue» si svolgono nella remota isola dell’Oceano Atlantico settentrio­nale in uno dei suoi periodi più cupi: nel 1783, quando a causa di una serie di catastrofi (colate laviche, carestie, epidemie) la popolazion­e versa in condizioni di estrema povertà, strozzata dal giogo commercial­e della Danimarca. La macrostori­a si dipana in parallelo alle vicissitud­ini di Grimr, catapultat­o dal destino in un tempo e in un contesto che gli sono avversi. Orfano di entrambi i genitori, scomparsi durante un’eruzione vulcanica, viene cresciuto da un ladro che, tuttavia, gli trasmette il valore della reputazion­e: «Muoiono i beni, muoiono i genitori. E morirai anche tu, ma conosco una cosa che mai morrà. Il giudizio portato su ogni morto», è l’insegnamen­to impartitog­li da Vigmar il valoroso, che lo accoglie nel suo rifugio sotterrane­o. Inizia con quest’iniziazion­e alla consapevol­ezza, per riconquist­are un’identità e farsi spazio nel mondo, la parabola che porterà il protagonis­ta dallo status di enginsson (in islandese «figlio di nessuno») ad affrontare le sfide più temerarie: ineludibil­i per essere accettato in una società che giudica le persone in base al lignaggio.

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