Corriere della Sera - La Lettura
«L’arte è per pochi: le partiture non sono cibi gustosi»
La sua musica viene eseguita in tutto il mondo da mezzo secolo. Conquistando, nonostante le asperità di un mondo sonoro oltre i limiti della percezione, generazioni di ascoltatori. «Vivo la musica come avventura e sfida. Forse per questo mi sento giovane», confessa Helmut Lachenmann, 83 anni il 27 novembre (qui sopra). Allievo di Nono e di Stockhausen, padre della «musica concreta strumentale», Leone d’oro alla Biennale di Venezia 2008, Lachenmann è in Italia per una masterclass (22-24 ottobre) al Festival Risonanze-Contemporanea del conservatorio «Martucci» di Salerno. Ultimo esponente di un’avanguardia radicale, nulla rimpiange né rinnega. Neanche di essere un compositore «per pochi». «L’arte intesa come invito all’uomo ad ampliare i suoi sensi, i suoi orizzonti estetici e spirituali è sempre stata appannaggio di una minoranza. Ai tempi di Gesualdo, Bach, Mozart non era diverso. Bach ad Arnstadt fu licenziato perché aveva scioccato la comunità con armonie insolite. E la musica di Mozart, come gli disse Giuseppe II, non era adatta “al palato” dei viennesi...», spiega a «la Lettura». Nel frattempo quei compositori sono diventati idoli. «Oggi tutti hanno facile accesso a ogni tipo di musica e vogliono goderne come di un cibo appetitoso, a prescindere dai generi. Ma allo stesso tempo esiste un altro tipo di musica che si cerca, si discute, si ama, distaccata da quel consumo. E non è una “nicchia”. I festival di nuova musica nascono di continuo, i concerti sono pieni di giovani. I miei fanno spesso il tutto esaurito».
La domanda resta: a che cosa serve la musica? «A portarci là dove noi ci riconosciamo come esseri dotati di ingegno. In questo senso ogni opera d’arte è politica. Perché l’esperienza della libertà creativa è sospetta, ritenuta pericolosa da ogni sistema totalitario. I nazisti sapevano benissimo perché bandivano la musica della Seconda Scuola viennese, Schönberg, Webern, Berg. Pagine oscure, le ho vissute. Il timore è che la storia si ripeta. Come scriveva Brecht sul nazismo: “L’utero da cui è uscito è ancora fertile”».