Corriere della Sera - La Lettura
Maometto
Uno strano aspirante Pontefice:
La caduta di Costantinopoli nel 1453 non fu solo orrore. Fu anche tema di dibattito sulla sostanza di un destino e sulla fine di un’epoca. Però si insinuò anche altro. Una domanda: un’unica religione avrebbe potuto superare le contrapposizioni e accogliere insieme tutte le genti dell’ecumene euroasiatico? Questo è il tema che Marco Cavina affronta nel suo libro Maometto, re e imperatore (Laterza) che parte da una cronaca medievale. Dalla storia di un tal Niccolò, cristiano, che vistasi impedita la possibilità di essere Papa diventa… Maometto. E che, per contrasto con i suoi nemici di Curia, inventa una nuova religione. Una storia emblematica, perché chiarisce, con questo esempio (e con molti altri), un dato di fatto: come sul fronte cristiano le idee sulla religione islamica fossero poche e contraddittorie. Con Maometto reputato grossomodo come falso profeta e il credo musulmano come grossolano e rozzo sotto il profilo dogmatico. D’altra parte, non è che sull’altro fronte le idee fossero chiare, se si considera che il monoteismo assoluto islamico non poteva che rigettare in toto la costruzione teologica cristiana.
Nonostante tutto, ci fu chi alla domanda rispose. Pochi. Talvolta in maniera frammentaria. Confusa. Ma lo fecero, con coraggio o con incoscienza. C’è Giorgio Gemisto Pletone, che esprime l’idea di una «nuova religione semplificata sul fondamento di Platone e Zoroastro» e di una restaurazione ellenistica che «avrebbe annientato e conglobato cristianesimo e islam». Oppure l’opinione che i bizantini avrebbero civilizzato i barbari turchi, come già i greci avevano civilizzato i romani. Mentre in ambito islamico si fa strada l’idea della propria fede come mediatrice tra «la crudeltà sanguinaria e “nazionalista” del Dio biblico e la mansuetudine inattingibile e quasi “superumana” del Cristo evangelico che esortava a porgere l’altra guancia». Fino alla lettera scritta — ma non spedita — da Papa Pio II a Maometto II, il sultano conquistatore di Costantinopoli, nel 1461, con l’invito a convertirsi al cristianesimo e a trasformarsi, così, in un nuovo Costantino, il creatore di un rinnovato impero unitario e cristiano. Tentativo paradossale, privo di qualunque risvolto politico, ma che la dice lunga sui fili culturali che mossero i protagonisti di questa storia.
Idee però, a volte, straordinarie. Come quella che l’autentica ortodossia dovesse risultare dalla convergenza dei due grandi monoteismi, che emerge in Medio Oriente in zone come l’Anatolia dove, più che altrove, «si espressero movimenti cristiano-islamici che nacquero e subito scomparvero, lasciando ben poche tracce a livello culturale». Ma, in definitiva, da un lato e dall’altro, nonostante lo sforzo di alcuni, di tesi unitariste e filoislamiche di lì a poco non si sarebbe parlato più. In Occidente, la Riforma luterana, il Concilio di Trento e gli scontri religiosi affossarono definitivamente il dibattito, mentre sull’Europa del Cinquecento si addensavano le nubi di una conquista ottomana militare e violenta. Oggi, conclude Cavina, più che di fusione o di sincretismo «si parla di dialogo interreligioso e di riconoscimento delle diversità, in un dibattito che non può non ricomprendere la “religione” della laicità».