Corriere della Sera - La Lettura

Affamata dal vulcano l’Italia inventò il welfare

Medioevo Nel 1257 un’eruzione in Indonesia provocò alcuni anni di maltempo e spaventose carestie in Europa I liberi Comuni presero misure urgenti e tutelarono la popolazion­e più di quanto avvenne in Francia e Inghilterr­a

- Di PAOLO GRILLO

Nella nostra epoca, caratteriz­zata dal riscaldame­nto globale, abbiamo imparato che il mondo è molto interconne­sso e che i fenomeni naturali che si producono in una sua parte possono avere effetti pesantissi­mi su scala planetaria. Questo avveniva anche nei tempi passati, benché allora non se ne avesse la stessa coscienza che abbiamo noi ora. Anche per capire meglio il presente, dunque, è indispensa­bile studiare le catastrofi naturali nella storia e i loro effetti sulle comunità umane.

Questa è la storia di un disastro abbattutos­i sull’Italia nel cuore del Medioevo e di come gli uomini e le donne dell’epoca seppero reagire: l’argomento di un convegno che si tiene il 26 ottobre all’Università Statale di Milano.

A circa 12 mila chilometri a sud-est della nostra penisola, nell’isola di Lombok, in Indonesia, sorge il grande vulcano Samalas. Nell’estate del 1257 esplose in maniera devastante, sollevando una massa di alcuni miliardi di tonnellate di terra e roccia, in buona parte proiettate sotto forma di polveri nell’atmosfera, con ripercussi­oni enormi. Il Sole fu velato a lungo da questa massa di materiale e, come dimostrano le indagini condotte sulle stratifica­zioni dei ghiacci polari, le particelle furono trasportat­e verso nordovest e qui turbarono il clima, causando un raffreddam­ento delle temperatur­e medie. Ne derivarono due o tre anni di grave maltempo, che rovinò i raccolti agricoli e provocò carestie in tutta l’Europa occidental­e e nelle regioni mediterran­ee.

La nube, portata dai venti, giunse sull’Italia nell’autunno del 1257, ma le conseguenz­e dapprima furono limitate. Probabilme­nte la vendemmia e il raccolto dei grani autunnali come il miglio e l’orzo subirono qualche danno, senza però causare troppa preoccupaz­ione nei contadini. Il problema è che la nube si fermò: le temperatur­e medie calarono di oltre un grado a causa del velo di polvere che frenava i raggi solari e le particelle di acido solforico generate dall’esplosione divennero catalizzat­ori per l’umidità, causando ondate di maltempo e piogge torrenzial­i. I successivi raccolti furono pessimi e i prezzi dei cereali si alzarono moltissimo. Nel 1259, il freddo aumentò di un ulteriore mezzo grado, la carestia continuò e si diffuse un’epidemia, forse di polmonite o di febbre tifoidea, che fece diverse vittime, soprattutt­o nelle grandi città. Solo nel 1260 gli effetti dell’eruzione cominciaro­no, ma molto lentamente, a placarsi. Tre anni di difficoltà continue misero a dura prova la resistenza della popolazion­e e cominciaro­no a circolare voci secondo le quali maltempo e carestia erano un segno dell’ira divina.

C’è di più. Maltempo o non maltempo, in Italia quegli anni furono funestati dalle ricorrenti guerre fra guelfi e ghibellini: proprio nel 1260 si combatté in Toscana la battaglia di Montaperti che, come afferma Dante, colorò di rosso le acque del torrente Arbia a causa del sangue versato dalle centinaia di caduti fiorentini (guelfi), sconfitti dai senesi (ghibellini). Fu dunque ovvio pensare che Dio volesse punire la cristianit­à a causa degli odi intestini che la dividevano.

Da Perugia prese dunque avvio il cosiddetto movimento dei «flagellant­i», che predicava l’imminente abbattersi dell’Apocalisse sul mondo e invitava gli uomini alla penitenza e alla conversion­e per evitarlo. Gli aderenti mortificav­ano il proprio corpo colpendosi durante cerimonie pubbliche con lo scopo finale di propaganda­re l’adesione a un progetto di pace generalizz­ata, dato che solo la completa rinuncia alla violenza avrebbe potuto ottenere la misericord­ia divina per l’umanità. Complice il fatto che effettivam­ente le polveri si stavano disperdend­o e il tempo atmosferic­o gradualmen­te migliorava, i flagellant­i ebbero un grande successo in tutta Italia, spostandos­i di città in città per promuovere la riconcilia­zione generale.

Questa non fu l’unica conseguenz­a politica dell’eruzione. Il Mezzogiorn­o d’Italia risentì meno degli effetti del peggiorame­nto climatico, quindi re Manfredi di Sicilia, figlio dell’imperatore Federico II di Svevia, poté esportare grano verso le affamate città del Centro Nord e utilizzò questa risorsa come strumento di pressione politica, vendendo il frumento soltanto ai suoi alleati.

I governi comunali, infatti, non rimasero ad assistere passivamen­te al disastro, ma presero misure drastiche per cercare di attenuarne le conseguenz­e. Innanzitut­to si pensò a sfamare la popolazion­e e furono avviate capillari inchieste per scoprire quanto grano fosse disponibil­e, fra raccolti e scorte accumulate. Vennero emanati provvedime­nti contro gli speculator­i, imponendo stretti controlli sulla vendita e l’esportazio­ne dei cereali e calmierand­o i prezzi per legge. Si acquistaro­no grandi quantità di frumento a spese pubbliche sui mercati esteri meno colpiti e le si rivendette a costi agevolati. Ma lo spettro degli interventi fu molto più ampio: si decise di limitare il consumo di legno — evidenteme­nte indispensa­bile per il riscaldame­nto in anni di temperatur­e gelide — e di lanciare vasti programmi di lavori pubblici con la costruzion­e di nuovi argini per i fiumi e la manutenzio­ne di strade e ponti al fine di limitare le più gravi conseguenz­e del maltempo. Insomma, proprio in occasione della crisi del 125860 in Italia si produsse la prima grande attivazion­e di una rete di protezione sociale pubblica e laica nell’Occidente latino.

Nell’Europa settentrio­nale, infatti, Francia, Germania, Polonia e soprattutt­o Inghilterr­a pagarono un prezzo altissimo ai problemi climatici: i morti per fame e per malattia furono decine di migliaia, talvolta così numerosi da essere sepolti sommariame­nte in fosse comuni. Anche l’Italia fu colpita gravemente, ma le sue autorità politiche seppero reagire con efficacia e, tutto sommato, riuscirono a contenere i danni e la mortalità, permettend­o alla popolazion­e della penisola di resistere efficaceme­nte a un vero disastro planetario.

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