Corriere della Sera - La Lettura
I viaggi a colori sull’arca di Wilkón
Rassegne Anche quest’anno Sàrmede, nel Trevigiano, diventa la capitale ideale degli illustratori. Si festeggia l’autore polacco, che nel piccolo centro completò i murales dell’amico Stepan Zavrel. «Il digitale ha cambiato il mondo ma accanto a ogni nuovo libro a casa mia giacciono mucchi di carta accartocciata»
«L’uomo crede di essere la sola creatura pensante sulla terra, ma io sono convinto che anche gli animali pensino e a loro modo pensino anche gli alberi e i vegetali. Il suono della lama copre il pianto degli alberi abbattuti». Così spiega il suo lavoro, e la sua passione per la rappresentazione della natura, Józef Wilkón, 88 anni, uno dei più grandi artisti polacchi. È lui l’ospite d’onore della mostra Le
Immagini della Fantasia a Sàrmede (Treviso), organizzata dalla fondazione intitolata a un altro grande artista, il boemo Stepan Zavrel, di cui Wilkón è stato amico ed erede. In questo angolo del Veneto nel 1968 Zavrel (di cui nel 2019 ricorrono i vent’anni dalla morte), in esilio dalla sua Praga, acquistò una cascina abbandonata che diventò, oltre che la sua casa, un cir- colo di artisti provenienti dalla Mitteleuropa e oltre: una rete creativa che fu il primo seme di questa mostra, diventata nel tempo una delle iniziative più importanti per la letteratura per ragazzi. Da allora questo piccolo centro di poco più di 3 mila abitanti sui colli trevigiani è diventato il «paese della fiaba» con i suoi quasi 50 affreschi e murales realizzati da Zavrel e dai suoi amici e disseminati su edifici pubblici e privati. Fu proprio Wilkón a terminare l’incarico per i dipinti del municipio iniziati da Zavrel e interrotti alla sua morte. Oggi la rassegna, arrivata alla sua trentacinquesima edizione, nella sezione chiamata «Panorama» propone una galleria di opere di 17 artisti molto diversi tra loro provenienti da tutto il mondo, come Pablo Amargo, Marta Ignerska, Alicia Baladan, Paolo Domeniconi, Jungho Lee, Marco Mariangeli, Gérard Dubois, Lorenzo Sangiò.
Per molti di loro Józef Wilkón è un maestro. Storico dell’arte e pittore di formazione, è nato nel 1930 nel piccolo villaggio di Bogucice, in Polonia. Dopo aver completato gli studi all’Accademia di belle arti e all’Università Jagellonica di Cracovia ha focalizzato la sua creatività sull’illustrazione, con una versatilità che lo ha spinto poi a esplorare stili diversi come inchiostro e acquerello, affresco e scultura. «Non riesco a fermarmi agli stessi mezzi espressivi. Adoro le sorprese che incontro cambiando tecnica»: Wilkón risponde a «la Lettura», in polacco, da Zalesie Dolne, sobborgo di Varsavia, dove vive e lavora. Autore di oltre duecento libri tradotti in tutto il mondo, molti dei quali firmati con il figlio Piotr, questo artista che negli anni Ottanta smise di lavorare con case editrici polacche per protesta contro la legge marziale e la situazione politica nel Paese, ha un percorso creativo unico. Come scrive il critico Andrzej Matynia nell’introduzione al Serraglio di Wilkón, catalogo della mostra, la sua inesauribile creatività lo ha portato a creare «una enclave di gioia» nell’«ampio spazio di tristezza» di un doloroso Novecento segnato dallo spettro delle guerre.
Gabriel Pacheco, giovane e colto illustratore messicano, da quest’anno diret- tore artistico della mostra, spiega di aver voluto creare nella Casa della fantasia che ospita l’esposizione uno «spazio aperto all’esplorazione visiva» intrecciando opere pittoriche e plastiche, sculture in materiali poveri e acquerelli dell’artista. Domina lo spazio un ligneo Don Chisciotte a cavallo di Ronzinante con il suo scudiero Sancho Panza (alti oltre due metri), accanto ad altre sculture di animali, tutti imbarca tinella cosiddetta« arcadi Wilkón».
Tra disegni e sculture c’è un dialogo continuo e fecondo, rimandi di stile e di interpretazioni. «Dal legno, da una lamiera zincata, da una lastra di rame — scrive ancora Matynia — l’artista crea quello stesso mondo che fino a quel momento era stato relegato nella superficie piatta della carta. Ecco il suo mondo, di- verso da qualsiasi altro mondo. Di nuovo abbiamo cani più veri dei cani reali, gatti indipendenti e alteri». Così insieme alle sculture ci sono le illustrazioni per una edizione speciale del capolavoro pubblicato in Spagna dall’Istituto Cervantes, oltre ai disegni realizzati per un altro classico, il Messer Taddeo, caposaldo della letteratura romantica polacca, in uscita anche in Italia da Marsilio.
Józef Wilkón è stato spesso paragonato a Marc Chagall. «Aveva, come me, la predisposizione a volare, ma questa è un’inclinazione abbastanza comune, come dimostra la canzone Volare di Domenico Modugno e Franco Migliacci. Ad avere su di me nel tempo un’influenza di gran lun-
ga maggiore — spiega Wilkón — sono stati Paul Klee e Joan Miró. In generale sono stato affascinato da Rembrandt e dagli anonimi geni di Lascaux e Altamira. Ma devo anche dire che non esiste che qualcuno non sia grato a qualcun altro per qualcosa».
Wilkón ha dato forma universale a fascinazioni e passioni personali: l’atmosfera degli anni dell’infanzia, trascorsa nel villaggio montagnoso di Bogucice, i paesaggi panoramici e il misterioso mondo degli animali, tra cui è cresciuto. Sono molti i l i br i c he ha pubbli ca to a c ui Wilkón è affezionato: «Mi piacciono I
versi del pavone perché ha portato la pittura all’illustrazione e Messer Taddeo di Adam Mickiewicz con i miei dipinti che accompagnano le sue descrizioni dei paesaggi polacchi. Mi piace anche Vita da
cani per la relazione, a mio parere riuscita, uomo-cane e cane-uomo. Insomma ne amo molti ma ce ne sono anche altri che non mi piacciono». Per esempio? «Non li cito perché sarebbero troppi».
Wilkón è un riferimento importante per la generazione più giovane degli illustratori, europei e non («l’illustrazione, è un campo difficile e bello, ma anche molto rischioso… e questo attira»). Lo amano anche coloro, e sono ormai la maggior parte, che non usano più carta e colori, ma il computer. E questo vecchio maestro che negli anni Cinquanta, quando in Polonia era molto difficile trovare la carta da disegno, dipingeva sui sacchi dello zucchero, non ha alcuna visione passatista. «Il digitale ha cambiato il mondo con una velocità incomparabile nella storia. Il libro sarebbe dovuto morire, così non è stato. Per ora, il libro è il messaggio più perfetto che un essere umano abbia inventato. Anche la pittura, secondo alcuni, sarebbe dovuta morire. Non riesco a immaginare un mondo senza pittura, come non riesco a immaginare un mondo senza poesia».
Per lui l’illustrazione digitale «è solo un laboratorio. È affascinante ma è come se mancasse l’originale. Parecchi anni fa, ho avuto tra le mani, all’Albertina Museum di Vienna, l’originale di Lepre di Albrecht Dürer. Un’esperienza emozionante».
Il suo segreto, a 88 anni, è lasciarsi ancora sorprendere. «Nel lavoro non ho alcuna routine. Forse per questo imparo sempre qualcosa. Accanto a ogni nuovo libro, sul pavimento di casa mia giace un mucchio di carta straccia».