Corriere della Sera - La Lettura
Kerouac diventa un computer e in America non sa più perdersi
Esperimenti Un’intelligenza artificiale su una Cadillac ha scritto il resoconto di un viaggio sulle orme di «On the Road». Il risultato, «1 the Road», è la mappa del mondo come lo concepiamo con le app
La base per i testi La macchina è stata impostata immagazzinando poesia, fantascienza e narrativa pulp. E poi, sensori e navigatore Gps
On the Road, Paura e delirio a Las Vegas, Electric Kool-Aid Acid Test. Ecco i libri che hanno ispirato il primo romanzo scritto da una intelligenza artificiale lungo il percorso, durato tre giorni, da New York a New Orleans. Sulle orme di Jack Kerouac, infatti, è nato 1 the Road, pubblicato in Francia da Jean Boîte Éditions, il racconto a tappe pensato ed elaborato da una macchina: una Cadillac nera affittata per l’occasione e attrezzata con speciali sensori, computer portatile e stampante collegati tra loro per la scrittura in tempo reale del romanzo. Alla guida dell’auto, trasformata in una sorta di Google car dallo stile più aristocratico, Ross Goodwin, già nel team di comunicazione dell’amministrazione Obama, il quale si definisce oggi sul proprio sito (rossogoodwin.com) artista, creativo esperto di tecnologia e «scrittore di scrittori».
Piuttosto che prendere un computer e digitare frasi su una tastiera, spiega, preferisce progettare e costruire intelligenze artificiali in grado di compiere da sole l’opera: macchine-autrici, insomma, autonome e creative. Dal manoscritto frutto del cervello biologico si passerebbe in sostanza al macchinoscritto, prodotto di quello artificiale.
Esattamente così è nato 1 The Road che lo stesso Goodwin descrive come il risultato di un esperimento di scrittura creativa computazionale. Per comporlo, prima di partire verso sud, imboccando l’autostrada 95, Goodwin ha dovuto affrontare un problema: costruire pezzo per pezzo la mente dello scrittore artificiale. Una difficoltà che aveva già affrontato in passato quando, per la tesi di laurea, decise di attaccare sul proprio zaino una bussola, un orologio e una telecamera in grado di inviare dati al computer portatile mentre camminava per le strade di New York. Il risultato, Narrated Reality, è stato il vero precursore del nuovo romanzo al quale ora ha aggiunto l’ambizione di attualizzare un genere letterario. O, per dirla in altri termini, di far incontrare Jack Kerouac e il machine learning, l’apprendimento automatico dei computer possibile grazie ad algoritmi che imparano dai dati.
Una sfida intellettuale e tecnologica nella quale hanno creduto anche Kenric McDowell e Christiana Caro dell’Artist and Machine Intelligence Program di Google, il laboratorio che mette insieme artisti e ingegneri per realizzare opere creative non del tutto umane. Oltre a supportarlo, insieme a Goodwin hanno trasformato un banale veicolo in un sistema neuronale artificiale, in grado di immagazzinare input visivi e sonori e di trasformarli in testo. Per farlo hanno montato una telecamera di sorveglianza sul bagagliaio dell’auto, un dispositivo Gps sul tettuccio e un microfono all’interno dell’abitacolo: li hanno collegati con una serie di cavi al compu- ter portatile posizionato sui sedili posteriori e connesso a una stampante dotata di lunghe bobine di carta.
Il sistema avrebbe dovuto funzionare al primo rombo di motore riversando pagine e pagine già scritte. E così, effettivamente, è stato. La prima frase del romanzo è nata pochi minuti dopo l’accensione del cruscotto, il 25 marzo 2017 a Brooklyn: «Erano le nove e diciassette del mattino e la casa era pesante». Un
L’incipit «Erano le nove e diciassette del mattino e la casa era pesante»: questo l’attacco del «romanzo» fatto di brevi passaggi senza narrazione
incipit non proprio chiaro e coinvolgente per il potenziale lettore ma in grado di lanciare il segnale tanto atteso dai viaggiatori: l’autore meccanico è attivo, ha capito che cosa deve fare ed è già al lavoro.
Che cosa era successo in quei pochi istanti? Il computer aveva ricevuto i dati registrati dai sensori e li aveva restituiti sotto forma di parole, aggiungendo l’orario prelevato da internet. Il portatile era stato allenato a compiere l’operazione attraverso la somministrazione di circa 120 megabytes di poesie, opere di fantascienza e letteratura pulp. Tutti generi amati da Goodwin, appositamente selezionati con l’intento di mostrare e insegnare alla macchina un linguaggio preciso e riconoscibile dotato di un tono cupo e tagliente. Operazione riuscita, si potrebbe dire leggendo il testo.
Procurarselo è infatti molto semplice: il volume, 160 pagine in tutto, si può acquistare online sul sito dell’editore. Il lettore, però, non deve aspettarsi di maneggiare un testo ordinario: non c’è un vero arco narrativo, non si incontrano personaggi ricorrenti né ci sono immagini. Quelle che appaiono, una decina circa, sono ricostruzioni in bianco e nero delle riprese inviate dalla telecamera di sorveglianza e riprodotte dal computer attraverso l’accostamento dei caratteri della tastiera. Più codici che illustrazioni. Le frasi, invece, sono scritte come singoli post, brevi, slegati tra loro, tutti caratterizzati da data e orario e molti anche dall’indicazione del posto in cui si trova il veicolo mentre compone. Un’in- formazione ricavata dalle coordinate geografiche fornite in tempo reale da Foursquare, il social network basato sulla geolocalizzazione di ristoranti, p u b , ne g o z i . E d è q u e s to , s e co ndo McDowell, un aspetto fondamentale per cogliere e comprendere la qualità del testo. 1 The Road, infatti, finisce per essere una mappa del mondo per come lo concepiamo e viviamo oggi: un posto fatto di stazioni di servizio, ristoranti, negozi.
È l’effetto del tecno-capitalismo, spiega McDowell: la realtà è una sequenza di possibilità di acquisto geolocalizzate. La tipologia merceologica dei locali rilevati, inoltre, muta durante il percorso restituendoci una sorta di quadro economico degli Stati Uniti, dove nelle città più benestanti si trovano birrerie artigianali e caffetterie raffinate, mentre la provincia si riempie di catene a buon mercato e pompe di benzina. Nel mezzo, capannoni vuoti e fabbriche deserte compongono un paesaggio da archeologia industriale in grado di suggerire il modo in cui è cambiata l’economia statunitense negli ultimi decenni. E se l’On
the Road di Kerouac, infine, raccontava un’America in cui perdersi, la Cadillac nera ce ne mostra una dove è impossibile farlo a causa della pervasiva geolocalizzazione. Non c’è più un angolo remoto. Siamo sempre tracciati.
Resta però un filo rosso a sottolineare la continuità e a legare 1 The Road ai libri che l’hanno ispirato. Se, come ammette Goodwin, Jack Kerouac ha suggerito il tragitto, tanto che il percorso della Cadillac riprende a grandi linee quello compiuto da Sal Paradise da New York a New Orleans, è stato Tom Wolfe a stimolare l’intento progettuale. L’autore ha infatti raccontato il viaggio di Ken Kesey e del gruppo dei Merry Pranksters a bordo di un autobus dai colori psichedelici, Furthur, compiuto per diffondere ovunque la cultura hippy e l’allucinazione raggiunta tramite le droghe sintetiche distribuite gratuitamente. «Allucina z i o ne » , s p i e g a Goodwin, è p e rò anche il termine per indicare l’attività compiuta da un’intelligenza artificiale quando genera contenuti. In quel momento ci mostra una realtà non prodotta spontaneamente e naturalmente dai nostri neuroni ma un mondo alterato, in questo senso «stupefacente». Così se i romanzi on the road hanno avuto la capacità di cogliere la cifra di un’epoca anche il testo generato dall’intelligenza artificiale riesce a farlo, attraverso una sostituzione.
Al centro del viaggio narrato nei classici c’erano la ricerca della libertà e dell’edonismo, valori chiave del XX secolo, mentre oggi c’è la tecnologia. L’attrezzatura di bordo irrinunciabile per mettersi in cammino nel 2018 è fatta di computer, dati, sensori, mentre l’ignoto verso cui spingersi non è più rappresentato dalla perdizione ma dall’intelligenza ar- tificiale e dalle sue inimmaginabili conseguenze.
«Chi siamo?», si domanda nella prefazione al libro McDowell. Precursori di una nuova forma di arte? Sognatori? Oppure un manipolo di pazzi destinati a essere presto dimenticati?
Una risposta non c’è né Goodwin sa darla. Anzi, rilancia. Non è detto, spiega, che l’autrice di 1 The Road sia davvero soltanto la macchina. Forse è lei, scrive, oppure lo scrittore è l’autista, che la guida verso i luoghi di cui intende parlare e, in fondo, decidendo il percorso la domina. Più probabilmente, però, la firma in calce al testo dovrebbe essere quella di entrambi, uomo e macchina, protagonisti di una collaborazione creativa senza precedenti nella quale lo strumento, come una penna animata, ha mostrato la capacità di essere imprevedibile e di riuscire a sfuggire al completo controllo umano. Ed è per questo, per rendere chiari la simbiosi e lo scambio creativo tra lo scrittore di scrittori e l’intelligenza artificiale, che i filmmaker autori di Automatic On The Road hanno seguito Goodwin nell’impresa e gli hanno chiesto di leggere di fronte alla telecamera i versi del libro sovrapponendo alla sua la voce di una donna. È la Cadillac a parlare. E a raccontarci un’evoluzione possibile della letteratura e del genere umano più in generale. Non temete le macchine, sembrano dirci, non ci sostituiranno ma continueranno a collaborare con noi. E il risultato potrebbe essere persino poetico.