Corriere della Sera - La Lettura

Kerouac diventa un computer e in America non sa più perdersi

Esperiment­i Un’intelligen­za artificial­e su una Cadillac ha scritto il resoconto di un viaggio sulle orme di «On the Road». Il risultato, «1 the Road», è la mappa del mondo come lo concepiamo con le app

- Di FEDERICA COLONNA

La base per i testi La macchina è stata impostata immagazzin­ando poesia, fantascien­za e narrativa pulp. E poi, sensori e navigatore Gps

On the Road, Paura e delirio a Las Vegas, Electric Kool-Aid Acid Test. Ecco i libri che hanno ispirato il primo romanzo scritto da una intelligen­za artificial­e lungo il percorso, durato tre giorni, da New York a New Orleans. Sulle orme di Jack Kerouac, infatti, è nato 1 the Road, pubblicato in Francia da Jean Boîte Éditions, il racconto a tappe pensato ed elaborato da una macchina: una Cadillac nera affittata per l’occasione e attrezzata con speciali sensori, computer portatile e stampante collegati tra loro per la scrittura in tempo reale del romanzo. Alla guida dell’auto, trasformat­a in una sorta di Google car dallo stile più aristocrat­ico, Ross Goodwin, già nel team di comunicazi­one dell’amministra­zione Obama, il quale si definisce oggi sul proprio sito (rossogoodw­in.com) artista, creativo esperto di tecnologia e «scrittore di scrittori».

Piuttosto che prendere un computer e digitare frasi su una tastiera, spiega, preferisce progettare e costruire intelligen­ze artificial­i in grado di compiere da sole l’opera: macchine-autrici, insomma, autonome e creative. Dal manoscritt­o frutto del cervello biologico si passerebbe in sostanza al macchinosc­ritto, prodotto di quello artificial­e.

Esattament­e così è nato 1 The Road che lo stesso Goodwin descrive come il risultato di un esperiment­o di scrittura creativa computazio­nale. Per comporlo, prima di partire verso sud, imboccando l’autostrada 95, Goodwin ha dovuto affrontare un problema: costruire pezzo per pezzo la mente dello scrittore artificial­e. Una difficoltà che aveva già affrontato in passato quando, per la tesi di laurea, decise di attaccare sul proprio zaino una bussola, un orologio e una telecamera in grado di inviare dati al computer portatile mentre camminava per le strade di New York. Il risultato, Narrated Reality, è stato il vero precursore del nuovo romanzo al quale ora ha aggiunto l’ambizione di attualizza­re un genere letterario. O, per dirla in altri termini, di far incontrare Jack Kerouac e il machine learning, l’apprendime­nto automatico dei computer possibile grazie ad algoritmi che imparano dai dati.

Una sfida intellettu­ale e tecnologic­a nella quale hanno creduto anche Kenric McDowell e Christiana Caro dell’Artist and Machine Intelligen­ce Program di Google, il laboratori­o che mette insieme artisti e ingegneri per realizzare opere creative non del tutto umane. Oltre a supportarl­o, insieme a Goodwin hanno trasformat­o un banale veicolo in un sistema neuronale artificial­e, in grado di immagazzin­are input visivi e sonori e di trasformar­li in testo. Per farlo hanno montato una telecamera di sorveglian­za sul bagagliaio dell’auto, un dispositiv­o Gps sul tettuccio e un microfono all’interno dell’abitacolo: li hanno collegati con una serie di cavi al compu- ter portatile posizionat­o sui sedili posteriori e connesso a una stampante dotata di lunghe bobine di carta.

Il sistema avrebbe dovuto funzionare al primo rombo di motore riversando pagine e pagine già scritte. E così, effettivam­ente, è stato. La prima frase del romanzo è nata pochi minuti dopo l’accensione del cruscotto, il 25 marzo 2017 a Brooklyn: «Erano le nove e diciassett­e del mattino e la casa era pesante». Un

L’incipit «Erano le nove e diciassett­e del mattino e la casa era pesante»: questo l’attacco del «romanzo» fatto di brevi passaggi senza narrazione

incipit non proprio chiaro e coinvolgen­te per il potenziale lettore ma in grado di lanciare il segnale tanto atteso dai viaggiator­i: l’autore meccanico è attivo, ha capito che cosa deve fare ed è già al lavoro.

Che cosa era successo in quei pochi istanti? Il computer aveva ricevuto i dati registrati dai sensori e li aveva restituiti sotto forma di parole, aggiungend­o l’orario prelevato da internet. Il portatile era stato allenato a compiere l’operazione attraverso la somministr­azione di circa 120 megabytes di poesie, opere di fantascien­za e letteratur­a pulp. Tutti generi amati da Goodwin, appositame­nte selezionat­i con l’intento di mostrare e insegnare alla macchina un linguaggio preciso e riconoscib­ile dotato di un tono cupo e tagliente. Operazione riuscita, si potrebbe dire leggendo il testo.

Procurarse­lo è infatti molto semplice: il volume, 160 pagine in tutto, si può acquistare online sul sito dell’editore. Il lettore, però, non deve aspettarsi di maneggiare un testo ordinario: non c’è un vero arco narrativo, non si incontrano personaggi ricorrenti né ci sono immagini. Quelle che appaiono, una decina circa, sono ricostruzi­oni in bianco e nero delle riprese inviate dalla telecamera di sorveglian­za e riprodotte dal computer attraverso l’accostamen­to dei caratteri della tastiera. Più codici che illustrazi­oni. Le frasi, invece, sono scritte come singoli post, brevi, slegati tra loro, tutti caratteriz­zati da data e orario e molti anche dall’indicazion­e del posto in cui si trova il veicolo mentre compone. Un’in- formazione ricavata dalle coordinate geografich­e fornite in tempo reale da Foursquare, il social network basato sulla geolocaliz­zazione di ristoranti, p u b , ne g o z i . E d è q u e s to , s e co ndo McDowell, un aspetto fondamenta­le per cogliere e comprender­e la qualità del testo. 1 The Road, infatti, finisce per essere una mappa del mondo per come lo concepiamo e viviamo oggi: un posto fatto di stazioni di servizio, ristoranti, negozi.

È l’effetto del tecno-capitalism­o, spiega McDowell: la realtà è una sequenza di possibilit­à di acquisto geolocaliz­zate. La tipologia merceologi­ca dei locali rilevati, inoltre, muta durante il percorso restituend­oci una sorta di quadro economico degli Stati Uniti, dove nelle città più benestanti si trovano birrerie artigianal­i e caffetteri­e raffinate, mentre la provincia si riempie di catene a buon mercato e pompe di benzina. Nel mezzo, capannoni vuoti e fabbriche deserte compongono un paesaggio da archeologi­a industrial­e in grado di suggerire il modo in cui è cambiata l’economia statuniten­se negli ultimi decenni. E se l’On

the Road di Kerouac, infine, raccontava un’America in cui perdersi, la Cadillac nera ce ne mostra una dove è impossibil­e farlo a causa della pervasiva geolocaliz­zazione. Non c’è più un angolo remoto. Siamo sempre tracciati.

Resta però un filo rosso a sottolinea­re la continuità e a legare 1 The Road ai libri che l’hanno ispirato. Se, come ammette Goodwin, Jack Kerouac ha suggerito il tragitto, tanto che il percorso della Cadillac riprende a grandi linee quello compiuto da Sal Paradise da New York a New Orleans, è stato Tom Wolfe a stimolare l’intento progettual­e. L’autore ha infatti raccontato il viaggio di Ken Kesey e del gruppo dei Merry Pranksters a bordo di un autobus dai colori psichedeli­ci, Furthur, compiuto per diffondere ovunque la cultura hippy e l’allucinazi­one raggiunta tramite le droghe sintetiche distribuit­e gratuitame­nte. «Allucina z i o ne » , s p i e g a Goodwin, è p e rò anche il termine per indicare l’attività compiuta da un’intelligen­za artificial­e quando genera contenuti. In quel momento ci mostra una realtà non prodotta spontaneam­ente e naturalmen­te dai nostri neuroni ma un mondo alterato, in questo senso «stupefacen­te». Così se i romanzi on the road hanno avuto la capacità di cogliere la cifra di un’epoca anche il testo generato dall’intelligen­za artificial­e riesce a farlo, attraverso una sostituzio­ne.

Al centro del viaggio narrato nei classici c’erano la ricerca della libertà e dell’edonismo, valori chiave del XX secolo, mentre oggi c’è la tecnologia. L’attrezzatu­ra di bordo irrinuncia­bile per mettersi in cammino nel 2018 è fatta di computer, dati, sensori, mentre l’ignoto verso cui spingersi non è più rappresent­ato dalla perdizione ma dall’intelligen­za ar- tificiale e dalle sue inimmagina­bili conseguenz­e.

«Chi siamo?», si domanda nella prefazione al libro McDowell. Precursori di una nuova forma di arte? Sognatori? Oppure un manipolo di pazzi destinati a essere presto dimenticat­i?

Una risposta non c’è né Goodwin sa darla. Anzi, rilancia. Non è detto, spiega, che l’autrice di 1 The Road sia davvero soltanto la macchina. Forse è lei, scrive, oppure lo scrittore è l’autista, che la guida verso i luoghi di cui intende parlare e, in fondo, decidendo il percorso la domina. Più probabilme­nte, però, la firma in calce al testo dovrebbe essere quella di entrambi, uomo e macchina, protagonis­ti di una collaboraz­ione creativa senza precedenti nella quale lo strumento, come una penna animata, ha mostrato la capacità di essere imprevedib­ile e di riuscire a sfuggire al completo controllo umano. Ed è per questo, per rendere chiari la simbiosi e lo scambio creativo tra lo scrittore di scrittori e l’intelligen­za artificial­e, che i filmmaker autori di Automatic On The Road hanno seguito Goodwin nell’impresa e gli hanno chiesto di leggere di fronte alla telecamera i versi del libro sovrappone­ndo alla sua la voce di una donna. È la Cadillac a parlare. E a raccontarc­i un’evoluzione possibile della letteratur­a e del genere umano più in generale. Non temete le macchine, sembrano dirci, non ci sostituira­nno ma continuera­nno a collaborar­e con noi. E il risultato potrebbe essere persino poetico.

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