Corriere della Sera - La Lettura
Una nuova sensualità lungo la Via della Seta
Le linee morbide e sensuali della statua di bodhisattva andata all’asta lo scorso 12 settembre da Sotheby’s a New York (battuta per 4 milioni 335 mila dollari, quasi il doppio della stima di partenza) raccontano del periodo d’oro del buddhismo in Cina. Quando, sotto la Dinastia Tang (618-907), si moltiplicavano i monasteri e l’influenza dei monaci arrivava fino a corte. Scolpita nel calcare (a fianco, un metro di altezza), raffigura probabilmente il Bodhisattva della Compassione, conosciuto anche come la dea della Misericordia, Guanyin. Tipici del buddhismo cinese e giapponese, i bodhisattva rappresentano personalità che, arrivate sulla soglia del Nirvana, rinunciano ad accedervi per aiutare gli esseri umani nel loro sforzo di chiudere il ciclo delle reincarnazioni. Sono figure estremamente popolari, capaci di indirizzare la devozione intersecandosi con le diverse tradizioni locali. La statua battuta a New York è un chiaro esempio di contaminazione tra lo stile tipico cinese e le influenze arrivate dall’India (e l’Asia Centrale) lungo la Via della Seta. Sguardo, postura, abbigliamento: tutto riporta alle fattezze soltanto da poco «digerite» da artigiani e scultori che operavano nella capitale, Chang’an, e altrove nell’Impero. Diverso il discorso sui tratti somatici (occhi a mandorla, naso appena accennato, labbra carnose, i capelli raccolti in una crocchia chiusa da un diadema) tipici di una nobildonna dell’epoca. Questo perché, rispetto alle statue della precedente dinastia Wei, finalmente gli artisti Tang avevano trovato committenti sganciati dai monarchi e desiderosi di imprimere la loro impronta aggiornata ai tempi. Non sapevano che la fortuna del buddhismo era ormai giunta alla fine: troppo potere, troppi privilegi.