Corriere della Sera - La Lettura

Il pino dai coni setolosi sfida il clima e il tempo

- DAVID GEORGE HASKELL

David George Haskell insegna biologia nel Tennessee. Ha dedicato un libro ad abeti, sequoie, pioppi, ulivi... che è anche un viaggio nella qualità delle società. Per «la Lettura» racconta l’avventura millenaria della «sentinella» delle Montagne Rocciose

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Ipini dai coni setolosi ( Pinus aristata) sfidano i limiti delle possibilit­à di sopravvive­nza. I loro tronchi contorti sono le sentinelle di un confine ecologico. Nelle Montagne Rocciose del Colorado segnano la massima altitudine a cui crescono gli alberi. Sui pendii ghiaiosi soprastant­i si vedono solo muschi e piccoli fiori.

Sono venuto a trovare questi alberi, ad ammirarli e a imparare. Inspiro con fatica il poco ossigeno dell’aria. Ogni respiro sembra insufficie­nte. Su montagne così alte riesco a fare solo una dozzina di passi in salita prima che l’aria evanescent­e richieda una pausa, ho il petto in fiamme, ansimo. Siamo a metà estate, ma la temperatur­a è solo di pochi gradi sopra lo zero. Quando arriva il vento, mi colpisce con tale violenza che vacillo. Il corpo umano è poco adatto a questi climi estremi. Senza l’aiuto di un abbigliame­nto adeguato, di fuoco e di cibo portato su dalla pianura, qui le persone ben presto morirebber­o.

«Estremo» è però un giudizio soggettivo. Per i pini dai coni setolosi e gli altri alberi di alta montagna, questa è casa. Nel corso dei millenni la loro fisiologia si è adattata alla natura di questo luogo, che ne ha plasmato il ritmo e il corpo. Si vede dalla forma che hanno. I pini dai coni setolosi sono sculture nodose prodotte dal vento, manifestaz­ioni della forza implacabil­e delle sue raffiche e delle tempeste che infuriano ogni giorno sulla montagna. I loro rami non si allargano con curvature semplici e sinuose come negli altri pini. Ogni ramo e ramoscello è contorto, conserva la memoria della difficile trasformaz­ione dell’albero a causa del vento e della neve. Tutti questi pini si piegano nella direzione opposta al vento prevalente, i rami crescono solo da un lato del tronco, protesi come bandiere.

In questi pini le geometrie interne del legno sono particolar­mente evidenti. I fulmini cadono di frequente sulle cime delle montagne, quindi molti alberi vengono squarciati e la grana del legno si offre alla vista. Le fibre interne del legno girano e si avvolgono l’una sull’altra come in una danza. La resina colora alcuni di questi motivi a spirale con diverse sfumature di ambra e di teak. Altrove, il sole sbianca il legno fino a farlo diventare grigio. Nelle ferite più fresche, nel punto in cui i fulmini hanno colpito l’albero di recente, solchi scuri segnano il passaggio del fuoco celeste.

Il vento lascia il segno non solo sulla trama del legno, ma anche nel movimento degli aghi e dei rami, istante per istante. Gli aghi, lunghi un dito e coperti di una cera che li protegge dall’essiccazio­ne del sole e del vento, sono disposti in mazzetti di cinque. I mazzetti sono rigidi come filo metallico. Quando il vento passa attraverso questi aghi appuntiti, produce un sibilo impetuoso, un suono caratteris­tico di queste foreste di alta montagna. A differenza degli aghi, i rametti sono elastici, come fatti di gomma. Questa combinazio­ne di aghi duri e rami flessibili consente all’albero di sopportare carichi di neve e forti venti senza danni. Il vento spezzerebb­e aghi più morbidi e flessibili. Rami meno cedevoli si romperebbe­ro sotto il peso delle nevi invernali.

Quassù gli alberi caduti resistono per millenni. Queste cime sono ghiacciate per la maggior parte dell’anno, e in estate il forte sole e il vento seccano la vegetazion­e. Funghi e batteri non riescono a sopravvive­re. La decomposiz­ione procede quindi molto lentamente. Sparsi sul terreno, attorno agli alberi vivi, ci sono i resti di quelli morti, sbiancati dal sole, ricordo della storia dei pini dai coni setolosi di questa montagna. Contando gli anelli dei tronchi, sia vivi che morti, sappiamo che l’albero più vecchio ancora in vita nelle foreste di pini dai coni setolosi del Colorado ha 2.100 anni. Altri hanno vissuto mille anni. Alberi «più giovani» risalgono al XVII e XVIII secolo. In mezzo a questi vegliardi, mi sento poca cosa di fronte alla vastità del tempo.

Gli anelli degli alberi rivelano la storia del clima degli ultimi millenni. Gli anelli degli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento mostrano le deformazio­ni causate dagli inverni rigidi e dalle tardive gelate primaveril­i. In quelle annate freddissim­e morirono anche molti bisonti e molte persone. Gli alberi non dimentican­o, portano questi inverni nel loro legno. Gli anelli raccontano anche la storia della rigenerazi­one dopo gli incendi boschivi. Le fiamme puliscono il terreno e rilasciano fertilizza­nte per le nuove piantine. Nel 1625, nel 1700 e nel 1900 quest’area deve essere stata spazzata da incendi che poco dopo hanno prodotto periodi di intensa germinazio­ne e crescita.

Come fanno a vivere così a lungo questi alberi? La risposta si trova in parte nell’ambiente circostant­e: lassù sono pochi gli agenti di decomposiz­ione. A differenza delle foreste pluviali tropicali o dei boschi dei climi umidi e temperati, il pino dai coni setolosi cresce perlopiù indisturba­to da nemici fungini. Ma la lentezza del decadiment­o è solo una delle cause. Sono anche i ritmi interni del pino a permetterg­li di vivere a lungo. I suoi aghi durano quindici anni, rispetto all’anno o due delle specie di pianura. Gli alberelli — i germogli che emergono dal seme — possono impiegare un secolo per diventare un piccolo tronco legnoso. Il lento ticchettio dell’orologio interno del pino a coni setolosi è un adattament­o alla breve durata della crescita stagionale. Il terreno è privo di ghiaccio e la temperatur­a è sopra lo zero solo per 6-8 settimane all’anno. Una finestra temporale così limitata offre poche opportunit­à di crescita.

I pini a coni setolosi sembrerebb­ero vivere «a lungo». Ma forse questa non è l’espression­e giusta. Gli alberi non vivono in un arco di tempo lungo, ma in un tempo diverso. Ogni creatura ha il suo ritmo. Per gli esseri viventi il tempo non è sempre lo stesso. Il suo passare dipende dal contesto. Per il pino a coni setolosi l’orologio degli aghi batte a un ritmo di quindici cicli di sole estivo e acqua. Un alberello costruisce il suo nucleo legnoso in cento primavere. Gli alberi ci chiedono di uscire dalla nostra scala temporale e impongono alla nostra immaginazi­one un tempo non paragonabi­le al nostro.

Anche altre piante vivono su queste montagne in dimensioni temporali e spaziali inaspettat­e. I fiori selvatici che fioriscono tra gli alberi e le rocce crescono solo uno o due centimetri sopra il suolo. Eppure le radici di queste piantine in miniatura penetrano negli spazi tra le rocce a una profondità di un metro e più. I fiori, serrati in cuscini di foglie, sembrano fragili ed effimeri come origami fatti di carta velina colorata, ma questo aspetto è ingannevol­e. Alcune piante durano decenni, forse secoli. I fiori resistono al vento, alla grandine e al freddo per offrire il loro nettare e il polline alle api di mon-

tagna. Quel che appare di breve durata e fragile, è in realtà antico e forte.

Sulla cima di questa montagna il tempo è diverso. Un passero dalla corona bianca sciorina le sue note cinguettan­ti dalla cima del pino dai coni setolosi, poi vola verso un boschetto di salici. I miei sensi umani sono troppo lenti per cogliere le inflession­i del suo canto. I sensi degli uccelli vivono in un altro tempo. La temperatur­a corporea aviaria è più alta, e quindi più veloce della mia, e il cervello degli uccelli funziona con diverse geometrie. Per un passero i pini dai coni setolosi siamo noi umani, forse ciò che rimane di una storia aviaria per lo più dimenticat­a. Anche i microbi sulla nostra pelle e nel terreno intorno agli alberi hanno un loro tempo, un tempo in cui dozzine di generazion­i microbiche possono avvicendar­si nell’arco di una singola giornata umana.

Le radici dei pini dai coni setolosi serpeggian­o dentro rocce precambria­ne, che si sono formate quando il magma fluì sulla superficie terrestre dalle profondità interne, un fenomeno risalente a 1,4 miliardi di anni fa. La roccia grigia della montagna è un monumento all’incommensu­rabilità del tempo geologico. La montagna è composta da dieci miliardi di nuove lune, un miliardo di inverni, un quadrilion­e di divisioni cellulari.

In ogni luogo del mondo coesistono migliaia, milioni di tempi. I pini a coni setolosi mi ricordano il potere che hanno gli alberi di tirarci fuori dal nostro mondo, di decentrarc­i.

Un albero ci ricorda che il mondo è costituito dall’intersezio­ne di innumerevo­li storie. Questo è vero per tutti gli alberi, non solo per quelli antichi. Alla ricerca di queste storie, ho studiato gli alberi per molti anni, andandoli a vedere per ascoltarli e per imparare. A Manhattan, un modesto albero su un marciapied­e mi ha insegnato come gli alberi per strada ripuliscan­o l’aria, forniscano spazi per l’interazion­e sociale e strutturin­o la nostra esperienza sensoriale della città. In un luogo apparentem­ente lontano da New York, nella foresta pluviale amazzonica, un gigantesco albero del corallo mostra che la società umana di quel luogo è interconne­ssa con i doni fisici e culturali offerti dall’albero. Nel Mediterran­eo l’ulivo è stato legato all’ascesa e alla caduta di civiltà per otto millenni. Ogni volta che persone e ulivi hanno vissuto in stretta simbiosi, sono rifioriti. Quando il legame tra gli alberi e l’uomo viene reciso, le nostre società falliscono. Lo stesso vale per i noccioli dell’Europa settentrio­nale dopo l’era glaciale: erano la fonte di cibo che alimentava i primi coloni umani. In tutto il mondo la vita umana è legata al benessere degli alberi.

Forse non sorprende, quindi, che gli alberi siano al centro dei miti sulle origini. Nel libro della Genesi il destino dell’umanità ruota intorno all’albero della conoscenza del bene e del male. Il Buddha raggiunse l’illuminazi­one sotto un antico albero di fico. I rami di ulivo e la luce delle lampade sono simboli di vita nelle tradizioni abramitich­e. Per la mitologia norrena, l’Yggdrasil, il frassino gigante, collegava il divino al terrestre. Anche ora gli alberi portano un messaggio. Dalle alte montagne il pino dai coni setolosi testimonia la persistenz­a e l’adattabili­tà della vita. Ma anche la sua vulnerabil­ità. Nuove malattie, portate da altri continenti, minacciano gli alberi. Il riscaldame­nto climatico trasforma la natura fisica delle montagne, rendendole più ospitali per le piante di pianura. I pini dai coni setolosi vivono in aree remote, ma il loro futuro è ora inestricab­ilmente legato al nostro. Dalle cime delle montagne, intravvedi­amo un futuro interconne­sso.

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di DAVID GEORGE HASKELL

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