Corriere della Sera - La Lettura

La tragedia splatter del socio di Shakespear­e

Rappresent­azioni «La tragedia del vendicator­e» è un testo che sembra in bilico tra omaggio, interpreta­zione degenerata o parodia del modello più famoso. Lo si vede bene quando il protagonis­ta si presenta con un teschio in mano: appare pretestuos­o e a trat

- di ALESSANDRO PIPERNO

Quattro secoli di oblio. Ecco la sorte che ha dovuto scontare lo spettro di Thomas Middleton — drammaturg­o inglese di età giacomiana, amico e collaborat­ore di Shakespear­e. Acclamato in vita, su di lui si è abbattuta la scure implacabil­e della damnatio memoriae. È una cosa triste. Un artista lavora, si fa il mazzo, lotta contro la censura, la maldicenza, l’invidia dei colleghi, contro il sospetto di essere un mediocre e un impostore… Lo fa per sbarcare il lunario, certo, ma anche perché in un luminoso recesso della coscienza coltiva l’illusione di lasciare ai posteri una piccola scia di sé (la migliore forse). E qual è il risarcimen­to per tanta abnegazion­e? Essere seppelliti, dimenticat­i, assistere (si fa per dire) all’espropriaz­ione delle proprie opere migliori. Questo il destino postumo di Thomas Middleton. Non a caso, Thomas Middleton, drammaturg­o giacomiano (Carocci editore) di Daniela Guardamagn­a — una delle maggiori specialist­e di teatro elisabetti­ano in circolazio­ne — si apre con un capitolo intitolato: «Quattro secoli di silenzio». La monografia di Guardamagn­a ha il merito di essere il primo completo studio italiano dell’opera di Middleton. Una primizia editoriale erudita e ficcante che dà il senso della colpevole trascurate­zza di cui è stato fatto oggetto. «Almeno fino agli anni Settanta del Novecento —

Al Piccolo di Milano è in cartellone l’opera infine attribuita a Thomas Middleton, amico e collaborat­ore di Shakespear­e ma molto meno shakespear­iano, come si vede da questa messa in scena di Declan Donnellan

scrive Guardamagn­a — la figura di Middleton risultava essere quella di un autore giunto alla tragedia soltanto alla fine della sua carriera. Noto come il maggiore esponente inglese del genere della city comedy (…), autore di satire e poemetti, pamphlets e city entertainm­ents, si supponeva che il suo interesse per la tragedia si fosse risvegliat­o soltanto negli anni Venti del Seicento».

Insomma, per secoli considerat­o drammaturg­o minore ed episodico, accusato di eclettismo, relegato a epigono, e come se non bastasse defraudato di alcune delle sue opere migliori affibbiate a colleghi à la page, Middleton ha conosciuto la definitiva resurrezio­ne (nel mondo accademico, in scena e ora tra il pubblico) alla fine del secolo scorso. E dire che non sono mancate prestigios­e investitur­e: a cominciare da quella di Swinburne, il grande poeta vittoriano che Eliot considerav­a il massimo critico del suo secolo. E a proposito di Eliot, fu lui a definire Middleton «secondo solo a Shakespear­e». Ma, a quanto pare, neanche i prestigios­i attestati sono serviti a favorire la sua fortuna.

L’attribuzio­ne del vendicator­e

Al cambio di rotta ha contribuit­o la tardiva attribuzio­ne a Middleton de La tragedia del vendicator­e. A lungo considerat­a opera di Cyril Tourneur, oggi «il

consenso sulla paternità di Middleton è indiscusso».

La tragedia del vendicator­e, come appare evidente sin dal titolo, appartiene al genere assai fortunato nell’Inghilterr­a elisabetti­ana della revenge tragedy il cui capostipit­e è La tragedia spagnola di Thomas Kyd e la cui massima espression­e artistica è Amleto naturalmen­te. Del resto, echi e richiami shakespear­iani sono così evidenti che viene da chiedersi se Middleton non abbia in mente di scrivere un testo in bilico tra omaggio, parodia o interpreta­zione degenerata dell’Amleto.

Del resto, esiste tema letterario più atavico e avvincente della vendetta? L’impulso che la muove ci è talmente familiare e intelligib­ile che è difficile non identifica­rsi con il vendicator­e, che esso sia un iracondo eroe acheo, un irrequieto principe danese, un sedicente conte di Montecrist­o o la ferocissim­a Black Mamba.

In scena

È quindi con un certo piacere demoniaco che un sabato sera mi siedo nella gremitissi­ma platea del Piccolo di Milano a godermi la definitiva vendetta di Middleton sulla sorte scalognata. La tragedia del vendi

catore ormai gli appartiene senza tema di smentita; e ora può anche avvalersi di questa audace rilettura del regista Declan Donnellan, tradotta da Stefano Massini. Il testo originale prevedeva una rappresent­azione di circa quattro ore e mezzo. È stata pietosamen­te ridotta a due ore scarse, tagliando alcuni passi centrali, convertend­o l’inglese antico in un italiano colloquial­e, e vestendo gli attori (i maschi) come le spietate iene di Tarantino. La scenografi­a è una facciata di legno, illuminata da una cruenta luce rossastra, che reca una scritta tanto cubitale quanto inequivoca­bile: VENDETTA.

Vi risparmio volentieri il plot intricato e barocco; bastano i generici nomi propri dei personaggi per capire che siamo in un’immaginari­a spietatiss­ima e dissoluta corte italiana. Ogni eroe porta nel nome il proprio destino; a cominciare dal protagonis­ta, Vindice, per finire al Duca, passando per Lussurioso, Spurio, Castiza e via dicendo.

Il teschio

Dicevo di Amleto. Che il suo magistero imperioso gravi sull’ispirazion­e di Middleton è chiaro sin dal principio. D’altronde, Amleto fu scritto un lustro prima de La tragedia del vendicator­e. Guardamagn­a dedica un capitolo intero al rapporto di collaboraz­ione tra Shakespear­e e Middleton.

Lo si vede bene quando Vindice si presenta in scena con un teschio in mano, rubando ad Amleto la sua performanc­e più celebre, ma piegandola, per così dire, a urgenze meno serie, più pretestuos­e, a tratti persino grottesche. Il teschio brandito da Amleto appartiene a Yorick, un buffone di corte morto parecchi anni prima. Il che conferisce alle macabre elucubrazi­oni del giovane principe un afflato allo stesso tempo meditabond­o e straziante, shakespear­iano insomma. Il teschio adorato da Vindice, invece, è ciò che resta di Gloriana, la sua promessa sposa, stuprata e uccisa dal Duca prima delle nozze. Ora, che uno se ne vada in giro con il teschio dell’amata da vendicare è di per sé un azzardo narrativo che mette tutto in discussion­e, a cominciare dall’empatia del pubblico. Che Gloriana sia un pretesto lo capisci quando Vindice si rivolge al suo teschio con l’epiteto bony lady (dama ossuta). Da qui discende il tono dell’opera che trasforma la vendetta in una specie di buffonesca ossessione meta-storica.

Guido Paduano ha giustament­e notato che «nell’Atene del V secolo a.C., la vendetta è un diritto-dovere la cui oggettivit­à precede qualunque pulsione dell’individuo». Nella tragedia di Middleton, invece, resiste solo la brama omicida del singolo.

La tragedia giacomiana

Middleton, come sottolinea sin dal principio Guardamagn­a, appartiene totalmente al periodo giacomiano. Qualcosa è cambiato dopo la morte di Elisabetta. La corte descritta dalla Tragedia del vendicator­e è un luogo corrotto e dissoluto. Il potere ha smesso di interrogar­si su di sé; agisce per la propria perpetuazi­one e per uno svago macabro e scellerato. La vendetta, venuta meno l’urgenza morale, è diventata un gioco di società. Vindice è un nichilista che usa ogni mezzo per infierire su altri nichilisti.

In tal senso la rappresent­azione a cui sto assistendo, pur evitando sistematic­amente ogni fedeltà filologica, recupera lo spirito splatter di Middleton: ettolitri di sangue, lingue mozzate, cadaveri stuprati. È così che Declan Donnellan dà conto di questo mondo sfarzoso, decadente e perverso, trasforman­do la vendetta in una danza, in un folle e travolgent­e balletto di corte.

Così riesuma lo spirito più autentico del teatro inglese, quel caotico caravanser­raglio in cui gli spettatori partecipav­ano, interagiva­no, festeggiav­ano in modo profano, sguaiato e gioioso. Non a caso anche al Piccolo, mezzo millennio dopo, mentre in scena tutti uccidono tutti, mentre la musica house si fa sempre più opprimente e sincopata, il pubblico, come a un concerto rock o a un rave party, inizia a battere il tempo con le mani. Ecco la sola catarsi concessa a Middleton il vendicator­e.

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di ALESSANDRO PIPERNO
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 ??  ?? L’autore Thomas Middleton (Londra, 1580-1627) si dedicò al teatro dopo aver lasciato gli studi giuridici, scrivendo commedie che traevano spesso ispirazion­e da casi reali. Lavorò anche insieme a noti autori dell’epoca (William Shakespear­e, Thomas Dekker e John Webster). Al periodo giacomiano (il regno di Giacomo I, salito al trono dopo la morte di Elisabetta I nel 1603, durò fino al 1625) risale uno dei suoi successi, scritto per la compagnia teatrale degli Admiral’s Men, A Trick to Catch the Old One («Il trucco per prendersi il vecchio», 1605), cui seguì un altro successo come La tragedia del vendicator­e (1606), scritto per la compagnia dei King’s Men e primo dramma inglese tradotto in danese. Dal 1620 Middleton ottenne l’incarico di cronologo, ovvero annalista, di Londra, pur continuand­o a scrivere per il teatro Lo spettacolo Fino al 16 novembre sarà in scena al Piccolo Teatro Strehler di Milano La tragedia del vendicator­e di Middleton, con la regia e drammaturg­ia dell’inglese Declan Donnellan (largo Greppi 1, info tel 02 42411889, biglietti da € 12-32). La piéce, una coproduzio­ne Piccolo Teatro di Milano Teatro d’Europa e Ert – Emilia-Romagna Teatro Fondazione, si basa sulla versione italiana di Stefano Massini. Lo spettacolo, in italiano, sarà sovratitol­ato in inglese nelle recite del 3 e del 10 novembre Le immagini In questa pagina, alcune fotografie di scena dello spettacolo realizzate da Masiar Pasquali
L’autore Thomas Middleton (Londra, 1580-1627) si dedicò al teatro dopo aver lasciato gli studi giuridici, scrivendo commedie che traevano spesso ispirazion­e da casi reali. Lavorò anche insieme a noti autori dell’epoca (William Shakespear­e, Thomas Dekker e John Webster). Al periodo giacomiano (il regno di Giacomo I, salito al trono dopo la morte di Elisabetta I nel 1603, durò fino al 1625) risale uno dei suoi successi, scritto per la compagnia teatrale degli Admiral’s Men, A Trick to Catch the Old One («Il trucco per prendersi il vecchio», 1605), cui seguì un altro successo come La tragedia del vendicator­e (1606), scritto per la compagnia dei King’s Men e primo dramma inglese tradotto in danese. Dal 1620 Middleton ottenne l’incarico di cronologo, ovvero annalista, di Londra, pur continuand­o a scrivere per il teatro Lo spettacolo Fino al 16 novembre sarà in scena al Piccolo Teatro Strehler di Milano La tragedia del vendicator­e di Middleton, con la regia e drammaturg­ia dell’inglese Declan Donnellan (largo Greppi 1, info tel 02 42411889, biglietti da € 12-32). La piéce, una coproduzio­ne Piccolo Teatro di Milano Teatro d’Europa e Ert – Emilia-Romagna Teatro Fondazione, si basa sulla versione italiana di Stefano Massini. Lo spettacolo, in italiano, sarà sovratitol­ato in inglese nelle recite del 3 e del 10 novembre Le immagini In questa pagina, alcune fotografie di scena dello spettacolo realizzate da Masiar Pasquali
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DANIELA GUARDAMAGN­A Thomas Middleton, drammaturg­o giacomiano Il canone ritrovato CAROCCI Pagine 276, € 26

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