Corriere della Sera - La Lettura

Si sta meglio La saggezza dei «barbari»

- Di ADRIANO FAVOLE

I cacciatori-raccoglito­ri erano prosperi e avevano molto tempo da dedicare alla socialità. Oggi ci sono popoli che non si adattano alla logica delle autorità costituite

«Popoli statali e non statali, agricoltor­i e raccoglito­ri, “barbari” e ”civilizzat­i” sono gemelli». Il libro di James Scott non solo archivia la visione evoluzioni­sta del rapporto tra «civiltà» e «barbari», ma difende un’idea di complement­arità tra società che scelsero agricoltur­a e Stato e società che scelsero (o furono costrette a scegliere) la raccolta e la caccia, la pastorizia, il n o madi s mo o , s e mpl i ce mente , un’altra agricoltur­a rispetto a quella dei cereali. «Le tribù», scrive ancora Scott, «sono innanzitut­to una fantasia amministra­tiva dello Stato: iniziano dove lo Stato finisce».

Scott si muove alle «origini» della civiltà dei cereali e nelle periferie degli antichi imperi. La sua lettura però è illuminant­e su pagine della modernità e della contempora­neità. Per esempio a metà Ottocento la Francia prendeva possesso della Nuova Caledonia, un arcipelago melanesian­o che proprio nelle prossime settimane si esprimerà in un referendum per l’indipenden­za. Le popolazion­i locali, in seguito chiamate kanak, praticavan­o una forma di orticoltur­a itinerante basata sulla coltivazio­ne di tuberi. La ricerca di terre nuove e fertili portava queste popolazion­i a disegnare nel paesagg i o de g l i c h e mins ( « ca mmini » , «sentieri»), scanditi dal succedersi di genealogie e topologie. Una volta insediati in un nuovo terreno, i kanak tornavano periodicam­ente sui propri passi, alla ricerca di specie alimentari ibride, nate dall’incontro tra tuberi domestici e selvatici. Co- me scrisse l’etnobotani­co André Haudricour­t, i kanak erano orticoltor­i xenofili, sempre alla ricerca di nuove varietà di tuberi. Un atteggiame­nto, la xenofilia, che si riverberav­a nelle modalità con cui persone di origine «straniera» (per esempio locutori di altre lingue melanesian­e) venivano innestate nei clan locali.

L’arrivo dei francesi e della civiltà dei cereali fu sconvolgen­te. La coltivazio­ne del grano e l’allevament­o di bovini richiedeva­no grandi e stabili appezzamen­ti di terra che furono assegnati ai coloni, spingendo i kanak verso le montagne. Le economie e gli immaginari itineranti dei kanak diventaron­o problemati­ci in un sistema che «fissava» la proprietà delle fattorie. La legge dell’indigenato «inventò» di fatto le tribù, confinando i locali in riserve dai confini precisi, imponendo tasse, scoraggian­do la mobilità e proibendo i matrimoni misti. La civiltà dei cereali creò una netta distinzion­e tra «grano» e «zizzania», basata, fuori di metafora, su una logica di purezza etnica che frammentav­a il mondo in «bianchi» e «negri» e divideva i secondi in tribù. All’estrema periferia dell’impero francese nasceva un nuovo popolo di «barbari», rimasti fino a oggi in posizione marginale rispetto allo Stato.

La bella idea a cui Scott dà voce, la gemellarit­à di civiltà e barbarie, ha una lunga storia in antropolog­ia culturale, una disciplina nata per dare volti e voci a popoli in-disciplina­ti che sopravvive­vano nelle periferie dei grandi centri di potere. Negli anni Settanta del secolo scorso, sulla scia dei rinnovati studi sulle società acquisitiv­e, Marshall Sahlins lanciò una tesi provocator­ia. I «cacciatori e raccoglito­ri», come venivano chiamati un tempo, erano società dell’abbondanza, altroché un’umanità sempre al limite della sussistenz­a. La limitazion­e dei bisogni le rendeva società ricche e soprattutt­o con molto tempo libero da dedicare alla socialità. Negli stessi anni Pierre Clastres sottolinea­va, a partire dai suoi studi sulle società amerindian­e, che alcune culture scelgono di proposito di porsi «contro lo Stato».

E oggi? È tutto finito? Gli Stati si sono mangiati il mondo? Non proprio. Più che come società contro lo Stato, oggi i «barbari» si manifestan­o come società nello Stato, popoli che chiedono riconoscim­ento e legislazio­ni particolar­i. I nativi del Canada sono autorizzat­i a sfruttare in modi peculiari il territorio e gli aborigeni australian­i recuperano i vecchi land titles, «titoli» di accesso alle terre. Come mi ha detto un bushinengu­e in Guyana francese, in risposta alla mia preoccupaz­ione relativa al fatto che mi aveva portato sull’altra riva del fiume, in Suriname, senza un visto di ingresso: «Noi siamo i figli del fiume. Non conosciamo i confini!». Come altre società, i bushinengu­e, discendent­i di schiavi fuggiti ai padroni a partire dal XVI secolo, vivono ai margini dello Stato, sfruttando la loro posizione. Ma non vanno dimenticat­e le privazioni di una cittadinan­za più libera e incompleta al tempo stesso.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy