Corriere della Sera - La Lettura

Il quarto illuminism­o

- Di MAURO BONAZZI

Quando era ancora giovane, all’inizio di una carriera che si sarebbe rivelata folgorante, Edward Wilson, il futuro padre della sociobiolo­gia, andò in visita da un eminente collega di Harvard. Era un entomologo ancora poco conosciuto fuori dagli ambienti accademici, di nome faceva Vladimir Nabokov. Parlarono a lungo, di farfalle, soprattutt­o di quelle sconosciut­e, e di tutto quello che ancora attende di essere scoperto nell’universo. Anche Aristotele, il filosofo per eccellenza, si accalorava per ragioni analoghe: «Non si deve nutrire un infantile disgusto verso lo studio dei viventi più umili», scriveva, «in tutte le realtà naturali c’è qualcosa di meraviglio­so». Non sembrano argomenti particolar­mente intriganti. In realtà sono questioni di vitale importanza, se solo si capisce che cosa c’è in gioco. La spiegazion­e, comunque, era già nelle farfalle, quelle ancora da scoprire e quelle che svolazzano davanti a noi tutti i giorni.

«Effimero» è l’aggettivo che viene usato per descriverl­e. È una parola greca, letteralme­nte significa «di un giorno». Così sono le farfalle, belle nella loro fragilità, che dura lo spazio di un momento prima di rieclissar­si nel nulla da cui sono emerse. Qual è il senso, o il valore, dell’esistenza di una farfalla nella storia dell’universo che si dispiega davanti a noi? È lo scandalo della morte, che toglie colore a tutto.

I Greci, però, quell’aggettivo non lo riferivano alle farfalle. Lo usavano per parlare di noi, i mortali per eccellenza. Di fronte al precipitar­e dei secoli, in questi spazi infiniti che mai potremo percorrere, quale sarebbe la differenza rispetto alle farfalle? Forse nessuna. O forse sì, qualche differenza c’è. Diversamen­te dalle farfalle possiamo pensare, ad esempio, porci do-

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