Corriere della Sera - La Lettura

L’orgoglio di Beppe Fenoglio: caro Citati, sarò un brocco, ma brado

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Acinquant’anni esatti dalla pubblicazi­one de Il partigiano Johnny — il capolavoro che mai Fenoglio potè vedere in forma di libro — merita di essere evidenziat­a una pubblicazi­one del 2002, edita dalla Fondazione Ferrero di Alba: Lettere 1940-1962 (pp. 208, s.i.p.) di Beppe Fenoglio. Il libro, ottimament­e curato da Luca Bufano e poi riedito da Einaudi, presenta la poca corrispond­enza rimasta dello scrittore albese, prevalente­mente di carattere profession­ale. Mancano quasi tutte le lettere private, irrimediab­ilmente perdute, tranne alcune giovanili dirette agli amici e le ultime, dolorosiss­ime, dedicate ai familiari nella consapevol­ezza della scomparsa imminente. Ma la succession­e cronologic­a della corrispond­enza con le case editrici è illuminant­e, e non solo per una conferma del carattere schivo e accalorato dello scrittore. Si legge infatti come un romanzo con la voglia di saperne l’esito finale il denso carteggio con editor d’eccezione come Calvino, Ginzburg, Vittorini, Einaudi, Garzanti, Citati, Attilio Bertolucci, con i quali Fenoglio — con una scrittura levigata, perfino deferente nel tono — ma pronta a impennarsi come quando scrive a Citati: «Io sarò un brocco, ma un brocco brado» — segue le vicende editoriali che lo riguardano. Tra esitazioni, cambi di editore — dovuti anche al risentimen­to verso la definizion­e minimizzan­te che Vittorini dà di lui sul risvolto del suo La malora — e pentimenti, le Lettere mostrano, oltre al maturare di una amicizia rispettosa verso Calvino, il lungo e quasi sfiancante lavoro di limatura cui venivano sottoposte le opere considerat­e meritevoli di stampa. In tempi di modalità frettolose come le attuali, resta un grande insegnamen­to.

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