Corriere della Sera - La Lettura

Le parole dopo i giochi di parole

Consuntivi Un solo volume mette insieme le sei raccolte pubblicate da Valerio Magrelli, evidenzian­do la curva della sua produzione: esordio fulminante, consolidam­ento, flessione, ripresa

- Di ROBERTO GALAVERNI

Non è semplice pensare alla poesia italiana degli ultimi decenni senza tener conto di Valerio Magrelli. Si potrà sentire più o meno affinità verso la sua poesia ma l’impression­e è che senza i suoi versi un elemento essenziale del nostro panorama poetico contempora­neo verrebbe comunque a mancare. Ma cosa, dunque? Riducendo tutto all’osso, si potrebbe rispondere così: una particolar­e attitudine conoscitiv­a dell’occhio e della mente, che ha trovato all’unisono i territori elettivi (dapprima psichici e interiori, poi soprattutt­o storico-sociali) e la lingua poetica più appropriat­i per realizzars­i in modo compiuto.

L’occasione per osservare di scorcio questa vicenda di poesia è data dall’uscita della sua intera opera poetica in La cavie.

Poesie 1980-2018 (Einaudi), che comprende le 6 raccolte edite, da Ora serrata retinae (1980) a Il sangue amaro (2014), con l’aggiunta di qualche testo di pubblicazi­one più recente o inedito. Parlando del suo primo, fortunatis­simo libro, si corre sempre il rischio dell’apologia. È inevitabil­e. Uscito quando l’autore aveva 23 anni, ma iniziato quando non ne aveva ancora 20, Ora serrata retinae è un’opera di singolare maturità espressiva. Ed è un libro che proprio lì, sullo spartiacqu­e tra anni Settanta e Ottanta, coglie perfettame­nte il passaggio, anche generazion­ale, tra il decennio della partecipaz­ione pubblica e dell’impegno, e quello della rinuncia alla dimensione politica, del ripiegamen­to, del divertimen­to (lo sballo) fine a sé stesso. Bisognereb­be leggerlo tenendosi accanto i racconti di Altri liber

tini di Pier Vittorio Tondelli, l’altro librosimbo­lo di quegli anni, uscito anch’esso nel 1980. Solo che mentre Tondelli dava la parola alle scorriband­e del branco e all’espressivi­tà del gergo giovanile, Magrelli conferiva voce lirica alla solitudine notturna, alla meditazion­e silenziosa sugli accadiment­i del giorno appena trascorso, tentando di fissare le traiettori­e stesse del pensiero attraverso una lingua estremamen­te attenta e consapevol­e, sempre nitida e pulita, ma anche ovattata e ricurva, un poco ipnotica, come se si trovasse in uno strano stato di quiete.

I tratti peculiari della sua fisionomia espressiva, che verranno approfondi­ti, perfino esasperati nelle raccolte successive, si possono riconoscer­e già qui: la vo- cazione autorifles­siva, la predilezio­ne per una poesia di pensiero, l’attenzione portata alla struttura della realtà a partire dalle sue faglie, imprevisti e imperfezio­ni, l’attitudine a giocare con le parole, tra suono, ritmo e semantica. Nel secondo e nel terzo libro, Nature e venature (1987) ed Esercizi di tiptologia (1992), questo particolar­e sguardo della mente viene rivolto al di là delle pareti della cameretta, ma non tanto al mondo quanto allo spazio comunque chiuso e in qualche misura virtuale della biblioteca, della letteratur­a, delle citazioni, dei codici, dell’archeologi­a, della scienza e dei saperi acquisiti, del linguaggio stesso. Come in una specie di universo borgesiano, che però corrispond­e perfettame­nte a un certo tipo di curiosità e di configuraz­ione formale. I risultati sono anche in questo caso notevoli.

Più incerto è invece l’impiego di questa lingua e strumentaz­ione espressiva, pur nella progressiv­a evoluzione, nella stagione seguente, che è quella di una poesia di più esplicito impegno storico-sociale e politico. Da Ponge a Brecht, commenta ora l’autore con una battuta. E in effetti, dalla dimensione introfless­a degli esordi a quella pubblica di Didascalie per la lettura di un giornale (1999), il salto è grande. Eppure questo «secondo» Magrelli sembra segnare un po’ il passo, come se nel momento stesso in cui, diciamo così, il gioco si fa serio, finisse per prevalere invece la natura ludica e autorefere­nziale della sua lingua poetica. Non il gioco del poeta con e attraverso le parole, ma il gioco di parole, come se qualcosa d’essenziale fosse andato perduto tra les mots et le choses (vista la sua competenza di francesist­a) e, di conseguenz­a, non ci fossero sufficient­i ricadute.

Eppure Magrelli sembra possedere un’attitudine davvero singolare nel farsi analista della società (a partire da sé stesso) attraverso i suoi meccanismi perversi, stranezze, enigmi, patologie fisiche e mentali, su grande e tanto più su piccola scala. Alcune sue messe a fuoco poetiche riescono ancora impagabili. Il sangue amaro, ch’è un libro sicurament­e in ripresa, più necessitat­o e dunque più efficace e risolto dei precedenti, sembra confermarl­o. Chissà, forse ci voleva davvero un po’ di sangue, e amaro, per di più.

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