Corriere della Sera - La Lettura
Le parole dopo i giochi di parole
Consuntivi Un solo volume mette insieme le sei raccolte pubblicate da Valerio Magrelli, evidenziando la curva della sua produzione: esordio fulminante, consolidamento, flessione, ripresa
Non è semplice pensare alla poesia italiana degli ultimi decenni senza tener conto di Valerio Magrelli. Si potrà sentire più o meno affinità verso la sua poesia ma l’impressione è che senza i suoi versi un elemento essenziale del nostro panorama poetico contemporaneo verrebbe comunque a mancare. Ma cosa, dunque? Riducendo tutto all’osso, si potrebbe rispondere così: una particolare attitudine conoscitiva dell’occhio e della mente, che ha trovato all’unisono i territori elettivi (dapprima psichici e interiori, poi soprattutto storico-sociali) e la lingua poetica più appropriati per realizzarsi in modo compiuto.
L’occasione per osservare di scorcio questa vicenda di poesia è data dall’uscita della sua intera opera poetica in La cavie.
Poesie 1980-2018 (Einaudi), che comprende le 6 raccolte edite, da Ora serrata retinae (1980) a Il sangue amaro (2014), con l’aggiunta di qualche testo di pubblicazione più recente o inedito. Parlando del suo primo, fortunatissimo libro, si corre sempre il rischio dell’apologia. È inevitabile. Uscito quando l’autore aveva 23 anni, ma iniziato quando non ne aveva ancora 20, Ora serrata retinae è un’opera di singolare maturità espressiva. Ed è un libro che proprio lì, sullo spartiacque tra anni Settanta e Ottanta, coglie perfettamente il passaggio, anche generazionale, tra il decennio della partecipazione pubblica e dell’impegno, e quello della rinuncia alla dimensione politica, del ripiegamento, del divertimento (lo sballo) fine a sé stesso. Bisognerebbe leggerlo tenendosi accanto i racconti di Altri liber
tini di Pier Vittorio Tondelli, l’altro librosimbolo di quegli anni, uscito anch’esso nel 1980. Solo che mentre Tondelli dava la parola alle scorribande del branco e all’espressività del gergo giovanile, Magrelli conferiva voce lirica alla solitudine notturna, alla meditazione silenziosa sugli accadimenti del giorno appena trascorso, tentando di fissare le traiettorie stesse del pensiero attraverso una lingua estremamente attenta e consapevole, sempre nitida e pulita, ma anche ovattata e ricurva, un poco ipnotica, come se si trovasse in uno strano stato di quiete.
I tratti peculiari della sua fisionomia espressiva, che verranno approfonditi, perfino esasperati nelle raccolte successive, si possono riconoscere già qui: la vo- cazione autoriflessiva, la predilezione per una poesia di pensiero, l’attenzione portata alla struttura della realtà a partire dalle sue faglie, imprevisti e imperfezioni, l’attitudine a giocare con le parole, tra suono, ritmo e semantica. Nel secondo e nel terzo libro, Nature e venature (1987) ed Esercizi di tiptologia (1992), questo particolare sguardo della mente viene rivolto al di là delle pareti della cameretta, ma non tanto al mondo quanto allo spazio comunque chiuso e in qualche misura virtuale della biblioteca, della letteratura, delle citazioni, dei codici, dell’archeologia, della scienza e dei saperi acquisiti, del linguaggio stesso. Come in una specie di universo borgesiano, che però corrisponde perfettamente a un certo tipo di curiosità e di configurazione formale. I risultati sono anche in questo caso notevoli.
Più incerto è invece l’impiego di questa lingua e strumentazione espressiva, pur nella progressiva evoluzione, nella stagione seguente, che è quella di una poesia di più esplicito impegno storico-sociale e politico. Da Ponge a Brecht, commenta ora l’autore con una battuta. E in effetti, dalla dimensione introflessa degli esordi a quella pubblica di Didascalie per la lettura di un giornale (1999), il salto è grande. Eppure questo «secondo» Magrelli sembra segnare un po’ il passo, come se nel momento stesso in cui, diciamo così, il gioco si fa serio, finisse per prevalere invece la natura ludica e autoreferenziale della sua lingua poetica. Non il gioco del poeta con e attraverso le parole, ma il gioco di parole, come se qualcosa d’essenziale fosse andato perduto tra les mots et le choses (vista la sua competenza di francesista) e, di conseguenza, non ci fossero sufficienti ricadute.
Eppure Magrelli sembra possedere un’attitudine davvero singolare nel farsi analista della società (a partire da sé stesso) attraverso i suoi meccanismi perversi, stranezze, enigmi, patologie fisiche e mentali, su grande e tanto più su piccola scala. Alcune sue messe a fuoco poetiche riescono ancora impagabili. Il sangue amaro, ch’è un libro sicuramente in ripresa, più necessitato e dunque più efficace e risolto dei precedenti, sembra confermarlo. Chissà, forse ci voleva davvero un po’ di sangue, e amaro, per di più.