Corriere della Sera - La Lettura

Salvate le vostre foto e salverete voi stessi

Intervista Esce il nuovo volume della saga di Miss Peregrine, portata sullo schermo da Tim Burton. Una vicenda che inaugura una nuova trilogia fantastica e inizia da una collezione di immagini. L’autore, Ransom Riggs, spiega perché

- PIERDOMENI­CO BACCALARIO

Ransom Riggs è un raffinato autore americano di narrativa per ragazzi, classe 1979, appassiona­to di curiosità linguistic­he, di Sherlock Holmes e di vecchie fotografie. Qualche anno fa gli venne l’idea di sceglierne una ventina e di proporre a Quirk Books, il suo editore, di farne una albo illustrato. Era una bell’idea, ma l’editore lo convinse a fare qualcosa di più lungo, articolato. Nacque così Miss Peregrine. La casa dei bambini speciali, una trilogia di libri magici e spaventosi, non a caso poi adattati al cinema da Tim Burton. In questi giorni esce il quarto volume, che è in realtà il primo di una seconda trilogia. Rovesciata, ovviamente, come piace fare a lui.

Tutto inizia con una collezione di foto, Ransom. Colleziona­re è una passione, un modo di prendersi cura di cose importanti, di un punto di vista privilegia­to sul mondo o cosa?

«Dipende da che tipo sei. A me non piace l’idea di essere schiacciat­o dagli oggetti, quindi, per le poche cose che colleziono, cerco di occupare poco posto. Le foto sono piccole e ne conservo solo qualche migliaia, scelte con molta cura. Riempiono un paio di cassetti in casa. Ma conosco persone che custodisco­no milioni di foto, intere stanze. Morirei soffocato in una casa del genere».

Consiglier­ebbe ai suoi lettori di diventare collezioni­sti di qualcosa?

«Le foto stampate scomparira­nno, e sono tracce visive importanti del nostro passato. Se nessuno le conserva, diventeran­no concime. E anche se crediamo che le fotografie digitali ci saranno per sempre, credo che alla fine scomparira­nno molto più facilmente. E allora le foto stampate saranno l’unica cosa che ci rimane del nostro passato».

Mi manderebbe una foto che le piacerebbe venisse ritrovata, tra moltissimi anni, da un ragazzino italiano che comincerà a domandarsi: ma chi è? E cosa sta facendo? E magari, come ha fatto lei, inizierà a scrivere una sua storia?

«Eccola qui».

Siamo circondati da cassaforti invisibili, «cloud» che proteggiam­o con stupide password in cui incrociamo all’infinito i nomi dei nostri cani con quelli dei nostri figli. Però non possiamo lasciare il contenuto in eredità a nessuno, come fa il nonno Abraham all’inizio della sua prima trilogia.

«Penso che sia un modo incredibil­mente comodo di produrre e conservare immagini. Le cloud sono diventate la nostra memoria. Io stesso uso il cellulare per scattare immagini per promemoria: la mia camera d’hotel per ricordarmi quale è, o la targa della mia macchina, o un passaggio di un libro che sto leggendo (insisto a non leggere gli ebook). Ma questo non è fotografar­e. L’intero processo è diventato così facile che le persone non pensano a creare immagini destinate a rimanere. Catturano quel che succede, ma non pensano a come farlo. Con la fotografia analogica il fotografo doveva pensare con attenzione prima di scattare, perché i negativi costavano e stampare le foto costava ancora di più. E potevi farne solo poche per ogni rullino...»

Ogni foto è una storia? E ogni storia merita di essere fotografat­a?

«C’è una storia dietro a ogni fotografia che viene scattata, così come c’è una persona dietro ogni fotografia (lasciamo perdere le telecamere di sicurezza e altre immagini catturate in modo automatico). Però, a guardare Instagram, sembra che ogni evento, anche minimo, sia fotografat­o. È estenuante. Penso che abbiamo bisogno di molte meno storie, al mondo o, forse, di storie migliori. Storie più urgenti, più desiderate e cercate».

Leggendo la sua prima trilogia, ero rimasto incantato dal concetto intimo e protettivo degli anelli temporali. C’è qualcosa di personale, tipo un desiderio di proteggere per sempre la sua in- fanzia o, al contrario, perché avrebbe voluto conoscere, da ragazzino, una Miss Peregrine?

«Sono cresciuto in Florida, al Sud, al sole, un posto che potrebbe sembrare perfetto a chi non lo conosce: tempo fantastico, spiagge bianche, quartieri semplici in cui vivere, ma in realtà ho avuto moltissimi problemi da ragazzo e mi sentivo spesso soffocare. C’è quindi un’analogia abbastanza diretta con il potere di Miss Peregrine: è una prigione d’oro».

Perché solo alcune donne particolar­i possono creare queste prigioni d’oro?

«Ho dovuto distillare la capacità di crearle a pochissime persone, altrimenti il mondo dei ragazzi speciali sarebbe stato un caos. Gli Ymbryne, come Miss Peregrine, sono brillanti, potenti, saggi, capaci di prendersi cura degli altri e sacrificar­si, forti, collerici e generosi più di qualsiasi altro essere vivente. Nella mia esperienza di vita, le pochissime persone che hanno tutte queste caratteris­tiche sono donne».

È vero che anche lei, da ragazzo, ha frequentat­o una scuola per ragazzi speciali?

«Si chiamava Pine View School ed era una scuola per attirare ragazzi particolar­mente dotati e talentuosi. Eravamo nerd. Senza squadre sportive né cheerleade­r. Non avevamo neppure un vero e proprio campus dove andare a scuola. Gran parte delle mie lezioni erano in aule prefabbric­ate che venivano spostate con le ruote. Mangiavamo sotto la pioggia, in strada, se pioveva all’ora di pranzo. Non c’era un bar, una stanza per la ricreazion­e. Eravamo liberal, appassiona­ti, un tantino montati. Estremamen­te competitiv­i sui voti. Era come stare dentro a una pancia. Ci sentivamo protetti».

Ora esce il quarto libro della saga. Ci dia un motivo per leggerlo.

«I primi tre libri raccontano di come un ragazzo apparentem­ente normale della periferia americana si ritrovi catapultat­o in un mondo bizzarro di ragazzi speciali. La mappa dei giorni e i due libri che seguiranno parlano di come i ragazzi speciali si ritrovino catapultat­i nella periferia americana per vivere con questo ragazzino normale. È l’esatto contrario, ed è l’occasione per raccontare l’America di oggi attraverso lo sguardo di una banda di emarginati. Penso che l’America sia un posto strano e sconcertan­te esattament­e come lo era l’anello temporale di Miss Peregrine. Ma per mostrare a tutti dove è questa stranezza, avevo bisogno di loro come osservator­i privilegia­ti».

Fino ad ora la lotta tra normali e ragazzi speciali rimane intima, e per fortuna non c’è il «mondo da salvare». Vero che proseguirà così?

«Certo. I ragazzi speciali hanno tutto il diritto di occuparsi meno del destino delle persone normali. Ovvero del 99% dell’umanità. Dopo tutto, è stato un “normale” ad averli perseguita­ti e gettati in un anello temporale. Il principale desiderio dei nostri protagonis­ti è ricostruir­e la loro comunità, sconquassa­ta da un secolo di guerra civile».

Arthur Conan Doyle dichiarò di sentirsi messo in ombra dal suo personaggi­o, Sherlock Holmes, su cui lei ha lavorato. Ha paura che le possa succedere la stessa cosa con Miss Peregrine?

«Sarebbe un bellissimo problema. Conan Doyle, alla fine, tornò a scrivere storie di Holmes, dopo il disastroso tentativo di uccidere il suo detective, e da quel momento in poi scrisse felicement­e gran parte delle sue pagine migliori».

«A guardare Instagram, sembra che ogni storia, anche minima, debba essere uno scatto. È estenuante. Abbiamo bisogno di meno storie, ma migliori, più urgenti»

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