Corriere della Sera - La Lettura
Oggi, domani e anche ieri Tutto è contemporaneo
Nel foyer del Pala Alpitour si svolge da giovedì 1 la sesta stagione di Flashback. Obiettivo: unire antico e moderno, centro e periferie, locale e globale
Una scommessa. Tenere insieme gli estremi: arte di ieri, di oggi, cultura, mercato, sperimentazione, centro, periferia. E un po’ di fantascienza. Succede a Torino, per 4 giorni (dal 1° al 4 novembre), nel foyer centrale del Pala Alpitour. La chiave? La mixité, mescolanza di epoche, civiltà, mondi diversi che si incontrano per dare vita a Flashback, fiera in cui l’arte è «tutta contemporanea». L’offerta copre un arco temporale vastissimo, senza confini, che spazia dall’archeologia al contemporaneo: una formula non facile da comunicare per una realtà che può mettere insieme arte precolombiana, barocco e lavori recentissimi.
A scommetterci, sei anni fa, sono state Ginevra Pucci e Stefania Poddighe. «Lavoravamo entrambe nel mondo delle fiere d’arte, sia antica che moderna, e avvertivamo l’idea di un tassello mancante: forti dell’esperienza fatta abbiamo deciso di accettare la sfida, e di “crescere”». A guidarle, le parole di un artista, Gino De Dominicis (1947–1998): «In un’intervista — racconta Pucci, con Poddighe alla direzione di Flashback — De Dominicis parlava dell’arte come di un oggetto vivente, opera inerte che diventa viva ogni volta che si mette in relazione con il pubblico, che entra nello spazio della vita: abbiamo rubato le sue parole per creare una realtà che, in Italia, fosse unica nel suo genere». Ora, alla sesta edizione, si può azzardare un bilancio: «Gli inizi non sono stati facili — ricorda Pucci — proprio per la difficoltà di comunicare a galleristi e pubblico la nostra formula non lineare. Nel tempo hanno imparato a seguirci. Anche la città è cambiata. Il pubblico di oggi? Sempre più giovane, e curioso: guarda l’arte con occhio trasversale».
Comunicazione, allestimento, spazi: il sincretismo di Flashback ha significato anche la necessità di scelte adeguate. Il colore, diverso per ogni edizione (quest’anno è l’acquamarina). O il tema, anche quello ogni volta nuovo: «Non è comune — spiega Pucci — in una fiera d’arte, serve a focalizzare il lavoro degli espositori». Quest’anno si parte da un libro, Le rive di un altro mare, dello scrittore e antropologo Chad Oliver: «Sono un’appassionata di fantascienza — aggiunge Pucci — e in questa storia che immagina l’incontro in Africa di popoli provenienti da mondi diversi ho rivisto la cifra di Flashback, il nostro approccio sia nei confronti dell’arte che di tutto quello che sta fuori, nel mondo». Il dialogo tra diversi, un tema che torna anche nel lavoro di Francesco Valeri, un wallpainting di 60 metri quadrati realizzato in fiera, dal vivo, che sarà il simbolo di questa edizione: l’incon- tro tra due figure — l’«occidentale» e l’«indigeno» — provenienti da realtà distanti ma in grado di stabilire un contatto. Valeri — che ha preso parte anche al progetto «condominio-opera viva» di via Cuneo 5bis nel quartiere di Aurora, nato con l’intento di porre l’accento sulla mixité della periferia torinese — porta così l’attenzione ancora sull’altrove e sulla mescolanza.
Fare cultura: ecco l’altra cifra di Flashback. E farla in città, a Torino, tutto l’anno, non solo nella settimana dell’arte. Attraverso le sezioni Exhibition (il wallpainting di Valeri e un progetto di Gian Enzo Sperone con tre opere di Tony Matelli), Lab, Sound, Storytelling, Talk, Video e Opera Viva, i sei manifesti del progetto di arte urbana ideato da Alessandro Bulgini e curato da Christian Caliandro che, da maggio, ha segnato l’avvicinamento alla fiera. L’idea è di coinvolgere le periferie, come Barriera. «Cultura e mercato — dice Pucci — sono un binomio indissolubile in una manifestazione come questa, ma l’arte va al di là del valore economico». E che una fiera d’arte debba fare cultura è idea condivisa anche da un’altra manifestazione della art week torinese: The Others, 1-4 novembre all’ex Ospedale Regina Maria Adelaide, «lente» che, grazie al lavoro di 40 espositori di cui due terzi stranieri, cerca l’arte che verrà.
Poi ci sono i galleristi e le loro proposte. Tra gli highlight di quest’edizione, in campo antico, la tela inedita di Mattia Preti presentata dalla Galleria Giamblanco: un San Giacomo Maggiore riconducibile al periodo romano dell’artista (quarto decennio del Seicento). Flavio Pozzallo presenta una terracotta policroma, Madonna del latte e Angeli, tra le più antiche attestazioni della tecnica nella scultura lombarda del Quattrocento e, con la galleria Benappi, porta anche un dipinto a doppia faccia di Eleazaro Oldoni fino a oggi catalogato come anonimo. La new entry Maison d’Art di Montecarlo si concentra sul primo Quattrocento. Sul fronte moderno, la Galleria dello Scudo porta una maestosa (500 chili di peso) Maternità di Arturo Martini assente dalle mostre dal 1961. La Galleria Russo affianca i volti di Medardo Rosso e Umberto Boccioni all’Uragano in terracotta di Arturo Martini mentre Mazzoleni punta su un olio di Alberto Savinio, Senza titolo, del 1930: il tema, caro all’artista, degli argonauti si lega all’«altro mare» evocato da Flashback. Passato, presente, sempre contemporaneo.