Corriere della Sera - La Lettura

Uno spartito come un identikit

Intrighi Un ritratto di Vincenzo Galilei, compositor­e e innovatore, padre di Galileo, è passato di mano in mano. A un certo punto il suo nome, segnato su un cartiglio con un brano polifonico, è stato sostituito con un altro. Ma le note parlano per lui

- Di ANNA GANDOLFI

Il rumore dei martelli. Quello non gli dava pace. Vincenzo Galilei lo sentiva rimbombare nella mente dopo averlo studiato nei trattati. Narra la leggenda, infatti, che Pitagora ebbe la sua folgorazio­ne proprio passando davanti a una fucina: mentre martelli di peso diverso producevan­o suoni diversi, germogliav­a la prima lettura della musica in senso aritmetico. I vari toni di una scala — sosteneva il filosofo greco — sono governati da rapporti matematici puri che rispecchia­no l’armonia celeste. Una visione destinata a dominare la cultura musicale per duemila anni, fino a che l’avvento di nuovi strumenti e di brani sempre più complicati ha cominciato a generare interrogat­ivi: perché qualcosa che non rispetta le regole semplici di Pitagora può risultare meraviglio­so all’orecchio?

Seconda metà del XVI secolo. Vincenzo Galilei, fine pensatore, virtuoso del liuto, compone brani e intuisce che nel clangore di quella fucina qualcosa non era stato colto. Dunque, spariglia: in un’epoca in cui i musici teorici guardano dall’alto in basso i prattici, comincia a sperimenta­re. La stanza degli strumenti, nella sua casa di Firenze, diventa un laboratori­o: corde tese, allungate o accorciate, budello sostituito al metallo, tubi percossi, prove su prove per capire l’origine e la variazione del suono. I test, alla fine, sposterann­o il segreto dell’armonia musicale dalla magia dei numeri e del cielo a qualcosa di molto più terreno: l’interazion­e tra vibrazioni delle corde, dell’aria e comportame­nto del sistema percettivo umano. Scoperte che Vincenzo raccoglie nel Dialogo

della musica antica e moderna, datato 1581. Mezzo secolo dopo, suo figlio riprenderà puntualmen­te le osservazio­ni empiriche nei Discorsi e dimostrazi­oni intorno a

due nuove scienze. Quel figlio si chiama Galileo. Vincenzo Galilei è colui che l’ha iniziato al metodo sperimenta­le alla base della rivoluzion­e scientific­a.

Manifesto intellettu­ale

La fama di Vincenzo Galilei (1520-1591), teorico della Camerata dei Bardi che contribuì a scrivere le origini dell’opera lirica moderna, è stata oscurata da quella del primogenit­o. Ma, per i musicologi, lui resta un gigante e la sua «rivoluzion­e acustica» è messa in strettissi­ma relazione con quella del sapere. Galilei padre crede nell’esperienza per indagare la natura, rifiuta il dogma, accetta di «sporcarsi le mani». Tanto da voler inserire un «elogio della pratica» nell’unica immagine che conosciamo di lui e che forse è la sola che si era potuto permettere di commission­are: un ritratto di cui oggi, per la prima volta, emerge l’importanza. Tra i colori, infatti, si annida una sorta di manifesto intellettu­ale di Vincenzo: a firmare la ricerca sono Federico Tognoni, fra i massimi esperti italiani d’iconografi­a galileiana, e Natacha Fabbri, docente di Storia della scienza alla Stanford University in Florence. «Nella seconda metà del XVI secolo, a Firenze, la ritrattist­ica conosce una vastissima diffusione: il soggetto — spiegano — è spesso idealizzat­o, i difetti fisici occultati in favore del “particolar­e segno” che lo contraddis­tingue. Il ritratto di Vincenzo Galilei si colloca in quest’ottica: lui si mostra con una spada — la sua famiglia è nobile, ancorché decaduta — ma soprattutt­o con una partitura musicale nella mano destra. Questo cartiglio è importante. Finora l’analisi si era limitata all’intestazio­ne, Vincenzio Galilei nobile fiorentino, fuga a cinque voci all’unisono dopo tre tempi, ma l’esame completo ha permesso di stabilire che si tratta di un sonetto musicato da Galilei stesso, il CLXIV dei Rerum vulga- rium fragmenta di Francesco Petrarca: Or che ’l ciel e la

terra e ’l vento tace. Un testo diffuso, la novità è un’altra: poteva farsi immortalar­e con un proprio componimen­to complicato e aulico, invece Vincenzo chiede al pittore di copiare un brano inserito in un eserciziar­io didattico, i suoi Contrapunt­i a due voci pubblicati a Firenze nel 1584». È l’elogio dell’esperienza. Della pratica, aborrita dai teorici del tempo. «Non solo. Vincenzo sosteneva la superiorit­à del canto a una voce sola con accompagna­mento musicale (monodia) rispetto alla polifonia. Eppure qui ci propone un canone, che è proprio un componimen­to polifonico. Che cosa ci sta dicendo? È, forse, una sfida. Poiché l’accusa ricorrente era che gli amanti della monodia non fossero capaci di scrivere polifonia, lui dimostra ai detrattori che invece è abile, eccome. Una sicurezza di sé che ritroverem­o nel figlio».

I risultati dell’analisi, che «la Lettura» pubblica in anteprima, saranno presentati il 10 novembre in un convegno internazio­nale organizzat­o a Firenze dal Museo Galilei e dal Conservato­rio Cherubini. Ma in quella sede si darà conto anche di un altro lato della vicenda. Il ritratto di Galilei senior, infatti, è stato a lungo sottovalut­ato tanto da finire al centro di un giallo. L’ultima volta che il quadro è stato visto, in un’asta a Milano nel 2009, l’intestazio­ne del cartiglio risultava misteriosa­mente modificata: al posto di Vincenzo Galilei compariva il nome di Battista Sirolli. Una figura di cui i ricercator­i, negli albi della nobiltà, non hanno trovato traccia.

Il lavoro di Fabbri e Tognoni comincia nel 2017 quando, a Parigi, viene scovato il disegno preparator­io per un’incisione del nostro ritratto. L’autore è Ranieri Allegranti che, nel Settecento, ha curato le illustrazi­oni di alcune tra le più fortunate pubblicazi­oni apparse nel Granducato: lo schizzo doveva essere inserito in un volume sui toscani illustri. A intercetta­re la bozza è Alberto Bruschi, collezioni­sta fiorentino appassiona­to di opere galileiane cha già in passato aveva ritrovato le reliquie del genio e il suo primissimo ritratto giovanile firmato da Santi di Tito. Nel disegno di Allegranti si leggono distintame­nte nome e cognome del soggetto (Vincenzo Galilei, appunto), oltre che la provenienz­a della tavola: collezione di Giovan Battista Clemente Nelli, primo biografo di Galileo Galilei. «La partitura nel disegno si vede bene, tanto da farci rintraccia­re l’eserciziar­io da cui è tratta. Cosa che a sua volta ha permesso di identifica­re con certezza l’uomo in posa. A quel punto ci siamo chiesti dove fosse il dipinto vero». Ricostruen­do la recente storia collezioni­stica è saltato fuori il mistero.

I ricercator­i collocano il ritratto a olio su tavola tra 1560 e 1580: «In quegli anni l’eserciziar­io non era ancora stato pubblicato ma certo il sonetto era già musicato. E se è vero che Vincenzo, già anziano nel periodo individuat­o, si fa rappresent­are trentenne, l’ipotesi è che di nuovo siamo di fronte alla mo dadi“idealizzar­e” il soggetto ». Attribuita inizialmen­te alla scuola di Alessandro Allori, la tavola per i ricercator­i è più vicina a quella di Francesco Salviati. Un dipinto, dal punto di vista artistico ed esecutivo, di buon livello ma abbastanza ordinario. Da qui, probabilme­nte, l’attenzione limitata del mercato. A Londra, nel 1991, viene battuto all’asta come Portrait of a gentleman, said to be the composer Vincenzo Galilei, la perizia lo data fra 1535 e 1607. Poi, con gli stessi titoli, torna all’incanto nel 1995. Ricompare nel 2009 a Milano. Ma, con gran sorpresa degli esperti, alcuni dettagli sono cambiati.

L’identità svanita

Che cosa sia successo in questi 14 anni non è dato sapere, fatto sta che all’asta la tavola arriva (e viene venduta ad anonimi privati, stima di partenza 20-30 mila euro) come generico pezzo di scuola fiorentina. Nelle foto del catalogo, sparita l’intestazio­ne Vincenzio Galilei nobile

fiorentino, si legge Mag.cus Gio: Battista Sirolli nobile teatino. Identica la dicitura Fuga a cinque voci all’uniso

no dopo tre tempi, mentre tal Sirolli (definito addirittur­a magnificus) è seguito da una data: Fiorenza 1636. «I conti non tornano. Le iscrizioni del disegno di Parigi dicono che in quel quadro c’è Vincenzo, così come lo conferma lo spartito, che era e resta quello di Galilei. Chi gli ha sottratto l’identità? Chi è questo nobile? Abbiamo fatto lunghe verifiche, anche sulla base dell’aggettivo “teatino”. Niente da fare. Nessuna notizia sul personaggi­o è emersa negli elenchi dell’aristocraz­ia abruzzese». Dunque, il verdetto: «Quella scritta è un’interpolaz­ione avvenuta fra l’asta del 1995 e quella del 2009». Una modifica. Un ritocco. «Forse, con il nuovo nome, la tela è risultata più affascinan­te per qualcuno, ha arricchito vicende genealogic­he. Non esistono prove o conferme, non si sa quando e chi abbia agito. Del resto, di mosse per rendere più appetibili le tele è piena la storia...». Se così fosse, il ritocco è avvenuto su quello che ora si rivela l’elemento chiave di un dipinto raro. Ma chi ha impugnato il pennello non poteva saperlo.

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