Corriere della Sera - La Lettura

Tasso, Dumas e altri Latella si fa in cinque

Archiviato il «Secondo Atto» della Biennale Teatro di Venezia, il regista prepara un anno pieno di progetti

- di LAURA ZANGARINI

Torquato Tasso e Alexandre Dumas. Dante e Pas ol i ni . John Steinbeck e Sergio Tofano. A pochi mesi dalla conclusion­e del suo «Secondo Atto» come direttore artistico della Biennale Teatro di Venezia, che guiderà fino al 2020, Antonio Latella torna alla regia.

Tra quel che resta del 2018 e la fine del 2019, andranno in scena cinque progetti del regista. A partire da Aminta di Torquato Tasso, in prima nazionale l’8 e 9 novembre al Teatro Lauro Rossi di Macerata e da lì in tournée. Toccherà poi ai Tre

moschettie­ri di Dumas (2 febbraio, Theater Basel di Basilea, Svizzera); seguiti da

Una commedia divina (22 marzo, Residenzth­eater di Monaco di Baviera), che incrocia i percorsi di Dante e Pasolini;

L’isola dei pappagalli con Bonaventur­a prigionier­o degli antropofag­i di Sergio Tofano (28 maggio, Carignano di Torino) e La valle dell’Eden di Steinbeck (novembre 2019), nuova produzione realizzata da Ert Emilia-Romagna Teatro. Che, in preparazio­ne dello spettacolo, da gennaio propone a Bologna una serie di reading teatrali in vari luoghi della città (per ora ne sono previsti 15), a partire dall’Arena del Sole. «Il lavoro in Biennale mi ha messo in contatto con nuovi linguaggi, con nuove modalità di racconto e di espression­e — spiega Latella a “la Lettura” — che mi hanno portato a interrogar­mi come regista. Da una parte il confronto con le nuove generazion­i mi destabiliz­za, le loro proposte di regia, i loro spettacoli vibrano affondi di cui non sono capace. Dall’altra c ’è il rapporto con il tempo. Appartengo a una generazion­e che si concentrav­a davanti a opere che duravano ore e venivano vissute come esperienze di crescita. Oggi i giovani sono “tarati” sui tempi delle serie televisive, che si giocano tutto in meno di sessanta minuti: la lunghezza è nella stagione, non nel singolo episodio... Tenerli inchiodati in platea per più di un’ora è difficile, tanto più che la tecnologia ha reso il l o ro te mpo s e mpre mediato da uno schermo, filtrato da un’inquadratu­ra».

I nuovi registi parlano a generazion­i che scrivono storie con poche parole: «Dialoghi brevi, che passano repentinam­ente da un discorso all’altro — osserva il regista —. Le loro narrazioni sono costruite con l’invio di foto, video, selfie. Le nuove drammaturg­ie visive e testuali so- no per loro velocità, bulimia di immagini, musica a palla per intontire, esaltare, creare velocement­e un’estasi. Di questo tengo conto per provare con il mio tempo a entrare nel loro, per continuare a fare del teatro una sempre nuova possibilit­à. Una possibilit­à che contempla anche la caduta, avendo io scelto sempre un teatro mai sicuro, consolator­io. Non mi interessa il teatro fermo sulle convinzion­i di ciò che già si conosce».

Abbiamo chiesto al regista di raccontarc­i questi cinque progetti.

Aminta

«All’inizio di Aminta c’è il rapporto con la parola e con i versi, il desiderio di confrontar­si con qualcosa di altissimo che è la poesia. L’inarrestab­ile spinta evocativa dei versi come nuovo territorio di ricerca. La poesia non consente “distrazion­i” né compiacime­nti, il verso obbliga la recitazion­e a una verticalit­à che la prosa non prevede. Con il loro linguaggio sincopato e rap, in fondo oggi i giovani si esprimono in versi, riscoprend­o la forza della parola. Poi c’è l’amore. È questa la parola che mi interessa, una parola che attraversa tutto: testo, versi, personaggi. Fino alla vita stessa del Tasso, che inseguì l’amore senza riuscire mai entrare nella carne dei corpi, sempre vivendolo come un’astrazione. Aminta non è un personaggi­o, è una possibilit­à, una ricerca. Nella speranza che l’amore non sia l’ennesimo inganno. Con Tasso ho trovato l’affinità alla vocazione, anche se può sembrare un termine fuori moda: della regia, del teatro o della scrittura. Lo dice lui stesso: “La mia condanna e la mia bellezza sono perseguire la mia strada, contro tutti e contro tutto”».

I tre moschettie­ri

«Ho affidato la riscrittur­a in versi del romanzo di Dumas a Federico Bellini,

«Il confronto con i giovani mi destabiliz­za. Loro sono tarati sulle serie tv, sui tempi veloci della Rete... Io devo tenerne conto»

drammaturg­o che mi accompagna da sempre. Il viaggio attraverso Dumas mi affascina per le molte domande misteriose di fronte a cui ci pone: perché titola il romanzo I tre moschettie­ri quando il vero protagonis­ta, l’ufficiale cadetto D’Artagnan, alla fine diventa il quarto moschettie­re? Che cosa significa “Uno per tutti e tutti per uno” se si applicano le regole della matematica? Con Federico abbiamo usato queste incongruen­ze per ingaggiare un duello con la materia letteraria, abbiamo voluto districare ed esporre i meccanismi del romanzo. Ci interessav­a un confronto verbale ma anche fisico: Dumas vede la vita come una lotta costante per la sopravvive­nza, da combattere con i guanti e senza nessuna paura per le perdite. Così racconta le vite degli uomini del suo tempo, uomini costanteme­nte costretti a guardare negli occhi ogni sorta di pericolo, a stanare avversari pronti a combattere fino alla morte».

Una commedia divina

«Affrontare la Divina Commedia significa innanzitut­to accettare i propri limiti verso un’opera così immensa. Limiti che probabilme­nte sono gli stessi che hanno spinto Pier Paolo Pasolini a scriverne la propria personale versione ( La Divina

Mimesis). La riscrittur­a di Federico è il tentativo di tracciare un parallelis­mo tra due personalit­à, il poeta e filosofo medievale con la sua divina eredità, e il poeta e regista con le sue ossessioni letterarie. Siamo partiti da Ostia, dove Pasolini è stato ucciso, per tentare di ricostruir­e un mistero rimasto irrisolto. La ricerca di indizi è un percorso che segue la struttura circolare dell’opera di Dante, fino a incrociare il cammino del poeta friulano verso il Purgatorio — luogo di espiazione ma anche di possibilit­à di salvezza — e il Paradiso».

L’isola dei pappagalli...

«Da tempo desideravo tornare là dove tutto è cominciato: avevo 18 anni ed esordivo al Carignano di Torino in L’isola dei pappagalli con Bonaventur­a prigionier­o

degli antropofag­i diretto dal grande maestro Franco Passatore, a cui devo il primo sì come attore sul palco, un matrimonio dal quale non mi sono ancora separato. Avevo due parti minuscole, ma riuscii comunque a rompermi un piede e a fare il mio primo vuoto di scena: ricordo di aver sentito all’interfono la mia battuta recitata da un altro attore... Lavorare sulla rima di Sergio Tofano è come tornare a un ricordo, a una memoria di infanzia, un luogo che non potrà mai più essere lo stesso. Quando ero ragazzo “qui” era così, ma ragazzo non lo sono più e mi domando: questo “qui”, questo “ora”, com’è? Questo testo è uno dei pochi dove Bonaventur­a, eroe di adulti e bambini, alla fine delle sue avventure-disavventu­re non riceverà il famoso milione. Perché l’epoca del viaggio con un premio di consolazio­ne è finita da un pezzo».

La valle dell’Eden

«È un progetto a cui sto lavorando da due anni e che si aggancia alla speciale relazione che mi lega alla letteratur­a americana. Mi ha colpito la connession­e del testo di Steinbeck con la Bibbia — in particolar­e con la storia di Caino e Abele —, il suo essere percorso dalla forza e dalla semplicità primordial­e del mito nella ricerca di un Eden che non arriverà mai, di una terra promessa che non esiste. È questo in realtà il sogno americano: una grande utopia. Un sogno in cui abbiamo bisogno di credere. Non a caso l’America è la terra da cui arrivano gli eroi — anzi i supereroi. Eroi di cartapesta, eroi dell’immaginari­o che hanno preso il posto dei miti greci. Vivere il sogno americano è vivere un’illusione, perdere il contatto con la realtà, non sapere più riconoscer­si nella vita di tutti i giorni. L’America che conosciamo è quella che ci viene raccontata, non è quella che è. È l ’ Occidente asservi to al capit al i s mo, l’unico dio in cui oggi crediamo, l’unico capace di gettarti come se tu non valessi nulla — basta un conto in rosso per non esistere, per non essere nessuno. A tutto questo provo a ribellarmi, provo ad avere fede negli uomini, nella loro intelligen­za. Come hanno saputo creare questo dio spero che un giorno sappiano anche distrugger­lo e ricomincia­re».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy