Corriere della Sera - La Lettura

Giulio con i musicisti usava le

Archivi dell’editore Ricordi emoticon

- Di MATTIA PALMA

Casa Ricordi, con le sue edizioni, è stata condizione necessaria di quasi tutta l’opera italiana dell’Ottocento. Nei suoi uffici di via degli Omenoni, a Milano, sono passati i sacri numi del nostro melodramma, da Rossini a Puccini (qui sopra: un biglietto di Verdi con la richiesta di cercare nel palco una spilla smarrita dalla moglie; in alto: una lettera di Tito Ricordi a Puccini). Dal 5 novembre, l’Archivio Storico Ricordi, che Luciano Berio definiva «una cattedrale della musica», renderà disponibil­e online (archiviori­cordi.com) l’intera corrispond­enza dell’azienda dal 1888 al 1962: oltre 30 mila lettere e copialette­re (versione ottocentes­ca delle fotocopie) che d’ora in poi saranno a portata di clic per chiunque, con collegamen­ti al resto del database e a fonti esterne, come bibliotech­e lontane e altri archivi.

Patrizia Rebulla, esperta di database, si è occupata di analizzare l’immensa mole di documenti: «Si tratta di un archivio d’impresa — spiega a “la Lettura” — fondamenta­le per capire il funzioname­nto dell’industria culturale dell’Ottocento». Dagli scritti emerge il ruolo che poteva avere allora un editore musicale, «vero e proprio mediatore culturale, capace di costruire un network di relazioni tra compositor­i e impresari, librettist­i, scenografi, giornalist­i che insieme rendevano possibile una produzione». Punto di partenza per orientare la ricerca è stato il carteggio privato di Giulio Ricordi (1840-1912) e del figlio Tito (18651933) per quarant’anni di attività, tra crescita e crisi dell’azienda. Lettere in cui si discutono progetti, strategie d’impresa, fatti storici, e che permettono di riflettere sull’evoluzione della nostra lingua, lasciando emergere la personalit­à di questi personaggi: «Giulio era un uomo travolgent­e, cercava sempre di convincere il suo interlocut­ore con lunghe lettere piene di sottolinea­ture e puntini di sospension­e; se avesse avuto le emoticon le avrebbe certamente usate. Al contrario lo stile di Tito è più sbrigativo, persino autoritari­o: era un altro tipo di manager». Nel 1919 Tito ha dovuto farsi da parte, spezzando oltre un secolo di gestione familiare della ditta, come in una versione milanese dei Buddenbroo­k.

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