Corriere della Sera - La Lettura
L’ULTIMO BACIO
Ha trascorso la notte prima di lasciare Buenos Aires in una camera d’albergo, ha l’aspetto di una donna in overdose, fa colazione in fretta, risale perché deve accelerare il check-out... Di lui restano tracce e ferite... L’aereo sta per decollare, l’aspettano Parigi e la Francia
La vita mi spinge al galoppo come se andassi incontro alla morte. Come farò. Non so lottare contro il mal d’amore. Come farò. Non so accettare la lontananza. Resto con le braccia protese, come se mi fossi fatta, ma non mi s o no i ni e t t a t a ni e nte , ho s o l o l’aspetto di una donna in overdose, sfregiata da una lama, una donna che stanno per crocifiggere, scaraventata a terra dall’alto. Mi sveglio in uno stato comatoso, lo dico in francese, fa più raffinato, comateuse. J’ai dû trop boire sul finir della notte, ho bevuto troppo sul finir della notte, ma non c’è gusto a bere alcolici in una chambre d’albergo, in una camera d’albergo, non ho preso nemmeno una bottiglietta d’acqua dal frigobar e quando mi ha dato un ultimo bacio e mi ha spogliata, sono svenuta.
Voglio crever sur le champ d’une crise cardiaque ou d’un AVC. Voglio morire sul colpo d’infarto o di ictus. J’en meurs du lever au coucher, sto morendo dall’alba al momento di coricarmi. Nulla in questa stanza a quattro stelle mi sembra normale. Come uscire dall’ospedale dopo aver fatto visita a un moribondo e dire mai più potrò bere un caffè. E ti viene un conato di vomito, e ancora un altro, davanti a lui, e ve ne andate a spasso lungo il corso e dite, invento, esagero, non me ne vado, ça va, non ci saranno undicimila chilometri tra di noi, anche se ancora non so parlare francese, però è impossibile non aver detto in quel momento, ça va aller, ça ira, va tutto bene, andrà tutto bene.
La prima colazione finisce tra quindici minuti, scendo nella hall dell’albergo in pigiama, e tra uno sforzo di vomito e l’altro riesco a dire il numero della mia stanza. Anche se non sono madame, ma señora, e con molta fortuna, señorita. Fermarsi in un albergo in centro per l’ultima notte come una falsa turista nella sua città, per stare da soli noi due, che ti credano colombiana, polac- ca o addirittura australiana? Finché non apri bocca, ah, lei è di qua, delle nostre parti, dietro l’angolo, non l’avrei mai detto.
Mi servo qualche conitos de dulce de leche, mi servo qualche biscottino, non mi va di mangiare nessuna di queste cose però mi piace il cliché, gallicismo, della prima colazione argentina, a ogni modo non riesco a mandare giù nulla, nemmeno le fette di pane Fargo bruciacchiate che mi preparava la mamma prima di andare a scuola.
Tutt’intorno gli impiegati parlano in dialetto porteño. Ya yego yamame ya, non mi rompere, senti una cosa. Dove vai di bello? In Francia. Per quanto tempo? Vado a vivere lì, dico, come se non si vivesse già tutti i giorni, o come se, in realtà, non si vivesse mai. Ah, oh la la, sei fortunata, te ne vai in Francia, però i francesi non si lavano, dicono che puzzano e per questo hanno inventato i profumi, e ridono, ma di cosa ridono. Mangia i formaggi anche per noi, guardala che sale lassù, guarda la nostra Amélie Poulain, chi si crede di essere, ma dimmi, non hai un po’ paura, adesso, con gli attentati, dovrai stare attenta nei luoghi pubblici, sii furba e non tornare. Hai tutta la famiglia qui? Be’, fa lo stesso, la famiglia non serve a molto, ma nemmeno l’Europa, l’immondezzaio del mondo, la porcilaia, stiamo meglio noi qui, laggiù ti troverai in compagnia di siriani e pachistani. Tutti si capiscono quando parlano, nessuno deve sforzare l’udito, nessuno rischia scivoloni in una lingua straniera, che ne sanno di accenti, interferenze, espressioni forzate o false rime, non si preoccupano di mancare un appuntamento perché fai finta di padroneggiare l’argot, gallicismo, che gran casino della malora, non ci sono trabocchetti nel linguaggio.