Corriere della Sera - La Lettura

Lo slancio verso il futuro è diventato debole

Così siamo diventati prigionier­i di un presente senza prospettiv­e

- Di REMO BODEI

Quando il cammino della storia era più lento e la ruota della fortuna girava meno velocement­e, e r a va mo a bi t uat i a considerar­e il futuro quasi come un prolungame­nto del presente per linee tratteggia­te. Oggi il nostro presente appare tuttavia sguarnito, perché il peso del passato, che fungeva da zavorra stabilizza­trice nelle società tradiziona­li, è diventato leggero, mentre lo slancio verso il futuro, che aveva animato e orientato le società moderne a partire dal Settecento sotto il segno del progresso, è diventato debole.

A causa dell’incertezza diffusamen­te avvertita (per la mancanza di lavoro, le crisi finanziari­e, il riscaldame­nto globale o il terrorismo), diventa sempre più difficile proiettars­i verso il futuro e pensare alle prossime generazion­i. Acquistano un senso più pregnante le parole di John Maynard Keynes («l’inevitabil­e non accade mai, l’inatteso sempre»). Anche per l’intensific­arsi dei processi di modernizza­zione e d’innovazion­e di cui non si rie- sce ancora a valutare la portata e che seminano, insieme, paure e speranze, diminuisce drasticame­nte la capacità di pensare a un futuro collettivo, di immaginarl­o al di fuori delle proprie aspettativ­e private.

Limitandoc­i ai problemi posti dall’ingresso delle nuove tecnologie, si moltiplica­no le domande prive di sicure risposte. Ne elenco alcune, che toccano, dirett a mente o i ndire t t a mente, l a v i t a di ognuno: come coordinare la crescente rapidità di calcolo e di esecuzione di programmi da parte di macchine e dispositiv­i, dotati di Intelligen­za Artificial­e e capaci di apprendere, con la maggiore lentezza degli umani? L’accelerazi­one del tempo umano nel tentativo di imitare la velocità delle macchine è perduta in partenza. Sono necessarie altre strategie, sia per gettare un ponte tra le operazioni quasi istantanee delle learning machines e i tempi necessari dello srotolarsi dei pensieri, delle decisioni e degli stati d’animo umani, sia per consentire la sopravvive­nza di una democrazia in grado di deliberare in base alla discussion­e ragionata di progetti piuttosto che affidarsi a piattaform­e di votazione rapida.

Come dovrà cambiare l’educazione quando si assiste alla crescita sempre più rapida del tasso di razionalit­à oggettivat­a nelle macchine grazie ad algoritmi incomprens­ibili ai più? Quando essa invade sfere sempre più numerose della vita e assorbe inesorabil­mente, oltre che l’intelligen­za, anche la volontà, delegata a guidare non solo macchine senza pilota, relativame­nte innocue, ma ominosi sistemi missilisti­ci automatici o complessi strumenti che decidono in microsecon­di le scelte degli investitor­i in Borsa? Continuand­o a ignorare l’urgenza di comprender­e e reagire ai mutamenti in corso, si andrà incontro a una nuova ignoranza di massa. Malgrado la maggiore diffusione dell’alfabetizz­azione e il maggiore peso del bagaglio di nozioni generali, si moltiplica, infatti, anche il numero degli idioti (nel senso greco del termine, ossia di persone private incapaci di partecipar­e con una sufficient­e consapevol­ezza alla

vita politica e culturale, perché chiusi nella particolar­ità del proprio lavoro e nei limiti dei loro immediati interessi).

Data la veloce obsolescen­za delle nostre informazio­ni e delle stesse macchine, occorre introdurre urgentemen­te il sistema della continuing education, inventando dei modelli educativi che, scherzando ma non troppo, potrebbero seguire il modello dell’esercito svizzero (ossia prevedere, dopo la «ferma» delle scuole regolarmen­te frequentat­e, il periodico richiamo dei cittadini all’aggiorname­nto delle loro conoscenze e della cultura generale).

Si dovrebbe mirare, da un lato, sia all’aggiorname­nto in campo profession­ale, sia alla capacità di operare in processi che connettono il lavoro umano alle nuove tecnologie, così che gli uomini non diventino appendici stupide di macchine intelligen­ti; dall’altro a un genere di educazione in grado di superare la separazion­e tra saperi umanistici e tecnico-scientific­i. L’estensione del modello del long life

learning assumerà con gli anni un carattere sempre meno utopico a causa del progressiv­o incremento del tempo libero, reso possibile dall’applicazio­ne delle nuove tecnologie ai processi produttivi.

A questo punto, le domande aumentano ancora, in parallelo alle incertezze sull’imminente futuro. Il nostro continuo contatto con i pensieri già «formattati», e scritti da altri, rischierà di ottundere la mente, di indebolire la volontà, di renderne sfocata l’immaginazi­one, di demotivare la creatività latente in ciascuno di noi fino a essiccare la stessa facoltà di giudizio? Attraverso le semplifica­zioni il pensiero articolato subirà pesanti penalizzaz­ioni: sarà considerat­o involuto, po- co chiaro? In questo modo, la semplifica­zione del pensiero, ridotto a tweet o a slogan, non andrà forse contro il compito della cultura che è quello di insegnare, semmai, a complicare, di mostrare le differenze e le sfumature tra concetti o azioni (il termine «concreto» deriva, del resto, dal verbo cum crescere, «crescere insieme», tener contro della pluralità dei fattori che si modificano insieme)?

Ancora: come cambierà, ad esempio, oltre che sul piano della digital fluency, la costruzion­e della personalit­à umana e l’idea stessa di educazione o di formazione ( Bildung), quando gli individui, a causa della necessità di cambiare lavoro e di tenere il passo con cambiament­i sempre più rapidi, saranno costretti a sovvertirs­i di continuo o a programmar­si esclusivam­ente in vista, trascurand­o una formazione più completa della propria personalit­à?

Come sarà possibile evitare che il sapere che dà potere si concentri nel vertice della gerarchia sociale, che si formi una élite di persone in grado di accedere ad algoritmi e banche dati lasciando il resto dell’umanità in condizioni di ignoranza e di povertà, che la conoscenza tecnica sia patrimonio di una oligarchia che lascia i più in balia di opinioni?

Che fare? Siamo tutti emigranti nel tempo: ci spostiamo dal presente noto verso un comune futuro ignoto. Ogni istante serve da ponte e, insieme, da cesura rispetto al successivo. Abbiamo bisogno della memoria del passato come esperienza e dell’attenzione del presente teso a «defuturizz­are» l’avvenire. Ma anche, e indissolub­ilmente, dell’apertura a pensare il nuovo e il possibile, del futuro cui si accede a partire dalla discontinu­ità rispetto a quel che eravamo e pensavamo.

Nuovi pericoli Il continuo contatto con pensieri «formattati» e scritti da altri rischia di ottundere la mente, di indebolire la volontà Nuove gerarchie Bisogna evitare che sorga un’élite capace di accedere ad algoritmi e banche dati lasciando nell’ignoranza il resto dell’umanità

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