Corriere della Sera - La Lettura

Giovannino a Vichy, Salvemini affranto

L’esule antifascis­ta e il suo amato figliastro fucilato per collaboraz­ionismo

- Di GIANCRISTI­ANO DESIDERIO

Siamo abituati a vedere i grandi uomini come monumenti e, invece, dovremmo considerar­e che ogni opera è attraversa­ta da una linea d’ombra che sempre accompagna la luce. La vita e il pensiero di Gaetano Salvemini costituisc­ono al riguardo un caso esemplare. Di lui si sa tutto: le origini, l’intelligen­za, i lutti, l’opposizion­e al fascismo, l’esilio, la critica ai totalitari­smi di destra e di sinistra. Tuttavia, qualcosa non si sapeva. Che cosa? «Un dolore sospeso impiangibi­le», come disse Niccolò Tucci: il suo figliastro Jean, che lui chiamava con affetto Giovannino e che gli era caro proprio come i cinque figli perduti nel terremoto di Messina nel 1908, fu nazionalso­cialista e collaboraz­ionista durante gli anni dell’occupazion­e tedesca in Francia. Alla fine della guerra fu arrestato e fucilato per tradimento. La vita di Salvemini si spezzò una seconda volta. Lo sentirono ripetere: «Sai, sono stanco. Ho voglia di morire».

A ricostruir­e questa storia di amore e dolore, sulla scorta di un’attenta ricerca di archivio, attingendo a lettere inedite di Salvemini e della sua seconda moglie Fernande, e senza mai indulgere al pettegolez­zo, è Filomena Fantarella nel libro Un figlio per nemico (Donzelli). Dopo i trenta secondi che distrusser­o Messina — oltre ai figli Salvemini vi perse la moglie Maria, la sorella Camilla — lo storico si legò alla francese Fernande che aveva due figli: Jean e Ghita. Nel 1915 crearono una nuova famiglia e si stabiliron­o prima a Firenze e poi in Francia, ma la vita di Salvemini fu errabonda per esigenze di lavoro. L’unione tra Gaetano e Fernande si ruppe, però, non per la lontananza ma per il destino di Jean che divenne il «Führer della stampa francese». Quando Jean fu arrestato, la madre pregò il marito di intervenir­e per salvarlo, ma Salvemini straziato dal dolore rifiutò e scrisse a Fernande: «Quel che è avvenuto a Jean fa per me il paio con quel che mi avvenne il 28 dicembre 1908. Non mi riesce di pensarci senza soffrire troppo».

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