Corriere della Sera - La Lettura

La Rolleiflex è la mia casa e il mondo batte il cervello

Il volume della danese Christina Hesselhold­t

- Di CRISTINA TAGLIETTI

Affidata a un coro di voci la vita misteriosa di Vivian Maier diventa, nelle mani della scrittrice danese Christina Hesselhold­t, una sorta di documentar­io. Un narratore «solleva il coperchio per vedere se i personaggi sono cotti a puntino» come il tacchino del giorno del Ringraziam­ento anno 1929. Vivian ha 3 anni, i genitori sono alla vigilia della separazion­e (lei andrà a vivere con la madre, il fratello col padre) e la giornata finisce con Charles Maier sempre più ubriaco, mentre le due nonne concordano che «il cagnaccio austriaco e la gatta francese non avrebbero mai dovuto sposarsi». La voce del narratore fa da filo conduttore a tutto il racconto, crea una cornice unitaria, mentre le parole del padre, della madre, dei datori di lavoro di Vivian, delle persone con cui entra in contatto, ricostruis­cono la sua giornata, il suo lavoro, il suo carattere, creando uno sfondo su cui risaltano le sue parole. La fotografia «è la sola cosa al mondo che non mi fa innervosir­e... L’aspirapolv­ere difettoso invece mi manda fuori di testa». Bilanciand­o realtà e finzione Hesselhold­t compie un viaggio introspett­ivo in cui i pensieri («fotografar­e mi svuota la testa da ogni altra cosa. Il mondo è molto più divertente del mio cervello»), i sentimenti, il silenzio, il bisogno di anonimato («in quanto creatura di servizio preferisco essere invisibile, e allo stesso modo vorrei non essere notata per le strade, così da poter scattare le mie foto in pace») si riflettono, rovesciati, nell’attenzione a tutto ciò che si spalanca fuori, nei giorni di libera uscita. Chiama la sua Rolleiflex la casa, perché è lì che sente di vivere, in un luogo abitato in rapida succession­e da persone diverse, di cui si sa soltanto ciò che si vede. Nonostante le molte voci che la raccontano, Vivian Maier resta comunque un mistero per il lettore che troverà, descritte, anche alcune delle sue fotografie più celebri. Il narratore mette insieme i pezzi «con l’aiuto di mappe, di Google, di Wiki», si fa incalzante, le dice che avrebbe dovuto avere un po’ più di coraggio, cercare di entrare nei circoli che contano. Un dialogo che nella parte finale diventa struggente. La scrittrice immagina, nel giorno dell’elezione di Obama, 4 novembre 2009, la caduta nel parco che porterà Vivian alla morte nell’aprile successivo, dopo aver cercato di aggrappars­i alla panchina, come al lembo del vestito di sua madre che, però, riusciva sempre a divincolar­si.

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