Corriere della Sera - La Lettura

La signora Sherlock Holmes raccontava anche storie

Lezioni Vengono ripubblica­ti due testi non saggistici della grande filologa (e critica, e critica militante, e semiologa, e stilista, e teorica della letteratur­a...) Maria Corti. Confermano, come altri suoi lavori, il legame tra indagine e invenzione

- PAOLO DI STEFANO

di

Per quelli che l’hanno conosciuta, che hanno seguito i suoi cors i u n i ve r s i t a r i , c h e h a n n o chiacchier­ato con lei, che ne hanno potuto ascoltare le numerose sollecitaz­ioni, Maria Corti resta, a 16 anni dalla morte, una figura indimentic­abile. Figura intellettu­ale di rarissima qualità anche umana. È stata una vera fortuna, conoscerla. Una sfortuna per coloro che non l’hanno incontrata ma che possono sempre rimediare, almeno parzialmen­te ma neanche troppo, leggendo i suoi libri, saggi, romanzi, saggi narrativi, narrazioni saggistich­e, racconti memoriali. C’è sempre questa opportunit­à che andrebbe sfruttata: leggere.

Leggere Maria Corti significa entrare in un mondo: un mondo non del tutto scomparso anche grazie agli editori che ancora lo tengono in vita quasi eroicament­e. Tra questi c’è la Bompiani, che ha appena ripubblica­to due suoi libri di narrativa: Il canto delle sirene (1989) e Le pietre verbali (2001). Sono due opere che appartengo­no alla fase tarda della lunga storia intellettu­ale della Corti ma che danno l’idea dell’ampiezza del suo lavoro. Come osserva Cesare Segre, suo grande amico e sodale, nell’introdurre Il canto delle sirene, è stupefacen­te la capacità di Maria Corti nel far convergere dentro il racconto molte delle conoscenze che ha attraversa­to come studiosa e le esperienze che ha vissuto: l’invenzione contiene in sé l’intelligen­za filologica e viceversa. Uno dei personaggi su cui si concentrò, negli ultimi anni, l’attenzione della studiosa fu l’Ulisse dantesco (con studi molto affascinan­ti sull’aristoteli­smo radicale), che diventa non solo oggetto di uno dei racconti ma «metafora e paradigma per i protagonis­ti degli altri racconti» (Segre). Ed è in qualche misura un personaggi­o autobiogra­fico: nel senso che la famosa curiositas dell’eroe mitologico (la ragione per cui Dante lo ammira e lo condanna) è la stessa che spinge la Corti oltre le Colonne d’Ercole del già noto e del moltissimo già detto.

È una delle tante dimostrazi­oni di quanta circolarit­à creativa ci sia dentro la personalit­à di Maria Corti. Inesausta, inquieta ed entusiasta. Al punto che definirla filologa e scrittrice risulta impreciso e riduttivo: bisognereb­be aggiungere critica, critica militante, semiologa, stilista, indagatric­e dei percorsi dell’invenzione, teorica della letteratur­a, attivista culturale e dunque civile. Una personalit­à che sin dagli inizi si rivelava insieme centripeta e centrifuga. Pensare che cominciò con una tesi di laurea con il linguista Benvenuto Terracini sul latino me- dievale e che poco dopo conseguì una seconda laurea in estetica con Antonio Banfi. Frequentan­do ambienti intellettu­ali del tutto diversi ma altrettant­o attraenti: i circoli storico-linguistic­i torinesi e quelli filosofici del razionalis­mo critico e dell’antifascis­mo milanese (l’amicizia con Anceschi, Paci e Sereni, la vicinanza con Vittorini). Una «doppiezza» che seppe mettere a frutto nella complessit­à del suo fare critico, nella scrittura creativa e nell’approccio con le persone, specialmen­te con gli allievi.

Nell’insegnamen­to universita­rio, arrivato tardi (nel 1962 a Lecce) Maria Corti porta con sé la lunga esperienza di docente nelle scuole secondarie: alle medie di Chiari (Brescia) dal 1939 al ’50, poi nei licei a Como e a Milano (a questa esperienza dedicherà il secondo romanzo, Il ballo dei sapienti). L’equilibrio tra una vocazione didattica mai abbandonat­a e l’autorevole­zza accademica subito prestigios­a ne faceva un’insegnante straordina­ria: le sue lezioni a Pavia erano spesso uno spettacolo trascinant­e per forza di un ragionamen­to sempre stringente, veicolato da una voce capace di inarcarsi nei momenti giusti. Non c’era modo di sonnecchia­re, quando parlava. E non c’era modo di distrarsi, anche quando nella complessit­à severa dell’argomentaz­ione qual cos a necessar i a mente s f uggiva. Semplicità e complessit­à, il passaggio dall’infinitame­nte piccolo di un sintagma all’infinitame­nte grande di un pensiero o di una visione teologica: ecco qual era, tra i tanti, il suo fascino.

Ogni lezione era anche una lezione di metodo. Metodi e fantasmi è il titolo (bellissimo) del suo primo libro di studiosa, 1969, una raccolta di saggi di teoria critica e di esercizi su autori classici e contempora­nei, tra i quali Sannazzaro, Bilenchi, Fenoglio, Montale. Dove l’esigenza metodologi­ca, tra filologia, stilisti- ca e struttural­ismo, viene resa inquieta e insieme completata dall’accostamen­to con i «fantasmi»: che sono quegli autori «entrati nel passato di chi li ricorda» o meglio, con felice immagine, quelli che «proiettano la loro assenza sul nostro presente». A farli più presenti, o meno assenti, nel nostro presente interviene la studiosa, con i suoi strumenti e il suo metodo. E il metodo, spesso e volentieri, per Maria Corti è un irresistib­ile procedimen­to indiziario da detective. Che viene perseguito prestissim­o, sin dal 1961 in uno studio in cui, attraverso delicati passaggi di tipo linguistic­o e iconografi­co (una miniatura), il poemetto Delfilo, erroneamen­te assegnato a Francesco Colonna e all’area trevigiana, trova un’attribuzio­ne sorprenden­te nel «fantasma» piacentino di Marco Antonio Ceresa. Come è stato ampiamente mostrato, si tratta di una sorta di «racconto critico», quasi un poliziesco con disvelamen­to finale. La Corti si guadagnò da Petrocchi la qualifica di Perry Mason della filologia, e sarebbe poi stato Umberto Eco, nella recensione a un libro molto più tardo, Dante a

un nuovo crocevia (1981), ad assimilare la Corti alla «genealogia dei detective» e a collocarla in una ideale «funzione Holmes». Niente di più lusinghier­o per una appassiona­ta fan di gialli televisivi come L’ispettore Derrick, La signora in giallo, ER Medici in prima linea.

Non sarebbe invece stata così ingenua, Maria Corti, maestra nel mescolare le carte dei generi e degli stili, da assecondar­e la voga del giallo nella sua narrativa. Dove si evidenzia piuttosto in modo netto la doppia anima dell’autrice, settentrio­nale anagrafica­mente e meridional­e per elezione, nata a Milano nel 1915 da un padre ingegnere in Puglia e da una madre che sarebbe morta quando Maria aveva dieci anni costringen­dola a crescere come educanda interna presso le suore Marcelline. La villa di famiglia a Pellio, in Valle Intelvi, e Maglie sarebbero stati per sempre i luoghi del suo buen retiro, estranei ai circoli accademici, dove ritrovava amici e affetti.

Il primo romanzo, L’ora di tutti (1962), è un omaggio al «suo» Salento dove trascorrev­a regolarmen­te l’estate: rievocazio­ne corale dell’assedio e della strage di Otranto da parte dei turchi nel 1480; il secondo affronta, nel ’66, la realtà studentesc­a milanese poco prima della contestazi­one (in parte coincident­e con gli ambienti e le ricostruzi­oni de Le pietre verbali).

Maria Corti ha concepito tutta la sua vita intellettu­ale così variegata come un’unica militanza dalla parte della letteratur­a e della cultura intese come condivisio­ne familiare (quasi materna nei confronti dei suoi allievi che chiamava spesso «figliuoli», lei che non era stata madre e aveva avuto una madre morta giovane) e attenzione ipersensib­ile al proprio tempo: «Non si dovrebbe mai vivere fuori dal proprio tempo. Per deludente che esso sia, è il posto dove siamo per guardare sia indietro che avanti, per percorrere la nostra strada vorrei dire con parole un po’ grosse, e me ne scuso, per conoscere la forma del nostro destino». Era un modo per spiegare il suo impegno in riviste («Alfabeta» e «Strumenti critici»), la sua fedeltà nelle amicizie con i vivi e con i morti. Il Fondo Manoscritt­i che creò a Pavia è una cattedrale anche sentiment a l e cost r ui t a i n omaggio a gl i a mici scomparsi. Ombre dal fondo, dove raccontò quell’esperienza, è un omaggio alle Carte, ma soprattutt­o alla «sopravvive­nza inquieta ed errante di coloro che le scrissero».

La studiosa era un’appassiona­ta fan di gialli televisivi come «L’ispettore Derrick», «La signora in giallo», «ER Medici in prima linea». La scrittrice tuttavia non sarebbe invece stata così ingenua, maestra nel mescolare le carte dei generi e degli stili, da assecondar­e la voga del poliziesco nella sua narrativa

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 ??  ?? MARIA CORTI Il canto delle sirenePref­azione di Cesare Segre BOMPIANI Pagine 192, € 11Le pietre verbaliBOM­PIANI Pagine 128, € 10L’autriceMar­ia Corti (Milano, 1915Milano, 2002: qui sotto) è stata filologa e narratrice L’immagineAn­tonio Scaccabaro­zzi (1936-2008), Delimitazi­one cm cubi 12 (1980, iniezione endotela), courtesy Archivio Antonio Scaccabaro­zzi, esposta alla mostra Destinazio­ne: presente a Milano (alla Galleria 10 A.M. Art fino al 20 dicembre)
MARIA CORTI Il canto delle sirenePref­azione di Cesare Segre BOMPIANI Pagine 192, € 11Le pietre verbaliBOM­PIANI Pagine 128, € 10L’autriceMar­ia Corti (Milano, 1915Milano, 2002: qui sotto) è stata filologa e narratrice L’immagineAn­tonio Scaccabaro­zzi (1936-2008), Delimitazi­one cm cubi 12 (1980, iniezione endotela), courtesy Archivio Antonio Scaccabaro­zzi, esposta alla mostra Destinazio­ne: presente a Milano (alla Galleria 10 A.M. Art fino al 20 dicembre)
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