Corriere della Sera - La Lettura

Le verità del viaggiator­e sghembo

- Di DANIELE PICCINI

Non è facile per un poeta, ma è tutto per lui, trovare una misura. Quando ci riesce, allora dentro lo spazio di una forma rodata, di un tocco che diventa uno stile, ogni cosa del mondo può essere accolta. È quel che accade a Tiziano Broggiato (1953), che conferma con Novilunio (LietoColle, pp. 100, 13) quanto di meglio ha mostrato nella sua storia poetica. La splendente incertezza del mondo assilla e attira il poeta, il quale decide di osservare le cose da una posizione laterale, di continuo movimento o di fuga (i luoghi dei viaggi punteggian­o la raccolta, come osserva nella sua nota Franco Cordelli): i posti tipici del poeta, le ore, i momenti congeniali sono all’insegna dell’intermezzo, dell’essere tra, del trovarsi di sghembo, in una dimensione di trapasso (tra credere e non credere, anche; tra essere e non essere). Appuntamen­ti a ora insolita, direbbe Sereni, uno dei maestri leggibili in controluce, fin nella struttura sintattica del discorso (ma Broggiato cita anche Larkin ed Ewa Lipska). Ad esempio, ritorna il motivo del trovarsi tra veglia e sonno: è il momento in cui la piena dei fantasmi, dei ricordi rischia di travolgere la coscienza. Trattiene il respiro, il poeta, infila spilli per fissare immagini e fotogrammi che diventano piccoli enigmi, sfingi pulsanti e tormentose: «Me la trovai così di fronte: alta,/ lattiginos­a. Irridente». Ombre, forse. Ma infine è la parola mancante a essere attesa, la sua possibile verità: «Andrà avanti così, come di consueto,/ finché non sarà lei a decidere di/ mostrarsi, preziosa e compiuta, pronta/ per l’innesto».

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