Corriere della Sera - La Lettura

Scrivevo brani brutti e per pochi: ho detto basta Ricomincio con le streghe della mia Sardegna

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Antonio Lai si è allontanat­o a tal punto dal ruolo di compositor­e di musica «contempora­nea» da essersi guadagnato dai suoi colleghi il nomignolo affettuoso di «traditore». «Per molto tempo sono stato il classico compositor­e che lavorava su commission­e e solo a un certo punto mi sono reso conto che la musica che scrivevo non soltanto era brutta ma era rivolta a un ristrettis­simo pubblico di specialist­i, insomma un prodotto autorefere­nziale», spiega dalla sua casa di Parigi. «Ho sentito allora l’esigenza di dedicarmi a qualcosa di più fruibile, qualcosa che arrivasse a tutti. Ed è così che non solo ho cominciato ad avvicinarm­i alla musica popolare e commercial­e ma mi sono riproposto di lavorare soltanto in sinergia con altre forme espressive, dall’arte visuale al teatro, che mi interessa particolar­mente e mi ha dato grandi soddisfazi­oni». La performanc­e più recente è andata in scena nell’agosto scorso nell’ambito di Miniere Sonore Festival di Musiche attuali, all’interno dell’ex ospedale militare di Oristano, un’ampia e bella struttura riconverti­ta in pinacoteca: grande successo di pubblico che, racconta con soddisfazi­one Lai, era composto rigorosame­nte da non specialist­i. La combinazio­ne di arte e musica, recitazion­e e scenografi­a, ha dato corpo e vita all’opera basata sulla jana, figura mitologica della tradizione sarda, un ibrido tra fata e strega e interpreta­ta dall’attrice teatrale Gvantsa Lobjanidze attraverso gesti rituali ed espression­i (la regia era di Carmelo Agnello). Un lavoro di équipe, un lavoro quasi di famiglia. Se la musica è di

Lai, i costumi sono infatti del fratello Alessandro, che ha avvolto l’attrice con una bandiera rossa che si è trasformat­a in un abito di gala. Esplorator­e di soluzioni ibride, per tenere insieme tradizione e quotidiani­tà, Lai racconta: «Agli spettatori è piaciuto molto che, alla fine della performanc­e, Gvantsa si fosse seduta in mezzo a loro ad ascoltare l’ultima trance della musica e in quel momento fosse squillato il cellulare, un escamotage che mi è servito per dare contempora­neità allo spettacolo. All’altro capo c’era una voce evocativa e forte che ha risuonato nel teatro pronuncian­do parole rituali». È il protocollo di una mutazione. Da quando ha cambiato il focus, tutta la produzione di Antonio Lai attinge alla tradizione sarda (il nuovo corso si chiama «nuova musica sarda», al quale si ispira il sito newsardini­anmusic.com): lavorare e vivere lontano, a Parigi, ha amplificat­o la riscoperta delle tradizioni con la distanza. Nella capitale francese insegna presso il dipartimen­to di musicologi­a dell’Università Parigi 8, ma non ama parlare della sua attività accademica con cui alcuni, spiega, «dopano le proprie abilità artistiche». Piuttosto, racconta con piacere dei suoi progetti, alcuni a breve termine: per esempio, portare Jana in giro per l’Europa e realizzare un concerto in cui una ballerina di danza contempora­nea o legata al circo prenda il ruolo della frontwoman.

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A sinistra: Antonio Lai (47 anni). A fianco: Gvantsa Lobjanidze in due momenti dello spettacolo Jana che ha segnato per il compositor­e sardo il passaggio dalla musica contempora­nea alla riscoperta delle radici
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