Corriere della Sera - La Lettura
Suoni (terapeutici) alle porte della Rianimazione
L’ospedale di Bergamo ospita «Canone Infinito», installazione musicale pensata come forma di accoglienza per i familiari dei pazienti che vivono un tempo sospeso
Sanità Sarà inaugurata il 20 novembre nei corridoi che portano alla Terapia Intensiva del «Giovanni XXIII» È una sequenza sonora per marimba di 12/14 secondi composta da Lorenzo Senni e riproposta a loop a intervalli regolari
Lorenzo Senni (Cesena, 1983) incarna una di quelle figure in grado di abbracciare più discipline contemporaneamente. È prima di tutto un musicista, compone e suona; poi si occupa di installazioni, di immagini, di sonorizzazioni. Lo fa sospinto da una curiosità che sembra innata e che di primo acchito fa pensare allo sguardo onnivoro di un bambino. Al telefono è diretto, chiacchierone, con una parlata gioviale e le «e» chiuse, tipiche della sua Romagna. Da Londra, dove sta lavorando, racconta a «la Lettura» il suo nuovo progetto destinato all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, un connubio fra sanità e arte all’interno di un percorso che l’ospedale ha intrapreso da tempo. Dal 20 novembre i corridoi adiacenti le sale di Terapia Intensiva ospiteranno un’installazione site-specific dell’artista dal titolo Canone Infinito, a cura di Stefano Raimondi e Claudia Santeroni. È un’iniziativa che nasce dalla collaborazione di due eccellenze del territorio, il citato ospedale e The Blank Contemporary Art, pluripre- miata associazione culturale bergamasca, nata con l’intento di «diffondere e ampliare la passione e la curiosità verso l’arte contemporanea». Canone Infinito in sintesi è un’opera sonora pensata come una «poetica accoglienza» destinata ai familiari dei pazienti ricoverati nelle terapie intensive e allestita nei corridoi adiacenti.
Carlo Nicora, medico varesino, direttore generale dell’Ospedale di Bergamo dal gennaio 2011, a proposito di
Canone Infinito, spiega che l’opera «farà da sottofondo all’attesa dei parenti dei ricoverati e al lavoro degli operatori che attraversano i corridoi che circondano le terapie intensive». E aggiunge: «Questi spazi ad alta intensità di cura e di tecnologia sono una zona delicata, qui spesso si fa la differenza tra la vita e la morte. Ma il corpo non può condurre la sua lotta contro un grave trauma o una malattia senza il supporto dello spirito. Per questo accogliamo l’arte in corsia e amiamo ripetere che l’ospedale è un luogo di cura e cultura. Questa visione è parte integrante del nostro Dna e della nostra storia».
Lorenzo Senni, lei è identificato soprattutto come un compositore ed esecutore di elettronica. Viene dal punk, ha studiato batteria con un jazzista, si è occupato delle musiche ripetitive tipiche dalle scena dance, ha studiato musicologia al Dams di Bologna... Ci descriva «Canone Infinito».
«Ho evitato di usare l’elettronica, per fattori di fragilità dello spazio in cui la musica verrà diffusa. Non volevo portare ulteriore elettricità in un luogo vicino a macchinari che lavorano di continuo per tenere in vita le persone. È anche una questione di rispetto, è fare un passo indietro». Quindi è musica acustica?
«Lo è al 100%. Ho composto il Canone per vibrafono e marimba. Alla fine lo abbiamo registrato per marimba sola con il percussionista Davide Merlino. È una sequenza di 12/14 secondi che viene ripetuta a loop (ascoltandola ricorda le passività sensoriali di certe pagine di Morton Feldman e Harry Partch, un Oriente immaginario e cal-
mo, ndr). Sono soddisfatto se posso ascoltare per 4 ore di fila una breve melodia scritta da me...». La musica verrà diffusa nei corridoi a flusso continuo?
«Ci stiamo ancora lavorando, ma in linea di massima direi di no. Ci saranno pause di 30, forse 40 minuti, tra una sonorizzazione e l’altra. Il lavoro di sistemazione degli speaker è anche delicato: me ne occuperò con i tecnici del suono di Concrete Acoustics di Varese. Sono loro che hanno concepito e installato il sonoro nel cinema della Fondazione Prada a Milano, con 30/40 canali indipendenti. Una cosa incredibile dal punto di vista acustico». E il volume, come sarà?
«Non sono mai stato un fan del volume alto e dei concerti da ascoltare con le dita nelle orecchie. Per durata e volume mi metto nelle mani di chi in quell’ambiente ci vive tutti i giorni. Parliamo di percezione in un ambiente che non è facile. Chi si trova lì, sta aspettando una notizia, che può essere positiva o negativa. Non sono spazi di dramma, come in una camera mortuaria. Qui ci si trova in un momento sospeso, di attesa perenne, che paradossalmente può essere anche peggio. Non pretendo di essere utile a qualcosa o a qualcuno, e il messaggio della mia musica non deve necessariamente essere di felicità. Provo a trasmettere suoni: forse qualcuno che si trova lì, riuscirà a sentirli vicini, utili». A che genere di musica le hanno fatto pensare la prima volta quegli spazi?
«Appena entrato, ho pensato ai grandi minimalisti, a Steve Reich e La Monte Young, alle loro pagine più tranquille, meno incalzanti, meno dense e martellanti». Ci descriva lo spazio che deve sonorizzare.
«È uno spazio austero, per nulla confortante e confortevole. Le sedie sono scomode, i corridoi bianchi, con strisce verdi. È tutto molto luminoso ma di una luce fredda, algida. Da fuori arriva pochissima luce. Sono corridoi funzionali, dove passano carrelli, con medicinali, barelle... Non sono stati concepiti per essere confortevoli. E fra l’altro sarebbe anche vietato sostare nei corridoi ma gli psicologi mi hanno spiegato che i parenti non riescono a stare in sala d’attesa perché, anche inconsciamente, la sentono troppo distante dai loro cari, quindi si mettono in piedi, anche per ore e ore, vicino alla porta della rianimazione. È un modo inconsapevole di sentirsi più vicini ai ricoverati. Per questo poi in ospedale hanno allestito alcune sedie proprio davanti all’ingresso della rianimazione». L’affascina il lavoro del medico?
«Moltissimo. E, per entrare meglio nella loro professione, avrei voluto stare molto più tempo a contatto con
loro e con gli psicologi che li seguono. I medici della rianimazione ogni volta che escono da quella porta sono costantemente “assaliti” dai parenti, che giustamente vogliono notizie». Ha pensato di portare la musica anche dentro le sale?
«No, i medici, benché sensibili alla musica, salvano le vite con altri strumenti. Capisco quindi che la musica possa essere interpretata come qualcosa di superfluo in un ambiente simile». Lei ha lavorato anche su un documentario di Yuri Ancarani su un’operazione a cuore aperto.
«Si, era Da Vinci. Ho composto la colonna sonora e il documentario è stato presentato alla Biennale di Venezia del 2013. Ora abbiamo un altro documentario fatto insieme che si intitola The Challenge, sull’addestramento dei falchi in Qatar». Quali sono stati i compositori che l’hanno affascinata di più agli inizi?
«Quando facevo il Dams, ma non mi sono laureato per due esami, uno dei quali era Teoria musicale 2 (ride,
ndr), mi colpirono in maniera particolare i lavori di John Cage e David Tudor, poi Iannis Xenakis, Karlheinz Stockhausen, che ho anche visto dal vivo poco prima che morisse. Dirigeva qualcosa dal suo ciclo Licht. Nel periodo universitario ho scoperto la musica trance, che è un genere di musica elettronica nato in Germania negli anni Novanta e che, con le sue ripetizioni e con la sua profondità di suoni, induce, come dire?, uno stato di estasi». Su questo genere lei poi ha lavorato molto.
«Sui loop sopratutto, sulla ripetizione nella musica elettronica, nella trance in particolare, all’interno della quale a un certo punto arriva il build-up, che è l’unico momento in cui l’esecutore, che è spesso un dj, ha la libertà di improvvisare, fare vedere quanto vale». Un po’ come nella cadenza in un concerto di musica classica...
«Sì. È la libertà che si ha dentro un sistema chiuso, all’interno del quale l’esecutore agisce a seconda della sua formazione. Ecco, per Canone Infinito, ho voluto provare a comporre un pezzo che fosse fatto solo di build-up. Nel mio lavoro mi sono spesso scontrato con la questione di come poter far “crescere” un pezzo. Con progressioni armoniche, ritmiche... Canone Infinito nasce da queste riflessioni, che riguardano anche Bach, ma non direttamente. Il nome del brano è il titolo di un libro di Loris Azzaroni, che è stato mio professore di Armonia e Contrappunto al Dams. Il libro non lo ricordo, ma quel titolo mi ha sempre affascinato».