Corriere della Sera - La Lettura
Le voci bianche intonano i della
Canti vecchiaia
Cambio di prospettiva. Una nuova musica canta la vecchiaia con occhi nuovi. Infinite volte, il repertorio classico ci ha abituati a interpretazioni dell’età estrema come viste dall’interno, per referenzialità diretta. Pensiamo anche solo all’incedere implacabile di Saturno, nei Pianeti di Holst. Pensiamo ai grandi vecchi dell’opera, che presagiscono e non eludono la fine, da Wotan al Palestrina di Pfitzner, dalla Contessa alla Marescialla. Pensiamo alla sfatta malinconia dei versi di Weöres cantati da Kodály nel meraviglioso coro Öregek («Anziani»). No, tutt’altra musica ascolteremo l’8 novembre, all’Urban Center di Milano (Galleria Vittorio Emanuele, ore 18).
Il Coro da Camera Hebel, ragazze tra i 16 e i 23 anni dirette da Alessandro Cadario, con Antonella Moretti e Mauro Ravelli al pianoforte, porta al debutto i Canti dell’estrema primavera di Carlo Galante (nella foto una pagina della partitura): fine compositore trentino, che qui ribalta i termini, dedicando alla vecchiaia sei bozzetti corali, scritti però per voci bianche, ovvero per coro di fanciulle. «È il modo in cui un giovane — spiega il maestro a “la Lettura” — può sentire il limite ultimo dell’esistenza. Oggi la vecchiaia è un’età bandita, dimenticata, qualcosa di non detto. A volte è un’età drammatica: eppure, senza di essa nulla avrebbe senso, vivremmo solo la superficie del tempo».
Uno sguardo alla nuova partitura rileva subito la tipica densità di scrittura e la sapienza di Galante nel creare flussi melodici avvolgenti, pur nella parsimonia dei gesti espressivi: dall’unisono al minimo discanto, ritmi liquidi e delicate ondulazioni intonano, ad esempio, «stille di rugiada» e lacrime, in un frammento di Coleridge; oppure, in Eschilo, tradotto da Giorgio Ieranò, «il cuore dei vecchi è come quello dei bambini», a contrasto con le diffrazioni del pianoforte. Galante non teme la trasparenza né i madrigalismi: le dissonanze di seconda, per dire il vecchio «grinzoso come foglia secca»; o, su versi di Yeats, da Sailing to Byzantium, la contrapposizione fra il Gravemente («An aged man is but a paltry thing») e il Rapido che, su «Soul clap its hands and sing», libera ritmi sghembi, vero battere di mani e sciolti melismi, su «sing». Ha una sua giovinezza anche l’attrito fra il parlato ritmico e i sinistri cromatismi della melodia che sferza Euripide: «Odio odio odio la vecchiaia dolorosa». Prima che le fanciulle, a tre voci, in un pianissimo sospeso e immobile, non la soffino via, nel suo remoto nulla, questa «vecchiaia assas-si-na »: «Vorrei che un volo d’ali la portasse eternamente nei cieli più lontani».