Corriere della Sera - La Lettura
La vita è violenta? Allora anche il teatro lo è
Prosa Milo Rau ha rappresentato spesso i buchi neri della storia: genocidi, dittature, pedofilia. A Roma presenta la tragedia di Ihsane Jarfi, gay, ucciso a 32 anni a Liegi nel 2012. Uno choc che si ripete in scena
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Se la realtà è scandalosa e radicale, secondo il regista svizzero Milo Rau, 41 anni, anche il teatro deve esserlo. Così, dopo aver messo in scena l’affaire Dutroux ( Five Easy Pieces, 2016), il processo farsa contro il dittatore Nicolae Ceausescu e sua moglie ( Last Days of the Ceausescus, 2009) e la propaganda genocidaria della radio ruandese ( Hate Radio, 2011), con The Repetition. Histoire(s) du théâtre (I), spettacolo che RomaEuropa Festival propone dal 9 all’11 novembre al Teatro Vascello, Rau torna a interrogarsi sulla rappresentazione della violenza in scena attraverso una sorta di «gioco criminale allegorico»: da cosa nasce un delitto? Intenzione o coincidenza? Che ruolo gioca il pubblico? E cos’è la colpa collettiva?
The Repetition, prima parte di una indagine a lungo termine sulla più antica forma di arte performativa dell’umanità, ricostruisce il brutale omicidio di Ihsane Jarfi, omosessuale di origine maghrebina, torturato e assassinato da un gruppo di giovani a Liegi, in Belgio, il 12 aprile 2012. Attraverso gli attori in scena — oltre a Sara De Bosschere, Sébastien Foucault, Johan Leysen e Tom Adjibi anche due non professionisti: Suzy Cocco, dogsitter, e Fabian Leenders, magazziniere —, il regista indaga fatalità ed emozioni di un’esperienza tragica: lutto e dolore, verità e menzogna, disastro e paura, crudeltà e terrore.
Il sipario si apre sulle domande che Johan Leysen, grande interprete del teatro fiammingo qui in veste di narratore, rivolge al pubblico in sala: qual è la parte più importante della tragedia? — chiede —. È forse l’inizio, quando le fondamenta su cui la trama è costruita conducono il personaggio, l’attore, e inevitabilmente lo spettatore verso il (tanto atteso) tra- gico evento? È la morte sul palco dell’eroe tragico? O è invece la fine, quando tolti i costumi di scena intrisi di sangue, gli attori tornano in sala per gli applausi? E cosa succede quando la tragedia non è Amleto o un classico ormai consolidato? Quando non è finzione, quando si estende oltre il palco? Cosa succede quando la tragedia è un evento reale che rimane una ferita aperta nella recente memoria collettiva di una comunità, quando la tragedia è un omicidio reale — è l’omicidio di Ihsane Jarfi?
Jarfi, 32 anni, viene visto vivo per l’ultima volta la notte del 12 aprile 2012. Con altri quattro ragazzi è a bordo di una Polo Volkswagen grigia: sono fermi di fronte all’Open Bar, un gay club nel centro di Liegi. Due settimane dopo, il suo corpo nudo verrà ritrovato in un campo. Il giovane è stato picchiato a morte, dopo ore di torture e sevizie selvagge.
Per i media belgi, l’assassinio è un crimine d’odio. Rau la pensa diversamente: «Se lo si guarda più da vicino, non è così — ha raccontato al magazine “AND#11” —. Non c’è stata premeditazione, solo una sequenza di assurde coincidenze, di sfortunati eventi. Jarfi è morto perché era nel posto sbagliato al momento sbagliato. Gli assassini non avevano una ragione per ucciderlo, non ne avevano l’intenzione all’inizio — così come Edipo non aveva intenzione di uccidere suo padre, che incontra per caso a un bivio. In tutte le mie opere, e vale anche per The Repetition, la tragedia è la traumatica impenetrabilità della violenza. E, alla fine, nessuna ragione, nessuna psicologia, nessuna spiegazione sociologica può aiutare il pubblico».
Nelle antiche tragedie greche gli eventi si svolgono sotto lo sguardo degli dèi. Quando Edipo incontra e poi uccide suo padre, non è una coincidenza, ma parte di un più grande destino, il fato del «genere umano». «C’è uno scopo per tutto ciò che accade — riflette ancora Rau —. Ma oggi come troviamo questo scopo? Dov’è la trascendenza dietro l’umana miseria? È questa, per me, la questione più importante. Raccontiamo delle storie per comprendere la narrazione, per superarla. Può sembrare romantico, ma cerco davvero di trovare una trascendenza».
In scena, la violenza della ricostruzione dell’omicidio è scioccante — tanto insensata quanto brutale. Rau ha sottolineato che The Repetition «è un’opera sul teatro e sul cambiamento identitario, non solo sul palcoscenico, ma nell’esistenza umana — su come si diventa vittime, su come si diventa colpevoli, su come si può sfuggire al proprio ruolo». Per l’inchiesta, il regista è andato con i suoi attori a Liegi per incontrare i parenti e l’ex fidanzato di Jarfi, nonché uno dei criminali in carcere. Tutta la troupe è rimasta colpita dallo stato di abbandono della città causato dalla fine dell’industria siderurgica, con gli altiforni tesi al cielo come croci di un cimitero. Al Kuns te nfest i val desarts di Bruxelles, nel maggio scorso, il padre e l’ex compagno di Jarfi sono usciti dalla sala durante la scena del delitto, in quei venti minuti che nessuno avrebbe voluto vivere.
Perché dunque assistere a uno spettacolo del genere? Rau cita il drammaturgo Wajdi Mouawad sull’atto più radicale che potrebbe verificarsi sul palco: un attore che minaccia di impiccarsi con una corda per vedere se qualcuno andrà a salvarlo. Un’allegoria per dire che, qualche volta, si può intervenire. E salvare.