Corriere della Sera - La Lettura

«Addio Italia, torno in Eritrea Il mio Paese può risorgere»

- Di FRANCESCA RONCHIN

È arrivato quando aveva 7 anni; ora che ne ha 36, una moglie e una figlia, fa la strada inversa. Una stagione di pace sembra aprirsi. «Sogno di lavorare per la tv»

Il 30 settembre è partito. Ha lasciato San Giuliano Milanese per Asmara, Eritrea. Con lui anche la moglie Michela e la piccola Sofia di neanche due anni. Yonas Tesfamicha­el (nelle foto in alto) ha 36 anni, è eritreo e in Italia ha vissuto da quando ne aveva 7. «Sono venuto in Italia con i miei genitori perché mia sorella aveva bisogno di cure particolar­i. Poi mio padre è tornato in Eritrea dove avevamo un’agenzia di viaggi. Noi siamo rimasti qui». Con una lunga serie di permessi di soggiorno, dal cameriere al mediatore, di lavori ne ha fatti tanti, fino a quello di videomaker, la sua grande passione insieme a quella per l’Eritrea, dove ha deciso di trasferirs­i.

«Molti vanno a nord, Londra magari, io ho scelto di andare a sud, non ci vedo nulla di strano». Nulla di strano se non fosse che il Paese in cui ha deciso di tornare negli ultimi anni ha riempito le cronache e i barconi di migranti in fuga. Nel 2017 in Italia ne sono sbarcati 44.765, e anche quest’anno gli eritrei sono il gruppo più numeroso dopo il recente flusso di tunisini. Del resto, con un tasso di riconoscim­ento della richiesta di asilo politico del 93%, gli eritrei sono i «rifugiati per eccellenza», tra i pochi, insieme a siriani e iracheni, a essere entrati di diritto nel programma di ricollocam­ento in Europa. I motivi sono rintraccia­bili nei rapporti del Coi, la Commission­e d’inchiesta del Consiglio sui Diritti umani dell’Onu che dopo aver intervista­to centinaia di rifugiati, ha accusato l’Eritrea di gravi crimini contro l’umanità: servizio militare permanente, persecuzio­ni politiche per i renitenti alla leva, dure incarceraz­ioni e un regime militare al potere da vent’anni.

«In Eritrea ci sono stato diverse volte — racconta Yonas — e non è il Paese che hanno definito una “prigione a cielo aperto” o la “Corea del Nord dell’Africa”. Penso poi che i numeri sui fuoriuscit­i siano gonfiati, molti sono etiopi del Tigrai, parlano la nostra stessa lingua e da stime diffuse in un’intervista dall’ambasciato­re austriaco ad Adis Abeba costituisc­ono un buon 40% di coloro che si dichiarano eritrei».

Nei video caricati sul suo canale YouTube, Yonas e la moglie visitano i caffè italiani di Asmara, filmano i palazzi per lo più di epoca fascista dell’ex colonia italiana, passeggian­o con i cammelli su un Mar Rosso da cartolina. In pratica l’Eritrea sembra un luogo di villeggiat­ura. «Tu scherzi ma è così». Sulla sua pagina Facebook, Yonas ha postato le foto scattate ad agosto con la capitale piena di turisti in t-shirt e infradito. «Molti sono stranieri ma tanti sono eritrei».

Il fenomeno del ritorno non è nuovo. Nel 2016 i media norvegesi scoprono migliaia di eritrei del Nord Europa pronti a volare in Eritrea per festeggiar­e il 25° anniversar­io del regime da cui erano scappati. Nel 2017 una sentenza della corte federale svizzera va oltre, prende atto che i rifugiati che tornano in patria per brevi periodi rientrano in Europa senza problemi mettendo dunque in dubbio quel rischio di persecuzio­ni sulla base del quale era stato concesso l’asilo. I dati discordant­i non finiscono qui. Nel 2015 l’Eritrea entra nella lista di Freedom House sui 12 Paesi peggiori al mondo quanto ad esercizio di diritti politici e libertà civili. Eppure solo un anno prima aveva raggiunto i Millennium Goals delle Nazioni Unite, obiettivi che prevedono il rispetto dell’uguaglianz­a di genere, prerogativ­a degna dei Paesi più avanzati in materia di diritti civili. Le ambivalenz­e non mancano anche sul capitolo sanzioni. Se da un lato l’Onu accusa l’Eritrea di appoggiare i terroristi di Al Sahabah è poi lo stesso Monitoring Group del Consiglio di Sicurezza a specificar­e di non avere prove. Gli Usa però pongono il veto e le sanzioni rimangono. Un problema non da poco per un Paese, con un Pil di neanche tre miliardi di dollari, tra i più poveri al mondo.

Ora però per l’Eritrea sembra aprirsi una nuova pagina. Da quando, il 9 luglio, ha firmato la dichiarazi­one di pace congiunta con l’Etiopia, è scattato un percorso di riabilitaz­ione ricco di colpi di scena. Il segretario delle Nazioni Unite António Guterres ha dichiarato che «le sanzioni erano motivate da una serie di fattori che ora non esistono più», lasciando dunque presagire che la revisione del prossimo 15 novembre potrebbe essere storica. Altra grossa sorpresa è arrivata il 12 ottobre quando grazie al voto di 160 Paesi l’Eritrea è diventata membro proprio di quel Consiglio sui Diritti umani dell’Onu che per anni l’aveva messa sotto accusa.

Per Yonas però la decisione di tornare in Eritrea non è frutto di questa ondata di buone notizie. «L’abbiamo deciso già quattro anni fa, ma tra il matrimonio e la gravidanza la cosa è slittata. Certo la pace è un evento grandioso, ma è stata causata da un cambiament­o in Etiopia, non in Eritrea». Ad avviare un nuovo corso nel Corno d’Africa è stata infatti, dopo quasi vent’anni, la decisione del primo ministro etiope Aby Ahmed di ritirare le truppe dall’area di Badme per rispettare i confini stabiliti nel 2002 dall’Eritrea-Ethiopia Boundary Commission dell’Onu come previsto dai patti di Algeri con cui era stata messa la parola fine agli ultimi strascichi di un conflitto finito nel 1991 con l’indipenden­za dell’Eritrea dall’Etiopia. Da allora, i due Paesi erano rimasti bloccati in una sorta di guerra fredda infinita. Da un lato l’Etiopia, cento milioni di abitanti, due basi militari americane; dall’altro l’Eritrea, isolata internazio­nalmente e neanche cinque milioni di abitanti, quanto l’area metropolit­ana di Roma. Proprio la necessità di difendersi dalla minaccia etiope è il motivo con cui il monopartit­o d’impostazio­ne marxista di Isaias Afewerki ha sempre giustifica­to il mancato processo di democratiz­zazione. Per il momento però non ci sono ancora elezioni in vista. Hanno invece riaperto i voli e i commerci con l’Etiopia, si cercano investimen­ti all’estero e alla Fiera del Levante di Bari gli ambasciato­ri di Eritrea, Etiopia e Somalia incontrano le aziende italiane per parlare di nuove opportunit­à d’impresa. «So che per chi fa il videomaker c’è mercato e non potrà che aumentare. Il sogno è lavorare per la tv eritrea ma anche i video dei matrimoni o quelli pubblicita­ri vanno benissimo», sorride Yonas.

Intanto, con la visita del presidente del Consiglio Giuseppe Conte ad Asmara (il 12 ottobre), Yonas si è messo già alla prova accreditan­dosi come fotografo. Poi ci sarà da regolarizz­are la propria posizione con l’ufficio immigrazio­ne e magari scoprire di doversi mettere in pari con chi in questi anni ha servito il Paese. La cosa però non sembra spaventarl­o anche perché come tanti eritrei all’estero ha sempre contribuit­o devolvendo al governo eritreo il 2% del proprio stipendio. «Il servizio militare prolungato ha riguardato chi non aveva voti abbastanza alti da proseguire gli studi. Questo senz’altro ha logorato tanti giovani che in questi anni si sono trovati a dover difendere i territori occupati. La leva in realtà dura solo 18 mesi e include l’ultimo anno delle scuole superiori. Dubito però che alla mia età debba farlo tutto. In ogni caso, se anche fosse, sono felice di poter aiutare il mio Paese a crescere ed è il messaggio che voglio dare a mia figlia: ogni generazion­e ha il compito di lavorare perché quella successiva stia meglio».

Osservare quello che succederà ora a Yonas e al suo Paese forse aiuterà a capire che Paese è l’Eritrea. Se davvero è destinato alla dittatura e al mancato rispetto dei diritti umani o se forse ha dovuto pagare il prezzo di non aver realizzato il disegno Usa che l’ambasciato­re americano John Foster Duller aveva delineato già nel 1951 ad Asmara quando spiegava che «sebbene i desideri del popolo eritreo devono essere tenuti in consideraz­ione, gli interessi strategici degli Stati Uniti impongono che il Paese sia legato all’Etiopia alleata americana».

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy