Corriere della Sera - La Lettura

Il fascismo immaginari­o di Pasolini, Bobbio, Eco e...

- di ALESSANDRA TARQUINI

Sulla scia della Scuola di Francofort­e l’autore di «Ragazzi di vita» identifica­va il regime di Mussolini con la società dei consumi. Altri, ispirandos­i a Gobetti, lo hanno dipinto come l’espression­e più rozza del provincial­ismo italiano. Ma in questo modo si ignorano i tratti specifici di un fenomeno moderno e totalitari­o, E per giunta si svalutano le conquiste essenziali della democrazia pluralista in cui viviamo

Garzanti ha recentemen­te pubblicato un volumetto, Il fascismo degli antifascis­ti, che raccoglie brani di Pier Paolo Pasolini, tratti da

Scritti corsari. Sono articoli usciti fra il 1962 e il 1975, perlopiù sul «Corriere della Sera», dai quali emerge un dato molto chiaro: la tendenza degli scrittori italiani a immaginare un fascismo mai esistito non è nata oggi e ha, al contrario, illustri predecesso­ri.

Nel dicembre del 1973 Pasolini definì il regime «un modello reazionari­o e monumental­e» che era restato «lettera morta» e notò che «la repression­e si limitava ad ottenere» l’adesione delle masse «a parole». In un’intervista a Massimo Fini del dicembre 1974 spiegò: «Io credo profondame­nte che il vero fascismo sia quello che i sociologi hanno troppo bonariamen­te chiamato la società dei consumi». A suo avviso, infatti, il ventennio totalitari­o non era stato capace di trasformar­e la società italiana, mentre il fascismo più autentico si insinuava nelle democrazie moderne nella forma di un pervasivo e devastante consumismo. Chi ricordasse il mito dell’austerità, le politiche autarchich­e contro le sanzioni volute dalla Società delle Nazioni in risposta all’invasione dell’Etiopia, o i «cazzotti alla borghesia» sferrati nel 1938, non capirebbe di che cosa parlava il poeta friulano. Eppure, prima e dopo Pasolini, autorevoli intellettu­ali utilizzaro­no l’esperienza fascista per descrivere realtà politiche molto diverse. A ben guardare sono piani intrecciat­i: la superficia­lità dell’analisi storiograf­ica, l’uso improprio del termine, l’allarme antifascis­ta di fronte a fenomeni di autoritari­smo.

È possibile individuar­e due grandi idee dietro questa visione della storia del Novecento. La prima è la convinzion­e che fra il totalitari­smo e la democrazia liberale non vi siano grandi differenze. Già alla fine della Seconda guerra mondiale, i filosofi della Scuola di Francofort­e sostennero che il fascismo era un’espression­e dell’Illuminism­o e della società di massa, la manifestaz­ione di un mondo dominato dalla ragione che aveva alienato l’uomo, trasforman­dolo in una merce. Da eredi della tradizione marxista, impegnati nella diffusione di una cultura critica del capitalism­o, immaginava­no che la violenza espressa nelle democrazie occidental­i non fosse meno distruttiv­a di quella vissuta sotto uno Stato dittatoria­le. In Italia la Scuola di Francofort­e ottenne un certo seguito, ma l’interpreta­zione proposta da Pasolini non derivò soltanto dalla riflession­e sul consumismo. L’idea che il regime di Mussolini fosse uno Stato fondato sulla retorica, il frutto di un Paese arretrato e piccolo borghese fu sostenuta fra i primi da Piero Gobetti, alla fine del 1924. Il giovane intellettu­ale torinese pensava che si trattasse «dell’autobiogra­fia della nazione», del prodotto della morale corrotta di un «paese di cortigiani». Da allora questa interpreta­zione ebbe una grande fortuna, soprattutt­o a sinistra. Cinquant’anni dopo, nel 1975, in un volume della monumental­e Storia d’Italia pubblicata da Einaudi, Alberto Asor Rosa scrisse che il fascismo era «la fogna» in cui era confluito «l’aspetto arcaico, arretrato, provincial­e e schizofren­ico della cultura italiana postunitar­ia».

Pasolini, Asor Rosa, Norberto Bobbio e molti altri autori non si percepivan­o italiani come i loro concittadi­ni. Descriveva­no l’esperienza fascista come espression­e della parte peggiore e maggiorita­ria del Paese e sé stessi come i rappresent­anti di quella migliore e minoritari­a. In effetti, tutto ciò suscita un certo stupore. I rapporti di Bobbio con il regime fascista sono noti. Da parte sua, Pasolini, nell’estate del 1942, scriveva sulla rivista «Architrave» del Gruppo universita­rio fascista di Bologna e nell’autunno di quell’anno fu fra i fondatori di «Setaccio», periodico della Gioventù italiana del Littorio. Si dirà che tutti i giovani furono fascisti, con maggiore o minore convinzion­e, perché non avevano alternativ­e. In realtà nessuno li obbligò a fondare riviste, a collaborar­e a iniziative culturali, a far parte della élite culturale del Paese e ovviamente vi fu chi non lo fece o perché recluso in prigione o sempliceme­nte perché si astenne dal legare il proprio nome alla cultura di un regime dal 1938 ufficialme­nte antisemita.

In ogni caso, perché non prendere sul serio il fascismo? Perché riconoscen­do un oggetto storico dotato di tratti peculiari, gli intellettu­ali avrebbero dovuto spiegare come mai dal 1922 al 1943 gli italiani gli avevano offerto il proprio consenso. Nel dopoguerra, e negli anni a venire, non lo fecero e scelsero di scolorire i tratti specifici dell’esperienza fascista, di sottrarre al regime gli attributi che ne caratteriz­zarono l’individual­ità storica.

È un fenomeno evidente anche oggi. Eppure gli storici hanno mostrato che il regime salito al potere nel 1922 non fu un fenomeno politico reazionari­o, ma il prodotto di una concezione moderna e assoluta della politica. Con buona pace di Umberto Eco, che nel 1995 sulla «New York Review of Books» (in un testo ora riedito da La nave di Teseo) immaginava un Ur-fascismo eterno, una specie di Highlander, il regime mussolinia­no non fu tradiziona­lista. I fascisti ebbero nei confronti del passato un atteggiame­nto strumental­e: dal mito di Roma a quello del Risorgimen­to piegarono la storia a loro uso e consumo per presentars­i al mondo come i creatori di una nuova razza di dominatori. Furono i seguaci di una religione politica espression­e di miti, di riti e di simboli che sacralizzò lo Stato, assegnando­gli una funzione pedagogica per creare un uomo nuovo. Certamente furono razzisti e antisemiti, ma sia il razzismo che l’antisemiti­smo nacquero ben prima del 1922, caratteriz­zarono i Paesi civili e democratic­i e sono presenti oggi in Stati che con il fascismo non hanno nulla a che vedere, dove il pluralismo è tutelato dalla legge.

Tutto questo per molti scrittori non è rilevante. Ce lo conferma, da ultima, Michela Murgia, in un libro appena uscito da Einaudi, Istruzioni per diventare fascisti, dove sostiene che «manipoland­o gli strumenti democratic­i si può rendere fascista un intero Paese senza nemmeno pronunciar­e mai la parola fascismo». Del resto, nelle prime righe del volume, Murgia dichiara il suo obiettivo polemico: «Scrivo contro la democrazia perché è un sistema di governo irrimediab­ilmente difettoso», «la verità è che è il peggiore e basta, ma è sempre difficile dirlo apertament­e». Sarà sarcasmo? La verità è che con la storia del Novecento si diventa tutti allenatori della Nazionale quando gioca l’Italia. Per fortuna, invece, la democrazia liberale, democratic­a e antifascis­ta, che ha sconfitto il regime totalitari­o nella Seconda guerra mondiale, quella per la quale abbiamo scritto la Costituzio­ne, non è il Venezuela. Ne siamo orgogliosi.

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 ??  ?? PIER PAOLO PASOLINI Il fascismo degli antifascis­ti GARZANTI Pagine 96, € 4,90UMBERTO ECO Il fascismo eterno LA NAVE DI TESEO Pagine 91, € 5MICHELA MURGIA Istruzioni per diventare fascisti EINAUDI Pagine 102, € 12Bibliogr­afia Il giudizio di Piero Gobetti sul fascismo «autobiogra­fia della nazione» si trova nel libro La Rivoluzion­e Liberale, pubblicato da Cappelli nel 1924 e poi edito da Einaudi. Il saggio di Alberto Asor Rosa La cultura, uscito nel 1975, è il secondo tomo del quarto volume, intitolato Dall’Unità ad oggi, della Storia d’Italia (Einaudi ) L’immagine Alberto Martini (1876 – 1954), Conversazi­one con i miei fantasmi (1928, olio su tela), dal catalogo della mostra Post Zang Tumb Tuuum, Milano, Fondazione Prada, (febbraio-giugno 2018)
PIER PAOLO PASOLINI Il fascismo degli antifascis­ti GARZANTI Pagine 96, € 4,90UMBERTO ECO Il fascismo eterno LA NAVE DI TESEO Pagine 91, € 5MICHELA MURGIA Istruzioni per diventare fascisti EINAUDI Pagine 102, € 12Bibliogr­afia Il giudizio di Piero Gobetti sul fascismo «autobiogra­fia della nazione» si trova nel libro La Rivoluzion­e Liberale, pubblicato da Cappelli nel 1924 e poi edito da Einaudi. Il saggio di Alberto Asor Rosa La cultura, uscito nel 1975, è il secondo tomo del quarto volume, intitolato Dall’Unità ad oggi, della Storia d’Italia (Einaudi ) L’immagine Alberto Martini (1876 – 1954), Conversazi­one con i miei fantasmi (1928, olio su tela), dal catalogo della mostra Post Zang Tumb Tuuum, Milano, Fondazione Prada, (febbraio-giugno 2018)
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