Corriere della Sera - La Lettura
Milo Manara e il nudo: era eversivo, ora è banale
Milo Manara è una leggenda del fumetto. Un cofanetto raccoglie 25 ritratti femminili ispirati alle carte di un gioco di ruolo, il prossimo anno festeggerà cinquant’anni di carriera. A «la Lettura» dice: «La pubblicità ha strumentalizzato tutto. Ma la mercificazione più grave è quella dell’eros»
Milo Manara è considerato il più grande fumettista italiano vivente, molto apprezzato e famoso anche all’estero. Uno spiccato interesse per l’erotismo e per la raffigurazione del corpo femminile caratterizza tutta la sua produzione, connotata da un tratto grafico elegantissimo. L’uscita per Feltrinelli di un cofanetto, intitolato Red Light, che raccoglie venticinque ritratti di donne ispirate alle carte di un gioco di ruolo, ci offre l’occasione per ragionare su alcuni temi cari all’artista che l’anno prossimo festeggia cinquant’anni di attività.
Nell’introduzione al cofanetto lei afferma di aver voluto affrontare stereotipi della rappresentazione del corpo della donna. In che senso li decostruisce?
«I personaggi che mi sono stati assegnati ricalcano modelli molto sfruttati da un certo cinema e da un immaginario comune popolare, ad esempio la professoressa o l’infermiera che sotto la divisa professionale nascondono una natura lussuriosa, o la sadica dominatrice tutta vestita di cuoio e borchie. Ho cercato di raffigurarle con leggerezza e con un tocco di ironia, prendendo anche un po’ di distanza dai cliché. Invano si cercheranno nelle mie tavole delle maggiorate».
La maggior parte delle eroine protagoniste delle storie della sua vastissima produzione grafica sono spesso nude o mezze nude, sempre molto sensuali. Crede che la rappresentazione della nudità abbia ancora un valore contestatario, in una società come la nostra sommersa di immagini femminili eroticizzate?
«Di sicuro la nudità non ha più il valore eversivo che aveva quando ho iniziato a disegnare e a fare fumetti. Io vengo da un ’68 che prima ancora che essere politico era culturale, mi interessavano beat generation e Pop Art. Leggevo il filosofo Marcuse, non solo L’uomo a una dimensione, che era un po’ la Bibbia di quegli anni, ma anche Eros e civiltà, dove si teorizzava che il sesso dovesse venir liberato dalla funzione riproduttiva e vissuto nella sua dimensione ricreativa e ludica. Fu una scoperta fondamentale, per me che ero sempre stato affascinato dall’erotismo. La nudità delle mie figure femminili si manifesta spesso in pubblico, quando non te l’aspetteresti, in situazioni che infrangono il senso del pudore e del decoro borghese, per cercare una dimensione di disinibizione o svelamento. Nel frattempo c’è stata un’evoluzione dei costumi tale per cui le donne si spogliano molto di più in generale nella vita, e quindi l’esibizione della nudità non ha più un valore di contestazione, anzi. Poi non approvo l’uso banalizzante del corpo delle donne nella pubblicità».
Intende dire che ci sia una mercificazione del corpo femminile da parte dei media?
«C’è senz’altro una mercificazione e una banalizzazione nell’accostare una bella donna a, che ne so, un silicone da vendere. Questo ridicolizza il desiderio naturale verso il corpo femminile. La pubblicità strumentalizza donne e bam- bini per rendere attraente qualsiasi cosa. Direi che c’è una mercificazione più grave e sostanziale, che è quella d’eros. Per me l’eros va inteso come lo concepivano gli antichi: la forza che muove il mondo a tutti i livelli e che è misteriosa e incoercibile».
Che cosa hanno di diverso i suoi disegni rispetto alle immagini fotografiche o ai video?
«Il disegno si rivolge principalmente al cervello. Come il linguaggio è fatto di segni convenzionali ai quali dobbiamo aderire, perché non è mai la mera riproduzione della realtà. Il disegno richiede di essere decodificato. Quindi impegna moltissimo le nostre facoltà intellettuali. Se poi consideriamo che il nostro principale organo sessuale è il cervello stesso, si capisce come il disegno lo stimoli e lo impegni al massimo grado. Fotografia e immagini audiovisive hanno un rapporto diverso con la realtà. Riprendere o fotografare il sangue, ad esempio, può risultare respingente o disturbante. Il disegno ci offre di più l’idea delle cose che la loro cruda realtà, è un filtro. Con il disegno possiamo animare fantasmi e tabù, sessuali e non solo, in una maniera forse più accettabile perché sappiamo sempre che si tratta di una rappresentazione. Penso ad esempio alle storie di Justine di de Sade, l’illustrazione grafica e il libro sono meglio di qualsiasi trasposizione cinematografica. Io poi ho sempre mantenuto la mia tecnica: faccio prima uno o più bozzetti a matita, e quando arrivo a quello che mi convince lo ingrandisco riportandolo su un reticolo, poi lo ripasso a china e infine lo coloro ad acquerello».
Anche se non mancano nella sua produzione incursioni in celebri raffigurazioni di grandi maestri della pittura come Botticelli o Klimt, lei ha più volte affermato di ispirarsi per le sue figure femminili alle pin-up degli anni Cinquanta, come mai?
«La mia scelta di disegnare fumetti coincide con la volontà di fare un’arte popolare. Le pin-up americane hanno questo tratto di erotismo casuale, perché so-
Credo che Caravaggio, se fosse vivo oggi, farebbe cinema: in lui si avverte una lotta e una fatica con la pittura, è un irregolare, dipinge per una settimana e stravive per un mese. Mentre chi farebbe fumetti secondo me è Botticelli: d’altronde le sue illustrazioni della «Divina commedia» sono dei proto-fumetti
no sempre le ragazze della porta accanto alle quali, ad esempio, il cagnolino solleva la gonna, il chiodo malandrino strappa il reggiseno, consentendo infrazioni al decoro e un’apertura a situazioni divertenti e piacevolmente maliziose. Le mie donne sono sempre tipi ideali, magari in alcuni casi ispirati ai tratti di donne molte belle e famose, ma il risultato è sempre una figura della mia fantasia».
Nell’arte antica anche il corpo maschile veniva spesso raffigurato nudo, se si trattava di eroi e divinità. Ha mai pensato di spogliare gli uomini nei suoi fumetti?
«Qualche volta l’ho fatto, ad esempio nelle illustrazioni per L’asino d’oro di Apuleio. Ma c’è sempre stata molta più censura sul corpo maschile nudo. Credo che il primo a raffigurare un’erezione sia stato Guido Crepax. Le donne nude o semivestite sono presenti nel canone dell’arte occidentale da tempi remotissimi. Nell’antichità poi erano molto diversificate, per valori e caratteristiche; è nell’Ottocento che la rappresentazione della donna si restringe alle due varianti dell’angelo del focolare o del demone tentatore. Una grande regressione rispetto alla varietà di ruoli che troviamo nella mitologia antica. Alle mie figure femminili ho cercato di dare la stessa libertà».
Nel 2015 per Panini Comics è uscito «La tavolozza e la Spada», primo volume di una graphic novel interamente dedicato a Caravaggio, che poi è anche diventato uno spettacolo portato in scena da David Riondino, con la proiezione delle sue tavole. Che rapporto ha con il pittore lombardo?
«Sto ultimando proprio ora il secondo volume della storia di Caravaggio. La seconda parte della sua vita è quella più avventurosa, scappa da Roma perché condannato per omicidio anche se spera sempre di ottenere la grazia dal Papa. Caravaggio è un artista irregolare, dipinge per una settimana e stravive per un mese. La mia fascinazione per Caravaggio risale all’infanzia, sul mio libro di catechismo c’era il suo San Pietro martire. All’epoca non sapevo nemmeno chi fosse l’autore, ma mi impressionava il realismo di quell’immagine. Poi feci l’esame di maturità su Caravaggio che per me è rimasto un artista guida, un grande narratore, capace del massimo realismo e della massima finzione al tempo stesso. Gli basta buttare addosso un lenzuolo a un uomo di strada per farlo diventare un santo».
Se Caravaggio fosse vivo oggi, secondo lei disegnerebbe fumetti?
«Credo che farebbe cinema, in Caravaggio si avverte anche una lotta e una fatica con la pittura. Il fumetto richiede una grande assiduità, che forse non era nella natura dell’artista lombardo. Mentre chi farebbe fumetti secondo me è Botticelli; d’altronde le sue illustrazioni della Divi
na commedia sono dei proto-fumetti».
In passato ha lavorato con grandi registi come Federico Fellini, Pedro Almodovar, Alejandro Jodorowsky e con uno sceneggiatore come Vincenzo Cerami. Con chi le piacerebbe collaborare oggi?
«Adoro i film dei fratelli Coen. Cinema alla quintessenza, con una brillantezza e un divertimento del mestiere e della tradizione del mezzo che hanno solo loro. Mi piacerebbe una collaborazione con loro, ma questa al momento è solo l’espressione di un mio desiderio».