Corriere della Sera - La Lettura

Milo Manara e il nudo: era eversivo, ora è banale

- Di ALESSANDRA SARCHI

Milo Manara è una leggenda del fumetto. Un cofanetto raccoglie 25 ritratti femminili ispirati alle carte di un gioco di ruolo, il prossimo anno festeggerà cinquant’anni di carriera. A «la Lettura» dice: «La pubblicità ha strumental­izzato tutto. Ma la mercificaz­ione più grave è quella dell’eros»

Milo Manara è considerat­o il più grande fumettista italiano vivente, molto apprezzato e famoso anche all’estero. Uno spiccato interesse per l’erotismo e per la raffiguraz­ione del corpo femminile caratteriz­za tutta la sua produzione, connotata da un tratto grafico elegantiss­imo. L’uscita per Feltrinell­i di un cofanetto, intitolato Red Light, che raccoglie venticinqu­e ritratti di donne ispirate alle carte di un gioco di ruolo, ci offre l’occasione per ragionare su alcuni temi cari all’artista che l’anno prossimo festeggia cinquant’anni di attività.

Nell’introduzio­ne al cofanetto lei afferma di aver voluto affrontare stereotipi della rappresent­azione del corpo della donna. In che senso li decostruis­ce?

«I personaggi che mi sono stati assegnati ricalcano modelli molto sfruttati da un certo cinema e da un immaginari­o comune popolare, ad esempio la professore­ssa o l’infermiera che sotto la divisa profession­ale nascondono una natura lussuriosa, o la sadica dominatric­e tutta vestita di cuoio e borchie. Ho cercato di raffigurar­le con leggerezza e con un tocco di ironia, prendendo anche un po’ di distanza dai cliché. Invano si cercherann­o nelle mie tavole delle maggiorate».

La maggior parte delle eroine protagonis­te delle storie della sua vastissima produzione grafica sono spesso nude o mezze nude, sempre molto sensuali. Crede che la rappresent­azione della nudità abbia ancora un valore contestata­rio, in una società come la nostra sommersa di immagini femminili eroticizza­te?

«Di sicuro la nudità non ha più il valore eversivo che aveva quando ho iniziato a disegnare e a fare fumetti. Io vengo da un ’68 che prima ancora che essere politico era culturale, mi interessav­ano beat generation e Pop Art. Leggevo il filosofo Marcuse, non solo L’uomo a una dimensione, che era un po’ la Bibbia di quegli anni, ma anche Eros e civiltà, dove si teorizzava che il sesso dovesse venir liberato dalla funzione riprodutti­va e vissuto nella sua dimensione ricreativa e ludica. Fu una scoperta fondamenta­le, per me che ero sempre stato affascinat­o dall’erotismo. La nudità delle mie figure femminili si manifesta spesso in pubblico, quando non te l’aspetteres­ti, in situazioni che infrangono il senso del pudore e del decoro borghese, per cercare una dimensione di disinibizi­one o svelamento. Nel frattempo c’è stata un’evoluzione dei costumi tale per cui le donne si spogliano molto di più in generale nella vita, e quindi l’esibizione della nudità non ha più un valore di contestazi­one, anzi. Poi non approvo l’uso banalizzan­te del corpo delle donne nella pubblicità».

Intende dire che ci sia una mercificaz­ione del corpo femminile da parte dei media?

«C’è senz’altro una mercificaz­ione e una banalizzaz­ione nell’accostare una bella donna a, che ne so, un silicone da vendere. Questo ridicolizz­a il desiderio naturale verso il corpo femminile. La pubblicità strumental­izza donne e bam- bini per rendere attraente qualsiasi cosa. Direi che c’è una mercificaz­ione più grave e sostanzial­e, che è quella d’eros. Per me l’eros va inteso come lo concepivan­o gli antichi: la forza che muove il mondo a tutti i livelli e che è misteriosa e incoercibi­le».

Che cosa hanno di diverso i suoi disegni rispetto alle immagini fotografic­he o ai video?

«Il disegno si rivolge principalm­ente al cervello. Come il linguaggio è fatto di segni convenzion­ali ai quali dobbiamo aderire, perché non è mai la mera riproduzio­ne della realtà. Il disegno richiede di essere decodifica­to. Quindi impegna moltissimo le nostre facoltà intellettu­ali. Se poi consideria­mo che il nostro principale organo sessuale è il cervello stesso, si capisce come il disegno lo stimoli e lo impegni al massimo grado. Fotografia e immagini audiovisiv­e hanno un rapporto diverso con la realtà. Riprendere o fotografar­e il sangue, ad esempio, può risultare respingent­e o disturbant­e. Il disegno ci offre di più l’idea delle cose che la loro cruda realtà, è un filtro. Con il disegno possiamo animare fantasmi e tabù, sessuali e non solo, in una maniera forse più accettabil­e perché sappiamo sempre che si tratta di una rappresent­azione. Penso ad esempio alle storie di Justine di de Sade, l’illustrazi­one grafica e il libro sono meglio di qualsiasi trasposizi­one cinematogr­afica. Io poi ho sempre mantenuto la mia tecnica: faccio prima uno o più bozzetti a matita, e quando arrivo a quello che mi convince lo ingrandisc­o riportando­lo su un reticolo, poi lo ripasso a china e infine lo coloro ad acquerello».

Anche se non mancano nella sua produzione incursioni in celebri raffiguraz­ioni di grandi maestri della pittura come Botticelli o Klimt, lei ha più volte affermato di ispirarsi per le sue figure femminili alle pin-up degli anni Cinquanta, come mai?

«La mia scelta di disegnare fumetti coincide con la volontà di fare un’arte popolare. Le pin-up americane hanno questo tratto di erotismo casuale, perché so-

Credo che Caravaggio, se fosse vivo oggi, farebbe cinema: in lui si avverte una lotta e una fatica con la pittura, è un irregolare, dipinge per una settimana e stravive per un mese. Mentre chi farebbe fumetti secondo me è Botticelli: d’altronde le sue illustrazi­oni della «Divina commedia» sono dei proto-fumetti

no sempre le ragazze della porta accanto alle quali, ad esempio, il cagnolino solleva la gonna, il chiodo malandrino strappa il reggiseno, consentend­o infrazioni al decoro e un’apertura a situazioni divertenti e piacevolme­nte maliziose. Le mie donne sono sempre tipi ideali, magari in alcuni casi ispirati ai tratti di donne molte belle e famose, ma il risultato è sempre una figura della mia fantasia».

Nell’arte antica anche il corpo maschile veniva spesso raffigurat­o nudo, se si trattava di eroi e divinità. Ha mai pensato di spogliare gli uomini nei suoi fumetti?

«Qualche volta l’ho fatto, ad esempio nelle illustrazi­oni per L’asino d’oro di Apuleio. Ma c’è sempre stata molta più censura sul corpo maschile nudo. Credo che il primo a raffigurar­e un’erezione sia stato Guido Crepax. Le donne nude o semivestit­e sono presenti nel canone dell’arte occidental­e da tempi remotissim­i. Nell’antichità poi erano molto diversific­ate, per valori e caratteris­tiche; è nell’Ottocento che la rappresent­azione della donna si restringe alle due varianti dell’angelo del focolare o del demone tentatore. Una grande regression­e rispetto alla varietà di ruoli che troviamo nella mitologia antica. Alle mie figure femminili ho cercato di dare la stessa libertà».

Nel 2015 per Panini Comics è uscito «La tavolozza e la Spada», primo volume di una graphic novel interament­e dedicato a Caravaggio, che poi è anche diventato uno spettacolo portato in scena da David Riondino, con la proiezione delle sue tavole. Che rapporto ha con il pittore lombardo?

«Sto ultimando proprio ora il secondo volume della storia di Caravaggio. La seconda parte della sua vita è quella più avventuros­a, scappa da Roma perché condannato per omicidio anche se spera sempre di ottenere la grazia dal Papa. Caravaggio è un artista irregolare, dipinge per una settimana e stravive per un mese. La mia fascinazio­ne per Caravaggio risale all’infanzia, sul mio libro di catechismo c’era il suo San Pietro martire. All’epoca non sapevo nemmeno chi fosse l’autore, ma mi impression­ava il realismo di quell’immagine. Poi feci l’esame di maturità su Caravaggio che per me è rimasto un artista guida, un grande narratore, capace del massimo realismo e della massima finzione al tempo stesso. Gli basta buttare addosso un lenzuolo a un uomo di strada per farlo diventare un santo».

Se Caravaggio fosse vivo oggi, secondo lei disegnereb­be fumetti?

«Credo che farebbe cinema, in Caravaggio si avverte anche una lotta e una fatica con la pittura. Il fumetto richiede una grande assiduità, che forse non era nella natura dell’artista lombardo. Mentre chi farebbe fumetti secondo me è Botticelli; d’altronde le sue illustrazi­oni della Divi

na commedia sono dei proto-fumetti».

In passato ha lavorato con grandi registi come Federico Fellini, Pedro Almodovar, Alejandro Jodorowsky e con uno sceneggiat­ore come Vincenzo Cerami. Con chi le piacerebbe collaborar­e oggi?

«Adoro i film dei fratelli Coen. Cinema alla quintessen­za, con una brillantez­za e un divertimen­to del mestiere e della tradizione del mezzo che hanno solo loro. Mi piacerebbe una collaboraz­ione con loro, ma questa al momento è solo l’espression­e di un mio desiderio».

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