Corriere della Sera - La Lettura
Le 5 diseguaglianze buone...
La Fondazione Umberto Veronesi organizza con la Bocconi di Milano la decima edizione della Conferenza mondiale «Science for Peace» dedicata ai conflitti sociali globali. Telmo Pievani anticipa le riflessioni in tema di opportunità
Le diseguaglianze, dal punto di vista dell’evoluzione, sono buone o cattive? Dipende. Di certo, l’uguaglianza non è un dato di natura, ma una conquista culturale recente. Prendiamo uno dei migliori testi umani che enuncia l’idea di uguaglianza universale. L’articolo 3 della Costituzione italiana recita che siamo tutti uguali davanti alla legge. Figlio delle rivoluzioni settecentesche, il principio significa che ciascuno di noi gode di uguali diritti civili e politici, che può accedere a ogni carica e ruolo liberamente, e che non può essere oggetto di discriminazioni arbitrarie di alcun tipo. Ma non lo afferma perché siamo effettivamente tutti uguali, al contrario: lo sancisce proprio perché viviamo in società disomogenee (oggi più di allora). Dobbiamo avere pari opportunità in partenza proprio perché siamo tutti diversi, e dunque anche un po’ diseguali, nel senso che, data una certa caratteristica personale, qualcuno potrà averla in forma più accentuata di altri.
Se fossimo tutti identici, non vi sarebbe alcun bisogno di proclamare la nostra uguaglianza. Essendo invece ciascuno di noi un fascio di diversità intrecciate (biologiche, culturali, sessuali, di genere, sociali, di attitudini...), nasce il bisogno di proclamare la nostra eguaglianza di fatto e di principio nella convivenza sociale, in termini per esempio di laicità dello Stato. Dunque l’eguaglianza presuppone le diversità, e non le annulla affatto.
Un’eguaglianza imposta dall’alto comprimerebbe infatti le libertà individuali. Se uniformazione e omologazione sono nemiche dello sviluppo e della creatività, allora significa che alcune disuguaglianze possono farci bene. In particolare:
1) le diseguaglianze di prestazioni fisi- che, come alle Olimpiadi, dove a parità di regole universali, e nella piena uguaglianza transnazionale dei partecipanti, in ogni disciplina vengono puntualmente rimarcate e comparate le diseguaglianze individuali;
2) le diseguaglianze dei talenti e degli ingegni, cioè che qualcuno sia più bravo di altri in un certo campo, che ci siano criteri minimamente oggettivi per stabilirlo, e che costei o costui diventi un modello da imitare per gli altri e per la generazione successiva;
3) le diseguaglianze dei risultati, cioè che qualcuno, anche in politica, sia più efficace di altri nel raggiungere i risultati che ha promesso, purché tali risultati siano verificabili e possibilmente certificati da un’autorità indipendente;
4) le diseguaglianze di aspirazioni: per fortuna non tutti desiderano massificarsi nel tentativo di conseguire gli stessi obiettivi e di praticare un ristretto numero di professioni e di mestieri;
5) le diseguaglianze di intraprendenza e capacità di innovazione, per esempio tra una generazione e la successiva: la macchina a vapore non l’ha inventata il padre di James Watt e la teoria della relatività non l’ha scoperta il padre di Albert Einstein. Il cardine del processo evolutivo è che i figli, per fortuna, sanno essere diseguali, tra loro e rispetto ai genitori.
Questi cinque antidoti contro la monotonia rappresentano un sotto-insieme delle innumerevoli diversità individuali possibili, che se ben coltivate sono il motore di ogni evoluzione, biologica, sociale o culturale che sia. Ognuno di essi può essere somministrato con dosaggi diversi e da una gradazione all’altra può tramutarsi da farmaco in veleno. Soprattutto, è bene che non sussistano ragioni economiche per cui qualcuno, nelle cinque categorie di cui sopra, sia più diseguale degli altri.