Corriere della Sera - La Lettura
Il commissario milanese indaga in mezzo ai monti
Dario Crapanzano «invia» il suo protagonista, Mario Arrigoni, in un paese sopra il lago Maggiore, Arbizzone Varesino. È il 1953, ma sembra tanto oggi...
«Due ore e mezzo, se non di più, senza schiacciare troppo l’acceleratore». Due ore e mezzo di auto: tanto basta per lasciare Milano e ritrovarsi tra i boschi, a 800 metri sul livello del mare, sulla montagna che sovrasta il lago Maggiore. Destinazione, Arbizzone Varesino — un migliaio di abitanti, una locanda con tavolo da biliardo, parecchia polenta e un morto ammazzato con la testa fracassata. Così falso da sembrare vero — una Vigata del nord che sa di funghi e ossobuco —, Arbizzone non esiste — e non esisteva neanche negli anni Cinquanta, precisa la nota in esergo dell’autore — ma segna un primato: fa da scenario alla prima trasferta fuori sede del milanesissimo Mario Arrigoni, commissario capo del Porta Venezia, nato nel 2011 per mano di Dario Crapanzano (milanese) e da allora legato stretto alle strade della sua città, percorse in tram («il commissario non ha la patente, ma sa sempre come e quando arrivare dove serve...») in cerca di assassini.
Che ci fa, Arrigoni, in montagna? Se lo chiede anche lui, nelle prime righe del nuovo romanzo — Arrigoni e l’omicidio nel bosco, il settimo della serie del Porta Venezia e il primo pubblicato da Sem con protagonista il commissario — subito dopo aver ricevuto una telefonata dal questore dottor Respighi con relativa convocazione in via Fatebenefratelli, in una mattina di inizio ottobre del 1953. Non sarà mica un trasferimento? Per fortuna la questione si chiarisce subito: in provincia, nei piccoli centri, i carabinieri — non ce ne vogliano, siamo negli anni Cinquanta — abituati a confrontarsi con piccoli reati si trovano in difficoltà quando il gioco si fa più complicato. Soluzione, dalla vicina metropoli si manda una task force mobile con poliziotti di esperienza, per intervenire nei casi più gravi. E chi la comanda? Il commissario che più di tutti si è distinto sulla scena del crimine cittadino, naturalmente. Il nostro Arrigoni, che sulle prime nicchia un po’ ma poi accetta «vagamente preoccupato» di mettersi a disposizione, a chiamata, per indagare su vari ed eventuali misteri nei soli distretti di Como e Varese (per ora, «in seguito si vedrà»). E la chiamata arriva, da Arbizzone. C’è il cadavere — trovato, guarda un po’, da un cercatore di funghi, un fungiàtt —, c’è il marcio dietro la facciata tranquilla del piccolo centro sui monti (il paesino non è distante dal confine con la Svizzera e il morto non disdegnava di dedicarsi al contrabbando oltre che, si scoprirà, all’usura), ci sono le chiacchiere che veleggiano tra sacrestie, retrocucine e camere da letto (la moglie bella e giovane, il braccio destro prestante, i soldi). Di fronte al delitto di paese, Arrigoni non cambia i suoi metodi: osserva, ascolta, interroga più che può e riflette.
La trama del giallo è secondaria: se nei romanzi cittadini finora Crapanzano si divertiva (e divertiva) soprattutto a calarsi nelle nebbie rétro di una Milano ormai sparita, qui il gioco ieri-oggi — forse perché un villaggio tra i boschi risente meno dello scorrere del tempo — è più sfumato. Arrivato a quota otto, Arrigoni e il suo creatore possono giovarsi dei meccanismi della serialità, e permettersi di tradirli: niente gite in tram, niente sanguis da Gino, niente brasati in famiglia con moglie e figlia oramai adolescente.
Il commissario fuori contesto sostituisce l’osteria Da Gino con le cascine (e con qualche sortita nella cucina del sud dovuta al capo locale dei carabinieri, maresciallo Vincenzo Partanna, di Trapani) e il tram con qualche salita, arrancante, tra i boschi, ma resta tranquillo e sornione come i suoi baffi brizzolati e il fumo avvolgente dei sigari. Un Maigret in sedicesimo che non disdegna un bicchiere di rosso davanti al camino della Locanda del cervo, un estraneo accolto con qualche diffidenza dai montanari di Arbizzone, un po’ infastiditi dall’arrivo dei «milanesi» e poco fiduciosi nelle loro capacità investigative. Tra un pranzo e l’altro, dovranno ricredersi. Intorno ad Arrigoni — punto fermo di tutti i romanzi, lasciato per la prima volta quest’anno per battezzare la serie, sempre targata Sem, della squillo-investigatrice (milanese) Margherita Grande — si muovono i comprimari, che danno vita e sale ad Arbizzone e al libro: il brigadiere Di Pasquale, napoletano, sciupafemmine e fumatore accanito di Nazionali, la locandiera Rosanna, in gara con la vedova dell’usuraio per il titolo di prima bellezza di Arbizzone Varesino, il già nominato maresciallo Partanna. E poi una serie di personaggi tipici dell’ambiente montanino — come Giuseppe Calzamara, il Cavagnatt, che vive intrecciando cestini di vimini in una cascina senza luce né acqua — o assolutamente fuori scala: il Manzana, detto il Marinaio, militare in pensione nostalgico della Marina e di d’Annunzio, col quale ha preso parte in una vita ormai lontana alla beffa di Buccari, e Leopolda Vittoriano Del Pozzo, la marchesa, cantante lirica in ritiro che, donna di mondo, non si trattiene dall’invitare il brigadiere Di Pasquale ad ascoltare musica dal vivo nella sua villa dalle vetrate liberty, «visto che apprezza il bel canto».
Poi, come sempre in Crapanzano, piace la nostalgia: del 1953, delle partite a stecca, del sidro fatto con le mele messe a seccare in cantina, del sindaco che riceve con il vestito della festa l’ispettore arrivato dalla città, delle fiere di paese con il castagnaccio e la crema di zucca, di «Topolino», «Mandrake» e «L’uomo mascherato» venduti usati sui banchetti dei bambini, di un mondo che esisteva fino a ieri, più semplice e ingenuo e non solo nella memoria, pure se con il contrabbando, gli strozzini e i cadaveri trasportati nei boschi con la carriola.