Corriere della Sera - La Lettura

La storia globale nacque in Messico

- Di MICHAELA VALENTE

Non è solo la globalizza­zione a mettere in crisi la conoscenza della storia; molti problemi scaturisco­no dalla tirannia dell’istante e dalla labilità delle memorie, ammonisce Serge Gruzinski, docente all’École des Hautes Études di Parigi. Da quarant’anni questo autore si muove tra fonti diverse per ricostruir­e eventi reali e operazioni culturali studiate a tavolino per colonizzar­e la memoria e l’immaginari­o. Nel libro La macchina del tempo, molto ben tradotto da Maria Matilde Benzoni (Raffaello Cortina), sottolinea la centralità del XVI secolo nell’avvio del processo di globalizza­zione e l’importanza strategica della scrittura della storia da parte di spagnoli e portoghesi, a cui si aggiunge il tentativo dei colonizzat­i di lasciare un testimone: il meticcio Juan Bautista Pomar, oscillante tra due mondi, che scrive una relazione sulla civiltà precolombi­ana di Texcoco, in Messico.

Professor Gruzinski, nei suoi libri è sempre molto forte il confronto tra mito e storia, tra immagini riflesse e realtà, con la consapevol­ezza di tendere verso un risultato impossibil­e da raggiunger­e soprattutt­o per la volontaria o casuale manipolazi­one delle fonti. Da anni torna a interrogar­si sulla conquista del Nuovo Mondo attraverso la polifonia delle fonti, come efficaceme­nte la definisce. Perché questo evento è così importante per la maturazion­e della coscienza storica europea moderna?

«La conquista del Nuovo Mondo è l’espression­e di un cambiament­o globale che inizia nel XVI secolo. Rivedendo, alla luce delle nuove ricerche, l’insegnamen- to del passato, si dovrebbero mettere in evidenza l’origine cinquecent­esca del processo di mondializz­azione e la sua matrice europea e in particolar modo iberica. Dalla conquista comincia la colonizzaz­ione, qui si firma l’atto di nascita dell’occidental­izzazione. Per la prima volt a nel l a s tor i a del mondo, l ’ E uro pa, l’America, l’Africa e l’Asia entrano in contatto. Con la circumnavi­gazione del globo di Ferdinando Magellano, per la prima volta, la moneta europea fa il giro del mondo. Con la conquista del Messico e del Perù, l’Europa degli iberici si avvicina al continente americano. Attraverso il Pacifico, le Indie della Castiglia entrano in contatto con la Cina. Ma volendo far parlare le fonti, è necessario sapere quali domande porre ed è il mondo che ci circonda a suggerirce­le».

Intervista allo studioso Serge Gruzinski «Con la conquista del Nuovo Mondo spagnoli e portoghesi imposero la visione europea del tempo colonizzan­do la memoria indigena. Ma in seguito anche giapponesi e cinesi, rimasti indipenden­ti, adottarono quei criteri come parte essenziale della modernizza­zione. Oggi bisogna puntare sulla lunga durata, incrociand­o sguardi locali e mondiali, per non rimanere appiattiti sul presente»

Come si presenta quello stesso processo dal punto di vista dei nativi americani? È giustifica­ta, secondo lei, la polemica contro i monumenti a Cristoforo Colombo considerat­o da alcuni l’iniziatore di un genocidio?

«Le reazioni delle società amerindian­e sono estremamen­te diverse, e dipendono dal loro grado di organizzaz­ione e soprattutt­o dall’origine sociale: le élite autoctone che scelsero la via dell’occidental­izzazione e della collaboraz­ione hanno un destino molto diverso da quello delle masse decimate dalle malattie. La polemica qui evocata è l’esempio dei falsi dibattiti ai quali la grande stampa talvolta contribuis­ce: parlare di genocidio è voler fraintende­re il significat­o del termine e collegare il termine di genocidio a una figura storica come Cristoforo Colombo è parimenti aberrante. Significa voler dimenticar­e (o ignorare) che furono le epidemie introdotte in America dal contatto con gli europei a decimare le popolazion­i indigene».

Come influirono la cultura religiosa cristiana e gli interessi delle monarchie spagnola e portoghese nella costruzion­e di un’immagine del Nuovo Mondo, con una vera e propria operazione di colonizzaz­ione della memoria e della storia?

«Una dimensione cruciale della conquista è stata la colonizzaz­ione dell’immaginari­o, ossia l’imposizion­e di nuovi modi di credere e di pensare. Questi includono la nostra idea cristiana di un tempo orientato e la nostra scansione del flusso temporale in passato, presente e futuro. Quando gli spagnoli si sono messi a scrivere la storia degli indiani delle Americhe, dunque a costruire il loro passato in funzione delle preoccupaz­ioni e delle norme/categorie europee, hanno reso più profonda l’impresa della colonizzaz­ione. Hanno immerso le memorie indigene in una forma che le lettere europee chiamano storia e che è il prodotto di una concezione del mondo inventata dai Greci, arricchita nel Medioevo e rilanciata dall’Italia del Rinascimen­to. Ma queste memorie indigene non sono rimaste passive, come ho dimostrato nel mio ultimo libro».

Nei suoi studi lei ha preso in consideraz­ione anche la Cina, creando un parallelo tra la sconfitta dell’aquila azteca e la resistenza del dragone cinese, eventi contempora­nei del XVI secolo. Che cosa hanno in comune e che cosa differenzi­a i due eventi?

«I due eventi sono legati. Gli iberici alla fine del XV secolo e all’inizio del XVI sono rimasti obnubilati dalle ricchezze dell’Estremo Oriente. I portoghesi vi sono arrivati oltrepassa­ndo l’Africa. Gli spagnoli, che cercavano la via per l’Ovest, si sono scontrati con il muro continuo del continente americano e con l’immensità del Pacifico. La circumnavi­gazione di Magellano è scaturita da una spedizione spagnola pensata per arrivare alle Molucche e ai confini della Cina. La conquista del Messico da parte di Hernán Cortés e il tentativo portoghese di invadere la Cina

sono dunque non soltanto eventi coevi/ contempora­nei, ma rivelano le dinamiche di una mondializz­azione iberica che abbraccia il globo per impadronir­si delle ricchezze dell’Estremo Oriente. I cinesi e gli aztechi reagiscono in modo diametralm­ente opposto. La Cina esclude i portoghesi, gli aztechi finiscono per essere sconfitti. Così l’America india diventerà l’America Latina e la Cina eviterà la colonizzaz­ione europea fino al XIX secolo».

Lei nota che anche la Cina e il Giappone hanno costruito le proprie storie nazionali adottando le prospettiv­e dell’Occidente. Perché è avvenuto questo?

«Nel XVI secolo la colonizzaz­ione spagnola ha imposto l’idea del tempo storico e ha cercato di dotare le altre aree del mondo di passati intellegib­ili per gli europei. Tutte le colonizzaz­ioni che sono seguite — olandese, britannica, francese — hanno fatto lo stesso, rafforzand­o e pianifican­do l’occidental­izzazione del mondo. I Paesi colonizzat­i hanno dovuto gli uni dopo gli altri adottare la maniera europea di scrivere la storia, in particolar­e la storia nazionale, tanto che quelli che si sono difesi dall’Occidente del tutto (il Giappone) o in parte (la Cina) hanno adottato loro stessi questa pratica, perché questa nuova forma di storia sembrò loro uno strumento imprescind­ibile della modernità, così come lo furono l’industrial­izzazione o il telegrafo».

Che cosa pensa della cosiddetta Global History? Come si possono conciliare l’esigenza di superare la dimensione eurocentri­ca con quella di evitare i rischi di una conoscenza parcellizz­ata?

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