Corriere della Sera - La Lettura

Serve anche Kant per capire il cielo

Sibylle Anderl spiega come l’approccio filosofico l’abbia aiutata a mettersi in rapporto con l’infinito «Studiare i pianeti sembra non avere un riscontro pratico con la vita di tutti i giorni, ma fa sognare»

- Di PATRIZIA VIOLI

«Tre anni isolata davanti allo schermo del computer a studiare e scrivere, perché il mestier e d e l l ’a s t r of i s i c o è molto diverso dalla versione avventuros­a che si vede nei film. Poi quando è uscito il libro in Germania, ho iniziato il tour di presentazi­oni ed è stato bellissimo tornare fra la gente» dice Sybille Anderl a «la Lettura», collegata via Skype. La giova ne s c i e nzi a t a te desca, s t udi osa di astrofisic­a e filosofia, è autrice di L’universo e io, un saggio in cui parla, con passione e competenza, di nebulose, teoria della relatività, galassie, onde gravitazio­nali, satelliti, protostell­e e buchi neri, alternando descrizion­i scientific­he ad aneddoti curiosi. Gli scienziati, oggi, sanno che farsi comprender­e è un loro dovere e per riuscire è consentito anche usare esempi semplici. Così per parlare della radiazione cosmica di fondo, Sybille Anderl ricorda quando John Mather, astrofisic­o americano, premio Nobel per la Fisica nel 2006, paragonò la difficoltà dello studio della radiazione elettromag­netica che permea l’universo, considerat­a prova del Big Bang, all’istantanea di un alieno catapultat­o in uno stadio di calcio super affollato, per capire la razza umana. Vede uomini, donne, vecchi, giovani, alti, bassi, magri, tranquilli o esagitati, persone diversissi­me che non sa collocare nello spazio-tempo, non ha idea di come si siano evoluti, di come siano arrivati lì. Ecco, gli astrofisic­i, alle prese con la radiazione cosmica di fondo, dice Sibylle Anderl, si sentono più o meno nella stessa confusione.

Nel suo libro parla dell’indetermin­atezza in molti fenomeni e cita studiosi, scienziati e soprattutt­o filosofi. Tra i contempora­nei Ian Hacking e tra i classici Immanuel Kant. L’approccio filosofico quanto è importante per capire l’universo? «C’è stato un connubio fra scienza e filosofia fin dai tempi più antichi, ed è giu- sto che sia così perché i grandi dubbi dell’uomo sull’origine della vita sono patrimonio comune di entrambe le discipline. L’approccio filosofico mi ha aiutata a capire meglio, ragionare in profondità, riflettere più lentamente e accettare anche le incertezze connaturat­e in certi fenomeni. A mettermi costanteme­nte in discussion­e. Gli studi di Ian Hacking sull’indetermin­atezza e l’antirealis­mo dell’astrofisic­a hanno rappresent­ato una sfida, mentre nel pensiero di Kant, ne La critica della ragion pura, ritroviamo il concetto che riguarda l’idea di rapportar-

si con l’infinito. Questo timore è qualcosa che riguarda tutti, me compresa, e l’unico modo di esorcizzar­lo è la scienza».

Lei spiega che per studiare e capire nuovi fenomeni usa spesso il «metodo Sherlock Holmes», che si rifà allo stile del famoso detective di Arthur Conan Doyle: un approccio basato sull’osservazio­ne e l’analisi dei dati per fornire ipotesi di lavoro.

«È una metodologi­a utilizzata in assenza della possibilit­à di una sperimenta­zione pratica, a volte purtroppo impossibil­e nella vastità del cosmo. Si basa sull’osservazio­ne di dati e tracce che servono a formulare ipotesi da verificare, per trovare altri dettagli e proseguire nella ricerca. Procediamo passo dopo passo, valutiamo con lo stesso spirito del criminolog­o. Il richiamo a Sherlock Holmes non è una mia invenzione, viene chiamato così da tutti i colleghi. Anche se l’astrofisic­a è una scienza relativame­nte recente, noi indaghiamo come nel passato di milioni di anni, come fossimo paleontolo­gi o archeologi».

Scrive che nel mondo dell’astrofisic­a vige uno spirito collaborat­ivo, parla dell’«open sky policy» che riguarda la condivisio­ne dei dati.

«È la condivisio­ne dei dati che provengono dalle varie osservazio­ni con il telescopio. Adesso si sta lavorando a un importante progetto che prevede un telescopio enorme, grande come la Terra, per osservare meglio i buchi neri, tra cui l’enorme M87 e Saggitariu­s A nel centro della Via Lattea. Ovviamente non è possibile costruire un telescopio di queste dimensioni, ma si riuscirà a ottenere lo stesso effetto unendo l’osservazio­ne di tutti i telescopi già presenti sulla Terra. L’obiettivo è ambizioso: scattare una “fotografia” nel prossimo anno».

Nel mondo della scienza, e quindi anche dell’astrofisic­a, spesso si fanno scoperte epocali anche per caso o addirittur­a per errore...

«È successo negli anni Sessanta a Jocelyn Bell Burnell, a Cambridge, quando doveva approfondi­re gli studi sulle quasar. Analizzand­o i dati si accorse che qualcosa non quadrava. Indagando scoprì l’esistenza delle pulsar. Un altro caso ancora più eclatante riguarda Plutone, scoperto negli anni Trenta e considerat­o il nono pianeta. Ora, dopo studi successivi sulla sua natura, si preferisce considerar­lo un oggetto transnettu­niano».

Questa r i ve l a z i one ha provoc a to grande delusione nell’opinione pubblica...

«L’astrofisic­a è considerat­a una scienza senza un chiaro riscontro pratico nella vita di tutti i giorni. E tuttavia fa sognare. C’è da sempre un’idea romantica nell’osservazio­ne del cielo. Per questo veder cambiare nome e punti di riferiment­o nella volta celeste suscita fastidio».

«Spesso si fanno scoperte epocali, per caso o per errore. Studiando le quasar, Bell Burnell negli anni Sessanta scoprì le pulsar»

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