Corriere della Sera - La Lettura
Serve anche Kant per capire il cielo
Sibylle Anderl spiega come l’approccio filosofico l’abbia aiutata a mettersi in rapporto con l’infinito «Studiare i pianeti sembra non avere un riscontro pratico con la vita di tutti i giorni, ma fa sognare»
«Tre anni isolata davanti allo schermo del computer a studiare e scrivere, perché il mestier e d e l l ’a s t r of i s i c o è molto diverso dalla versione avventurosa che si vede nei film. Poi quando è uscito il libro in Germania, ho iniziato il tour di presentazioni ed è stato bellissimo tornare fra la gente» dice Sybille Anderl a «la Lettura», collegata via Skype. La giova ne s c i e nzi a t a te desca, s t udi osa di astrofisica e filosofia, è autrice di L’universo e io, un saggio in cui parla, con passione e competenza, di nebulose, teoria della relatività, galassie, onde gravitazionali, satelliti, protostelle e buchi neri, alternando descrizioni scientifiche ad aneddoti curiosi. Gli scienziati, oggi, sanno che farsi comprendere è un loro dovere e per riuscire è consentito anche usare esempi semplici. Così per parlare della radiazione cosmica di fondo, Sybille Anderl ricorda quando John Mather, astrofisico americano, premio Nobel per la Fisica nel 2006, paragonò la difficoltà dello studio della radiazione elettromagnetica che permea l’universo, considerata prova del Big Bang, all’istantanea di un alieno catapultato in uno stadio di calcio super affollato, per capire la razza umana. Vede uomini, donne, vecchi, giovani, alti, bassi, magri, tranquilli o esagitati, persone diversissime che non sa collocare nello spazio-tempo, non ha idea di come si siano evoluti, di come siano arrivati lì. Ecco, gli astrofisici, alle prese con la radiazione cosmica di fondo, dice Sibylle Anderl, si sentono più o meno nella stessa confusione.
Nel suo libro parla dell’indeterminatezza in molti fenomeni e cita studiosi, scienziati e soprattutto filosofi. Tra i contemporanei Ian Hacking e tra i classici Immanuel Kant. L’approccio filosofico quanto è importante per capire l’universo? «C’è stato un connubio fra scienza e filosofia fin dai tempi più antichi, ed è giu- sto che sia così perché i grandi dubbi dell’uomo sull’origine della vita sono patrimonio comune di entrambe le discipline. L’approccio filosofico mi ha aiutata a capire meglio, ragionare in profondità, riflettere più lentamente e accettare anche le incertezze connaturate in certi fenomeni. A mettermi costantemente in discussione. Gli studi di Ian Hacking sull’indeterminatezza e l’antirealismo dell’astrofisica hanno rappresentato una sfida, mentre nel pensiero di Kant, ne La critica della ragion pura, ritroviamo il concetto che riguarda l’idea di rapportar-
si con l’infinito. Questo timore è qualcosa che riguarda tutti, me compresa, e l’unico modo di esorcizzarlo è la scienza».
Lei spiega che per studiare e capire nuovi fenomeni usa spesso il «metodo Sherlock Holmes», che si rifà allo stile del famoso detective di Arthur Conan Doyle: un approccio basato sull’osservazione e l’analisi dei dati per fornire ipotesi di lavoro.
«È una metodologia utilizzata in assenza della possibilità di una sperimentazione pratica, a volte purtroppo impossibile nella vastità del cosmo. Si basa sull’osservazione di dati e tracce che servono a formulare ipotesi da verificare, per trovare altri dettagli e proseguire nella ricerca. Procediamo passo dopo passo, valutiamo con lo stesso spirito del criminologo. Il richiamo a Sherlock Holmes non è una mia invenzione, viene chiamato così da tutti i colleghi. Anche se l’astrofisica è una scienza relativamente recente, noi indaghiamo come nel passato di milioni di anni, come fossimo paleontologi o archeologi».
Scrive che nel mondo dell’astrofisica vige uno spirito collaborativo, parla dell’«open sky policy» che riguarda la condivisione dei dati.
«È la condivisione dei dati che provengono dalle varie osservazioni con il telescopio. Adesso si sta lavorando a un importante progetto che prevede un telescopio enorme, grande come la Terra, per osservare meglio i buchi neri, tra cui l’enorme M87 e Saggitarius A nel centro della Via Lattea. Ovviamente non è possibile costruire un telescopio di queste dimensioni, ma si riuscirà a ottenere lo stesso effetto unendo l’osservazione di tutti i telescopi già presenti sulla Terra. L’obiettivo è ambizioso: scattare una “fotografia” nel prossimo anno».
Nel mondo della scienza, e quindi anche dell’astrofisica, spesso si fanno scoperte epocali anche per caso o addirittura per errore...
«È successo negli anni Sessanta a Jocelyn Bell Burnell, a Cambridge, quando doveva approfondire gli studi sulle quasar. Analizzando i dati si accorse che qualcosa non quadrava. Indagando scoprì l’esistenza delle pulsar. Un altro caso ancora più eclatante riguarda Plutone, scoperto negli anni Trenta e considerato il nono pianeta. Ora, dopo studi successivi sulla sua natura, si preferisce considerarlo un oggetto transnettuniano».
Questa r i ve l a z i one ha provoc a to grande delusione nell’opinione pubblica...
«L’astrofisica è considerata una scienza senza un chiaro riscontro pratico nella vita di tutti i giorni. E tuttavia fa sognare. C’è da sempre un’idea romantica nell’osservazione del cielo. Per questo veder cambiare nome e punti di riferimento nella volta celeste suscita fastidio».
«Spesso si fanno scoperte epocali, per caso o per errore. Studiando le quasar, Bell Burnell negli anni Sessanta scoprì le pulsar»