Corriere della Sera - La Lettura
Quel che resta di Solženitsyn in Russia e... in Occidente
A cent’anni dalla nascita, i fan di Stalin lo odiano e rispolverano vecchie calunnie. Ma i critici elogiano il valore delle sue opere, oltre le ideologie
Nel Novecento cinque scrittori di lingua russa sono stati insigniti del Nobel, ma su uno solo infuria tuttora la discussione: Aleksandr Solženitsyn, di cui l’11 dicembre ricorre il centenario della nascita. La sua opera più famosa, Arcipelago Gulag, in Russia viene bollata come «il libro che ha ingannato il mondo», lui è dipinto come «il maestro del saper sputare per primo», qualcuno lo accusa di aver collaborato con il Kgb, altri non gli perdonano il tono sbagliato assunto dopo il rientro in patria. «Continua a far discutere perché l’Unione Sovietica non è finita», spiega Dmitrij Bykov, specialista di letteratura russa, alla radio Eco di Mosca: proseguono a suo avviso gli effetti della propaganda comunista, che sparse molte calunnie contro lo scrittore. D’altronde quando si chiede ai russi chi sono stati i personaggi più eminenti nella storia, al primo posto si piazza Iosif Stalin, poi vengono a pari merito Vladimir Putin e il poeta Aleksandr Puškin, quindi Vladimir Lenin. La popolarità dei dittatori comunisti spinge molti a difenderli dalle accuse di Solženitsyn, che ne svelò i crimini in tutta la loro portata.
Nel 2009 l’inserimento di Arcipelago Gulag nei programmi scolastici, voluto da Putin, fece scalpore. Le maestre con le quali abbiamo potuto parlare raccontano però di aver cominciato a leggere in classe brani di altre sue opere — Una giornata di Ivan Denisovic e La casa di Matrjona — molto prima, negli anni Novanta, senza bisogno di delibere del governo. Arcipelago Gulag invece, secondo loro, va fatto leggere ai ragazzi in occasione di eventi specifici. Per questo alcune scuole (non tutte) organizzano visite al Museo del Gulag, gite nei luoghi di sepoltura delle vittime, nei centri di detenzione e nei monasteri trasformati in lager già nel 1918, come racconta Solženitsyn.
L’influenza dello scrittore prima del suo rientro in patria era enorme. Lo conferma la lettera aperta che nel 1973 inviò ai dirigenti sovietici, pubblicata all’estero dopo la sua espulsione dall’Urss nel 1974: un testo di spessore unico che rispecchiava il suo pensiero sui problemi del Paese. È interessante ricordare l’analisi critica che allora ne fece il fisico Andrej Sakharov, il più noto dissidente (Solženitsyn non si considerava tale). Riconoscendo gli enormi meriti e l’autorevolezza dello scrittore, lo scienziato notava però la sua tendenza a considerare solo le sofferenze dei russi, mentre le repressioni del regime avevano colpito anche «gli altri popoli dell’impero sovietico». Inoltre, secondo Sakharov, l’autore di Arcipelago Gulag dava troppa importanza alle ideologie. Nell’Urss dell’epoca il fisico vedeva piuttosto un uso strumentale del marxismo, accompagnato dalla repressione di ogni pensiero critico. Sakharov notava inoltre che per Solženitsyn restava accettabile la conservazione di un regime autoritario, purché fosse garantita la libertà di coscienza. Lo scrittore riteneva che la Russia non fosse pronta per la democrazia, e il fisico era convinto che la vis i one nazi onali s t a e i s ol a z i onist a di Solženitsyn, dettata da un romanticismo nazional-patriarcale, lo portasse a compiere errori seri, rendendone le proposte utopistiche e potenzialmente pericolose.
Solženitsyn senza dubbio fu ascoltato da una parte dei dirigenti sovietici, quelli nei quali, come lui scriveva, c’era «paura della dipendenza dall’Occidente e delle trasformazioni democratiche». Nel 1990, alla vigilia del crollo dell’Urss, il suo saggio Come ricostruire la nostra Russia fu accolto con grande attenzione e stampato subito in migliaia di copie. Alcuni suggerimenti furono presi al volo: «Non vogliamo un’altra rivoluzione, un forte potere del presidente ci sarà utile per tanti anni ancora»; «La vita politica non rappresenta l’aspetto più importante. Più vivace è la vita politica, più soffre la vita spirituale». Solženitsyn criticava anche la Chiesa ortodossa, che a suo avviso doveva «rinunciare alle ricchezze», «liberarsi dal giogo dello Stato» e ricreare un legame con i sentimenti del popolo. Inoltre chiedeva di ripristinare gli zemstva, forme di autogoverno locale, forse la sua proposta più utile e urgente, rimasta finora del tutto inattuata.
Solženitsyn tornò a Mosca il 21 luglio 1994, attraversando in treno tutto il Paese dall’Estremo Oriente. A Vladivostok, dove toccò il suolo russo, sorge ora un monumento. Lungo il viaggio fu accompagnato dalla Bbc, che girava quotidianamente reportage su quel percorso che assumeva a mano a mano un carattere teatrale. Poi nacque l’idea di affidargli una trasmissione televisiva tutta sua, che si rivelò un errore. Le riprese si giravano nella biblioteca della sua casa dove era stato arrestato nel 1974. Solženitsyn leggeva testi scritti e imparati a memoria, che poi pronunciava davanti alla telecamera. Erano pensieri sofferti da decenni, confidava la sua visione della Russia ferita nell’anima e cercava di aiutare la gente a ritrovare fiducia. Ma sembrava che recitasse una sorta di lezioni e il pubblico non lo apprezzò: dopo qualche mese la trasmissione fu soppressa. La vedova Natalia Dmitrievna sostiene che «il microfono gli fu tolto perché era molto critico nei confronti delle riforme di Eltsin».
Le riviste letterarie erano irritate dal suo atteggiamento, lo rimproverarono di «dare consigli a tutti, agli scrittori, ai contadini, al governo, addirittura alla stessa Terra russa». Alcuni osservarono che intromettendosi nelle questioni poli- tiche perdeva credibilità. Andò anche a Togliattigrad per chiedere che la città cambiasse nome, come Leningrado che era tornata a chiamarsi San Pietroburgo, ma gli abitanti non lo ascoltarono.
Nel frattempo uscirono le sue opere complete in 30 volumi, compresa la ricerca dedicata ai rapporti russo-ebraici Duecento anni insieme (1795-1995). Lo scrittore spiegò nell’introduzione al libro il suo desiderio di offrire «la ricerca di tutti i punti della comprensione reciproca e tutte le vie verso il futuro ripulite dall’amarezza del passato».
La sua eredità è percepibile e senz’altro presente nelle opere che sono diventate spettacoli teatrali o serial televisivi. A dicembre la Fondazione gestita da Natalia Dmitrievna organizza un convegno internazionale a cui parteciperanno studiosi da molti Paesi, compresa l’Italia. Sempre in occasione del centenario sarà inaugurato il museo nella casa dove fu arrestato per essere espulso all’estero. Finalmente Mosca avrà un suo monumento sulla via che ne porta il nome.
Bykov sintetizza così il suo giudizio: «Quando Solženitsyn polemizza con il sistema è uno scrittore notevole, quando polemizza con la morte diventa uno scrittore grande». Per questo il suo romanzo Divisione cancro è straordinario: pur avendo un contenuto filosofico, rimane coinvolgente, affascinante, stilisticamente perfetto. Solo adesso, con il passare degli anni, forse si capisce che è in realtà la sua opera migliore. Secondo Bykov la narrativa di Solženitsyn rimane ancora sottovalutata in patria e probabilmente verrà riscoperta, anche perché la forza del genio di un artista viene confermata d a l l a r e a z i o n e e moti va c h e s u s c i t a . Solženitsyn provoca l’ammirazione di alcuni e l’odio di altri: ciò conferma il suo spessore e il suo talento. Se un autore piace a tutti, è probabile che dica solo banalità pronunciate autorevolmente.