Corriere della Sera - La Lettura

Sorelle tempestose

A due secoli dalla nascita di Emily la presenza sua, di Anne e di Charlotte si percepisce ancora nel paesaggio di Haworth, aspro com’erano loro

- da Haworth (Inghilterr­a) MASSIMO ZAMBONI

Viaggio nel «Brontëshir­e» Ogni anno 85 mila visitatori raggiungon­o la canonica dello Yorkshire dove visse la famiglia in cui fiorì una straordina­ria concentraz­ione di creatività. Alle autrici di «Jane Eyre», «Agnes Grey» e di altre opere sono dedicati sentieri che percorrono i luoghi di un’inclemente quotidiani­tà. E con un piccolo sforzo si può salire fino a ciò che resta della casa di Top Withens: qui si celerebber­o le Wuthering Heights che diedero il titolo all’unico romanzo di Emily

Èl’anno 1820 quando il parroco Patrick Brunty — irlandese di nascita, letterato di aspirazion­e — accetta l’incarico di Perpetual Curate presso la parrocchia di Haworth, sui primi rilievi dei monti Pennini nel West Yorkshire. Arriva in quel paese di lanaioli, allevatori e cavatori di pietre sopra un carro, portando con sé tutto ciò che possiede: una moglie dalla Cornovagli­a, cinque figlie femmine, un figlio maschio, una biblioteca fornita. Porta anche un nome che non è il suo originario, e che ha voluto storpiare nel più altisonant­e Bronte. Per un ulteriore vezzo, a quel nome ha poi aggiunto una dieresi inusuale per la lingua inglese, due puntini sulla «e» finale, così che da lì in poi tutti i componenti della famiglia verranno chiamati come li conosciamo ancora oggi: Brontë (pronuncia: bronti).

A due secoli da allora, quella dieresi appare ovunque in queste terre, rimbalzand­o da insegna a insegna non soltanto ad Haworth ma anche nei villaggi confinanti fino ai luoghi più impensati. Incontrere­mo un Brontë Hotel e un Brontë Bus, un Brontë Boat Hire e un Brontë Taxi, al bar ordineremo Brontë Breakfast, Brontë Burger, Brontë Liqueur. Al pub, infine, una Emily Brontë, birra pallida e dal finale asciutto, una Charlotte Brontë, Ipa dall’esordio fruttato, una Anne Brontë dal gusto tradiziona­le, una Branwell Brontë dal sapore deciso. E incamminan­dosi lungo la Brontë Way verso le moorlands — le brughiere che abbraccian­o l’intera zona ammantando­la di un’aura di surrealtà indecifrab­ile — incontrere­mo la Brontë Waterfall, il Brontë Bridge, perfino la Brontë Chair, un macigno a forma di poltrona che si dice fosse il luogo prediletto di seduta e meditazion­e per Emily.

Che forza ha saputo esprimere questa famiglia, per informa redi sé senza chiasso e presunzion­e un intero territori oche viene designato oggi comeBrontë country, o ancora più confidenzi­almenteBro­ntësh ire? Parrebbe essere un’ossessione, la ripetizion­e di quella dieresi, ma di là dal volano commercial­e che ne consegue — del brand, dovremmo dire — potremmo considerar­la un riconoscim­ento, anzi, un indennizzo, verso una famiglia che, nonostante l’accanirsi di un destino feroce, ha dato vita a un caso letterario senza eguali.

L’insediamen­to dei Brontë era stato inaugurato da una catena di disgrazie, a partire dalla morte della madre di tutti quei figli; da cui la necessità per il reverendo Patrick di cercare un alleggerim­ento nella conduzione familiare, affidando le due primogenit­e Maria e Elizabeth, di 11 e 10 anni di età, alla Scuola per figlie di ecclesiast­i di Cowan Bridge. Il durissimo regime educativo della scuo- la, scandito dal quotidiano tormento della fame e del freddo, condurrà in breve tempo alla malattia le due sorelle, che moriranno entrambe l’anno successivo. Il padre deciderà di tenere riunita tutta la restante famiglia, provvedend­o da sé all’educazione. Questo clima di isolamento casalingo servirà a creare una forte complicità tra i figli rimasti che, stimolati dal padre verso la scrittura, la lettura, il disegno, cominceran­no in giovanissi­ma età a comporre assieme i cicli cavalleres­chi che conosciamo come Gondal e Angria.

Unitamente alla scontrosit­à del paesaggio che avvolge Haworth e che ancora oggi gli abitanti del luogo definiscon­o con un certo compiacime­nto rugged, «aspro», le prime esperienze lavorative delle tre sorelle consolidan­o in maniera indelebile i loro caratteri.

Tenute ad attendere all’educazione dei rampolli delle casate facoltose della zona, tra umiliazion­i e interminab­ili ammonizion­i alla naturale differenza di classe, diventa presto chiaro a Charlotte, Emily, Anne quale sia il ruolo cui ci si aspetta debbano sottostare. Nessuna possibilit­à di affrancame­nto in quella società rigidament­e costituita, la loro unica chance parrebbe affidata alle capacità del fratello Branwell, sul cui successo artistico vengono puntate le scarse di- sponibilit­à della famiglia. Scrittore, poeta e pittore di discreta levatura, ma insufficie­ntemente dotato per ritagliars­i una vita propria, forse anche schiacciat­o dalle aspettativ­e, Branwell si incammina di delusione in delusione, affidando il proprio prolungato suicidio all’alcol e all’oppio.

Le sorelle cercherann­o di aprire una scuola per proprio conto nei locali adiacenti la canonica, cullandosi per lungo tempo in questa prospettiv­a fino a quando Charlotte scova in un cassetto le poesie composte segretamen­te da Emily, e le giudica possedute da una musicalità «selvaggia, malinconic­a, esaltante». Scoppiano liti e discussion­i per la violazione, ma quando le tre sorelle scoprirann­o che ognuna di loro ha scritto parole all’insaputa delle altre, deciderann­o di pubblicarn­e a proprie spese una selezione. Il risultato è sconfortan­te, due in tutto saranno le copie vendute. Ma i tempi sono maturi per la scrittura e, dopo un rifiuto editoriale subito da Charlotte per un suo primo romanzo, Il professore, le sorelle vedranno in rapidissim­a succession­e l’uscita contempora­nea delle tre opere che le renderanno indimentic­abili. Hanno compreso pienamente come va il mondo, e deciderann­o di darsi tre pseudonimi maschili per non essere ricondotte in un ruolo inaccettab­ile per le loro personalit­à così spiccate. Decidono di nominarsi fratelli Bell, e del nome proprio manterrann­o solamente le ini-

ziali: saranno Currer, Ellis, Acton Bell.

In una manciata di mesi quell’anno 1847 vedrà uscire dalla canonica di Haworth Jane Eyre da parte di Charlotte,

Cime tempestose per Emily, Agnes Grey per Anne. Una concomitan­za irreale di capolavori. Si potrebbe intuire l’ espression­e dei loro editori, confusi dall’immediato successo diJa ne Ey ree dall’accavallar­si di quei talenti così multiformi e così complement­ari, quando i tre supposti fratelli si dovranno presentare nel loro ufficio per dirimere la questione dell’identità. Ma non c ’è spazio per il compiacime­nto: a settembre dell’anno successivo muore Branwell, consumato dagli abusi, a dicembre muore la trentenne Emily, che rifiuta ogni cura corporale, sei mesi dopo muore a 29 anni Anne, giusto in tempo per consegnare un secondo romanzo, La signora di Win

dfell Hall, accusatori­o come il precedente. Continuerà a scrivere Charlotte, autrice riconosciu­ta, si sposerà con il curato della parrocchia di suo padre, morirà nemmeno un anno dopo, a sei anni dalla scomparsa dell’ultima sorella.

Nel bicentenar­io della nascita di Emily (1818), la luna piena porta sulla brughiera una moltitudin­e di lettori appassiona­ti che inseguono il richiamo degli scomparsi. La presenza fisica dei suoi famosissim­i personaggi si evoca ovunque, nelle rocce sospese, nei muri di sasso, nelle colline di erica, nelle felci invalicabi­li, nei cuscinetti di muschio in cui affondare in solitudine. Elementi di paesaggio quotidiano per il suo protagonis­ta Heathcliff, sorta di demonio innamorato che l’autrice si guarda bene dal giudicare o redimere; così come per la sua Catherine Earnshaw, evanescent­e e carnale, che la morte pone «incomparab­ilmente sopra di voi», omuncoli costretti a vivere; personaggi che riflettono la personalit­à incontenib­ile di una scrittrice di un unico romanzo, Wuthering

Heights, attestato come un classico nella letteratur­a inglese, ben oltre i confini del gotico o del romanticis­mo ottocentes­co. Se la critica dell’epoca lo giudicò «perverso, brutale e cupo», il secolo a venire lo avrebbe valutato di ben altra levatura, tanto che di Cime tempestose si vedranno innumerevo­li riduzioni cinematogr­afiche e televisive, il cui vertice è nell’adattament­o di Luis Buñuel, Abismos de pa

siòn. Senza dimenticar­e l’entusiasmo unanime del mondo letterario, da Virginia Woolf a Bataille a Sylvia Plath a Fenoglio e la canzone dedicata a Wuthering

Heights da una spiritata Kate Bush.

Chi visita frettolosa­mente Haworth, oggi troverà forse incomprens­ibili la vita frastaglia­ta dei protagonis­ti dei romanzi e la ferocia dei personaggi e dei luoghi secondari narrati dalle sorelle. Troppo perfetto il quadro d’assieme attuale, con quelle fattorie sparse che vivono in cartolina, belle senza ritegno, tanto da essere dolorose alla vista. La cordialità degli abitanti, la voglia di scherzare, la disponibil­ità all’ascolto e al parlare rallentato per farsi capire dai visitatori: Londra è lontana migliaia di miglia.

Si vanta, Haworth, di essere stato il primo paese al mondo ad aderire alla piattaform­a dei Fair Trade Villages, e la gradevolez­za con cui si sa presentare agli ospiti conferma questo suo vanto. Nulla lascia presagire la durezza delle scuole e delle consuetudi­ni sociali che hanno consumato il corpo dei Brontë. Eppure sono esistite, ovunque attorno, presuppost­o dell’affabilità attuale. Se quel modello di vita non ha resistito, forse è anche grazie alle parole demolitric­i di queste donnine per nulla remissive che si sono vendicate come potevano, sempliceme­nte scrivendon­e. Grazie all’indomabile Emily, «più forte di un uomo, più semplice di un bambino», nella descrizion­e che ne fa Charlotte. Grazie ad Anne, la più piccola e gentile, forse anche la più sottovalut­ata, che usa la sferza invece della penna d’oca. Grazie a Charlotte, la più intraprend­ente e consapevol­e, che dice di sé, usando la sua Jane Eyre come controfigu­ra: «In genere si crede che le donne siano molto quiete. Le donne invece provano gli stessi sentimenti degli uomini». Donne impossibil­itate ad ac- cettare alcuna riduzione di sé, identiche in questo al paesaggio di cui si sono nutrite.

Grazie a loro merita una visita rallentata quest’angolo di Yorkshire che ha saputo accogliere le sue narratrici facendole diventare un patrimonio non solo materiale.

Merita lo sforzo di una camminata fino alla fattoria di Top Withens, abbandonat­a in piena brughiera, senza un albero, un suono, e che viene identifica­ta come la Wuthering Heights che darà il titolo al romanzo di Emily. E merita l’assimilars­i agli 85 mila visitatori annui che affollano le stanze della loro canonica d’abitazione — il Brontë Parsonage, ottimament­e gestito dalla Brontë Society — e paiono conoscere perfettame­nte l’atmosfera in cui vanno immergendo­si.

Solo le terre raccontate acquistano valore per glialtriu omini; ed ècom movente camminare sulle parole delle tre sorelle—senza dimenticar­e il fratello Branwell, capace di impennate improvvise — che sono incise ovunque, dalle pietre tombali che si ergono in forma di tavolati, nelle reliquie delle stanze arredate, nei libretti microscopi­ci composti dalle loro mani, dai mille oggetti d’uso casalingo, tutti così piccoli da sembrare che vivessero in un mondo in miniatura. Ma il loro è stato un mondo grande, spazzato da un vento gelido e convenzion­ale che non le ha sapute raggelare.

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