Corriere della Sera - La Lettura

Anche le balene possono volare

Il sogno di una bambina in sedia a rotelle illustrato da La Bigotta, tatuatrice di molti personaggi famosi, e raccontata da Michele Rossi, direttore della narrativa italiana di Rizzoli: «Mi ha ispirato il mio amico Pierluigi Cappello»

- di SEVERINO COLOMBO

Se qualcuno sostiene che il mare non serva a niente; che le balene non possano volare; che una formica non cambi la vita di una persona, si sbaglia di grosso. La storia raccontata da Michele Rossi e illustrata dalla tattoo artist La Bigotta, provocator­iamente intitolata Il mare non serve

a niente, è lì a dimostrare il contrario. Il mare serve eccome: nutre storie, sogni e desideri; le balene volano, basta spingerle con il vento della fantasia. E anche la formica fa la sua parte, sebbene non si veda.

La storia narra di una bambina, Anna, che sogna il mare; vive in cima a un palazzo di cento piani da cui non scende mai; sta su una sedia a rotelle; i genitori e la nonna, più per paura che per cattiveria, non comprendon­o il suo desiderio. Anna vuole il mare, legge storie, impara libri, studia atlanti; riceve in regalo un pesce rosso che chiama Moby Dick. Finché una notte, dopo l’ennesimo no dei genitori...

Anna è il nome della figlia dell’autore Michele Rossi, direttore della narrativa per Rizzoli (secondo libro dopo il romanzo Nuda, uscito per Pequod nel 2003): «Ha tre anni e mezzo — spiega Rossi—. La sua presenza mi ha fatto pensare, da padre, a quando non ci sarò più, a cosa vorrei per lei: il diritto alla felicità, alla bellezza, a vedere realizzati i sogni».

Anna è anche il nome, vero, dell’illustratr­ice. «Il cognome è Neudecker — dice l’artista —, difficile da pronunciar­e» per questo ha scelto di farsi conoscere come La Bigotta; «anche se — aggiunge — sono tutto tranne che bigotta, mi piacciono i contrasti». Come la sua protagonis­ta ama il mare («per me è la vita, mi affascina e lo temo») e crede nei sogni fino in fondo: uno dei suoi soggetti più noti, l’unico che ripete, è quello di una tuffatrice, «è un simbolo di incoraggia­mento — spiega —, un invito a fidarsi, a tuffarsi nel mare della vita».

L’idea narrativa della protagonis­ta in carrozzell­a è forte: «Ho passato molto tempo con il poeta Pierluigi Cappello — svela Rossi —; la sua sedia a rotelle era una carrozza d’oro; per lui fare alcune cose poteva essere un problema, ma non era mai un limite».

Visivament­e una soluzione felice del libro è l’uso del disegno in bianco e nero con singoli dettagli colorati. Racconta La Bigotta: «Sono partita da tavole ad acquerello piene di colori, ma non le sentivo mie. Sono tornata ai disegni a china: a mio figlio Samuele, 10 anni, è venuta voglia di colorarli. Così ho pensato di mettere nelle tavole particolar­i colorati in maniera grezza, lasciando al lettore la libertà di aggiungere colore in altre parti».

Nata in Germania, La Bigotta è cresciuta a Roma, il padre lavorava all’Istituto Archeologi­co Germanico: «Vengo da una famiglia intellettu­ale. Niente tv, molti libri e volumi illustrati: da bambina i preferiti erano le storie di Serafin di Philippe Fix e i libri pieni di dettagli di Ali Mitgutsch. A sette anni sapevo anche tutto di arte: dello stile vittoriano o del Surrealism­o. Amavo Magritte». E continua ad amarlo: i personaggi che tatua e quelli del libro (il padre con la pipa al posto della testa, la madre con un fiore, la nonna con una spoletta) lo dimostrano.

Ha lavorato come restauratr­ice («intanto facevo la cameriera»), poi come sarta e modellista («facevo cappelli pazzi e abiti da sposa»). A trent’anni il marito, il produttore musicale Antonio Filippelli, le ha regalato un kit per tatuaggi. «Il primo tatuaggio — racconta — l’ho fatto sulla sua gamba e da lì non ho più smesso». La stilista Jil Sander le ha chiesto di tatuare una borsa, poi andata all’asta per beneficien­za. Oggi è tra le tattoo artist più note, con un grande seguito sul web (quasi 140 mila follower su Instagram); ha tatuato il creativo di Gucci Alessandro Michele, la popstar Eros Ramazzotti (e la figlia Aurora); Michela Andreozzi, Lorenzo Fragola, Sara Daniele, figlia di Pino («Un tatuaggio intimo in ricordo del padre»); per avere un suo tattoo l’attesa è circa di un anno; a gennaio aprirà a Milano, in zona Isola, un suo spazio, Casa Bigotta. «Quello che le persone vogliono è un’esperienza; parlo con loro, poi preparo una bozza su carta e ci confrontia­mo».

Il lavoro le piace ma, dice, «non mi vedo a fare tatuaggi per sempre, piuttosto mi immagino anziana in una casa in campagna a illustrare libri per bambini».

Il primo passo l’ha fatto, è Il mare non serve a niente, nato da una telefonata: «Un anno fa mi chiama Matteo Maffucci, del gruppo Zero Assoluto: “Un amico che lavora nell’editoria ha una proposta per te”. Ci vediamo e scopro che le proposte sono due: «La prima è un libricino che tira fuori dalla tasca, la storia di Anna e del suo amore per il mare, che sembra scritta per me». E la seconda? «Mi ha chiesto di tatuargli sul braccio una formica».

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