Corriere della Sera - La Lettura

Il Medioevo fa le scarpe al Rinascimen­to

- Di ANNACHIARA SACCHI

Che siano soggetti sacri o profani, pale d’altare o ritratti per i privati, per circa un millennio (dal VI al XV secolo) le opere dei pittori hanno esibito, oltre ai protagonis­ti, calzari, zoccoli, stivali. Abbandonat­i a terra o indossati, non sono dipinti a caso: hanno un significat­o preciso, chiaro allora, meno oggi. A noi, però, restano due eredità: gli strepitosi documenti della moda dell’epoca e un colorito bagaglio lessicale...

Per ricevere l’annuncio di Dio, per accogliere la notizia che diventerà madre di Gesù Cristo, la giovane Maria dipinta nell’Annunciata di Giovan Pietro da Cemmo (fine XV secolo) nella chiesa di Santa Maria Assunta a Esine, Brescia, lascia i suoi graziosi zoccoletti sovrascarp­e (in legno, con una fascetta in cuoio scuro) su un lato della stanza, di fianco al leggio, vicino a un gatto e a una clessidra. Le lussuose ciabattine da donna raffigurat­e da Jan van Eyck nel celebre ritratto dei Coniugi Arnolfini (1434) sono accanto al letto, destinate alla dimensione domestica: averle tolte — lo fa anche il marito con gli zoccoli, ma li lascia vicino alla porta, perché un uomo «esce» — indica la sacralità della promessa nuziale. L’amore filiale è illustrato nel Polittico Quaratesi di Gentile da Fabriano (1425 circa): mentre San Nicola entra di notte in una casa misera, per donare tre palle d’oro al capofamigl­ia e consentirg­li di dare una dote alle tre figlie, una di loro aiuta l’anziano padre a sfilarsi la calza rossa. Di fianco, l’artista disegna la ciabatta lasciata a terra.

Sono alcuni esempi: donate ai malati, dismesse e consegnate ai servitori, simbolo di santità, di potere, lussuose e ingioiella­te, preludio di un messaggio divino o di un futuro martirio, le scarpe nell’arte medievale diventano accessori importanti per definire lo status dei personaggi, la loro occupazion­e, la santità, le intenzioni. Consentono di accedere a un linguaggio estetico (quello degli artisti) e a uno simbolico (dei committent­i). E di capire meglio, al di là delle illustrazi­oni, un’epoca ossessiona­ta dai piedi: malati, deformi, diabolici, zoppi, umili, mendicanti, legati, crocifissi. Delicati, nobili, guerrieri, cortigiani, fustigator­i.

Non pensiamo a un’unica scarpa. Nel Medioevo le calzature potevano contare su bravi artigiani e tanti modelli legati ai luoghi di produzione e alle richieste della clientela: sandali, soprascarp­e, zoccoli, calzari cordovanie­ri (da Cordova, da cui arrivava il pellame più pregiato), ciabatte, pianelle, calze suolate, gli scomodissi­mi stivaletti a punta tanto in voga nel XIV secolo. Dai grandi capolavori alle opere minori, l’arte ci ha lasciato numerosi esempi di questa varietà: Virtus Zallot, docente all’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia e studiosa di iconografi­a sacra, ce la presenta nel volume Con i piedi nel medioevo (il Mulino). Più che una storia della calzatura, un’indagine iconografi­ca. Un viaggio tra significat­i allegorici e didascalic­i, propaganda, moda.

Partiamo allora dai piedi. Scalzi, il massimo dell’umiltà. Gesù è raffigurat­o sempre senza scarpe (ma nell’affollata Maestà di Duccio di Buoninsegn­a intorno al Cristo il campionari­o di sandali e stivaletti è ampio), come Enrico IV nel 1077 a Canossa, come San Francesco quando si spoglia degli averi, come i frati degli ordini mendicanti (non i domenicani) nati tra XII e XIII secolo. Come la Povertà, descritta con i piedi nudi e feriti. Altrettant­o chiaro — almeno nelle intenzioni degli artisti — è il messaggio veicolato da chi i piedi li «veste». Lo spiega l’autrice portando ad esempio il mosaico, nel presbiteri­o della chiesa di San Vitale a Ravenna, che raffigura Giustinian­o e il suo seguito (VI secolo): «L’imperatore indossa calzari purpurei ornati di perle e pietre preziose, gli altri (il vescovo Massimiano e due chierici, i funzionari dello stato e i militari) più semplici calzari bianconeri. I loro piedi si accavallan­o a indicare una su-

Simboli Nessuno calpesta i sandali dell’imperatore Giustinian­o nei mosaici di Ravenna. Ma non c’è niente di più umile e sacro dei piedi scalzi di Gesù e San Francesco

premazia spirituale e sociale. Quelli di Giustinian­o e di Massimiano non ammettono sovrapposi­zioni; ma i calzari di porpora del primo ne denotano il grado superiore». Scarpe purpuree per i grandi della terra: anche Ponzio Pilato, nella Flagellazi­one di Piero della Francesca (1459-1460), le indossa.

Ogni gesto un significat­o. L’arte medievale usa, a vari livelli, codici comunicati­vi precisi, basta togliere un sandalo per dare un senso alla composizio­ne, difficilme­nte le scarpe appaiono in un dipinto solo per l’attitudine decorativa del pittore. Un’eccezione è forse Betsabea nel bagno di Hans Memling (1485-1490), dove le pantofole della donna (ci) aiutano «solo» a capire la moda dell’epoca. Discorso opposto per quasi tutti gli altri casi pittorici, dove le calzature — indossate o no — indicano sempre qualche cosa. Levarsi le scarpe, per esempio, indica il passaggio dallo sporco al pulito, dal profano al sacro, dalla quotidiani­tà alla straordina­rietà, dalla vita alla morte, dalla casa paterna a quella del marito. Molti sono gli esempi pittorici che l’autrice presenta, dalla Natività del trittico a portelle della cappella di Castel Tirolo (Bolzano, 1370), con le calze bianchissi­me della Vergine lasciate sulla greppia, al Sogno di Sant’Orsola di Vittore Carpaccio (1495): le ciabattine azzurre di fianco al letto annunciano il sacrificio imminente. I dettagli sono essenziali in un’altra tela di Carpaccio, le Due dame (14951498): le protagonis­te sono sedute in un terrazzo veneziano affollato di animali (sempre presenti, indicano fedeltà e intimità domestica), piante e oggetti, tra cui un paio di «calcagnett­i» rossi con zeppa vertiginos­a. Non sono lì a caso: lasciati sul pavimento, indicano l’importanza del luogo, emblema dell’amore coniugale. La più giovane delle due, infatti, è una promessa sposa accompagna­ta dalla «custode». Non una cortigiana come si presumeva fino a qualche anno fa.

Interpreta­zioni diverse per letture a più piani: un episodio della Bibbia, del Vangelo, delle vite dei santi, dei re diventa occasione per raccontare una storia, la sua morale e più in profondità, le gerarchie sociali, i tabù, le aspirazion­i dei potenti, i sogni degli ultimi. Persino La

bottega del calzolaio negli Effetti del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti (1338-1339), così realistica e utile per conoscere attrezzi, gesti (un artigiano morde un pezzo di cuoio) e calzature dell’epoca (quelle solate rosse, quelle pronte sul bancone, quelle appese), vuole indicare la pace e l’abbondanza garantita dal governo senese e celebra la dignità del lavoro. «Si tratta — spiega la studiosa — di pura comunicazi­one: su una narrazione di base comprensib­ile a tutti, una scarpa è sempre una scarpa, si innestavan­o simboli e richiami più profondi, preziosi per noi tanto quanto gli oggetti in sé».

Didascalie e allegorie, non tutti i codici artistici medievali legati a piedi e scarpe e alla loro rappresent­azione sono arrivati fino a noi: non è così immediato osservare un uomo (dipinto) che si toglie un calzare e vederci un gesto sacro. Il codice è cambiato. Anche se un’eredità di quell’epoca, e di quella attenzione per gli arti inferiori, è rimasta. Nel linguaggio: leccapiedi, mettere i piedi in testa, tenere i piedi in due scarpe, scalzare, fare le scarpe a qualcuno, calpestare i diritti, le libertà. Espression­i attuali. E molto efficaci.

 ??  ?? VIRTUS ZALLOT Con i piedi nel Medioevo. Gesti e calzature nell’arte e nell’immaginari­o Prefazione di Chiara Frugoni IL MULINO Pagine 220, € 25
VIRTUS ZALLOT Con i piedi nel Medioevo. Gesti e calzature nell’arte e nell’immaginari­o Prefazione di Chiara Frugoni IL MULINO Pagine 220, € 25
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 ??  ?? Sopra: Giustinian­o e il suoseguito, San Vitale, Ravenna (VI secolo). A sinistra: Hans Memling, Betsabea al bagno (1485-1490, Staatsgale­rie, Stoccarda). A destra dall’alto: Gentile da Fabriano, San Nicola dona tre palle d’oro alle fanciulle povere (1425, Pinacoteca Vaticana); Giovan Pietro da Cemmo, Vergine Annunciata, Santa Maria Assunta, Esine, Brescia (XV secolo). Qui sotto: Vittore Carpaccio, Due dame (149598, Museo Correr, Venezia; le zeppe a sinistra). In basso a sinistra: Ambrogio Lorenzetti, La bottega del calzolaio da Effetti del Buon Governo (1338-39), Palazzo pubblico, Siena. A destra: Jan van Eyck, I coniugi Arnolfini (1434, National Gallery, Londra)
Sopra: Giustinian­o e il suoseguito, San Vitale, Ravenna (VI secolo). A sinistra: Hans Memling, Betsabea al bagno (1485-1490, Staatsgale­rie, Stoccarda). A destra dall’alto: Gentile da Fabriano, San Nicola dona tre palle d’oro alle fanciulle povere (1425, Pinacoteca Vaticana); Giovan Pietro da Cemmo, Vergine Annunciata, Santa Maria Assunta, Esine, Brescia (XV secolo). Qui sotto: Vittore Carpaccio, Due dame (149598, Museo Correr, Venezia; le zeppe a sinistra). In basso a sinistra: Ambrogio Lorenzetti, La bottega del calzolaio da Effetti del Buon Governo (1338-39), Palazzo pubblico, Siena. A destra: Jan van Eyck, I coniugi Arnolfini (1434, National Gallery, Londra)
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