Corriere della Sera - La Lettura
Così Tintoretto riciclava sé stesso
La mostra veneziana a Palazzo Ducale rivela i segreti e il metodo di lavoro del pittore, che cambiava la tipologia e l’identità delle figure. Un procedimento moderno
Il vescovo è nudo (ma con la mitra in testa). Santa Caterina è un uomo (ma vestita come un doge). La bella Elena è San Lorenzo (ma senza la graticola d’ordinanza). E ancora: una Natività riciclata da una precedente Crocifissione, come dimostrano il gesto più di allarme che di gioia di Sant’Anna, lo sguardo distante (quasi oltre i confini della stessa tela) del vecchio pastore, la «bassa qualità» dei Magi e delle altre figure che completano la nuova composizione e che, con tutta probabilità, sarebbero state aggiunte da un assistente.
La mostra che il Palazzo Ducale di Venezia dedica a Jacopo Tintoretto per i 500 anni della nascita ( Tintoretto 1519-1594, fino al 6 gennaio) permette di lanciare uno sguardo indiscreto dentro la bottega dell’artista. O meglio, sul suo metodo di lavoro, un metodo che ammetteva (molto prima della Gioconda di Duchamp e della Venere di Botticelli secondo Warhol) il diritto alla replica, al recupero, al riadattamento. Insomma al riciclaggio, con i dovuti e necessari adattamenti, di opere magari rifiutate o ritenute non particolarmente riuscite.
Senza paura, il giovane Tintoretto (quello che l’Autoritratto del 1546 ci restituisce in tutta la sua determinazione) come il vecchio (quello che l’Autoritratto del 1588 ci mostra invece nella sua dolente rassegnazione) decide che niente del suo talento può andare perduto («Tintoretto è come un granello di pepe che copre tutti gli altri sapori» scriveva un contemporaneo). I curatori della mostra veneziana (Robert Echols e Frederick Ilchman) riescono a dimostrarlo mettendo a confronto le grandi tele come il San Marziale in Gloria (1549), il Sant’Agostino che risana gli sciancati (1550 circa) o la Creazione degli animali (1553 circa) con i disegni preparatori spesso di piccole dimensioni che Tintoretto realizzava, a differenza di altri suoi contemporanei, non per venderli ma come bozze per altri suoi lavori in grande scala. Anche se sono soprattutto le radiografie a confermare questo (nobile) riciclaggio.
Lo Studio di un nudo maschile stante prestato dal Museum Boijmans van Beuningen di Rotterdam è un esempio del continuo gioco di sovrapposizione: basato su un modellino di creta o cera (un’altra delle procedure tipiche di Tintoretto), viene realizzato diverse volte, sia sul fronte che sul retro di un foglio che, poi, viene di nuovo utilizzato, girando il foglio di novanta gradi, per un altro bozzetto. Sempre seguendo la lezione di Michelangelo: si dice che Tintoretto studiasse costantemente i modelli in scala ridotta delle Parti della Giornata nelle Cappelle medicee che aveva acquistato per sé, disegnandoli a lume di candela alla ricerca di violenti effetti di chiaroscuro.
I personaggi di Tintoretto nascono quasi sempre come «uomini» (nudi) per poi diventare «donne» grazie a un minuzioso lavoro di vestizione. Dietro il Nudo maschile con mitra degli Uffizi si nasconde così uno dei protagonisti del Matrimonio mistico di Santa Caterina. Sembra che in origine Tintoretto avesse dipinto un soggetto veneziano tradizionale, il doge in adorazione della Vergine Maria e di Gesù Bambino, accompagnato da San Marco e altri santi, in questo caso il Battista e un santo vescovo, forse Agostino, che in virtù della posa e del copricapo, sembra derivare proprio dal bozzetto degli Uffizi. E sempre la radiografia indica che, sotto la testa di Santa Caterina, Tin- toretto aveva precedentemente dipinto un doge di Venezia, col corno a punta, di cui la santa conserva tutti o quasi i paramenti dogali (bottoni a forma di nautilo).
A che cosa è dovuto il cambio di soggetto? Possibile che l’intraprendente Tintoretto, nemmeno trentenne, avesse realizzato il quadro per speculazione, senza una commessa, poco dopo l’elezione del doge Francesco Donà (nel 1545). O forse il dipinto fu rifiutato. Tintoretto stesso aggiunse la ruota di Santa Caterina e senza dubbio ridipinse anche la testa per adattare l’opera a una nuova funzione (il volto rubizzo della Santa che vediamo oggi sembra essere stato realizzato da un’altra mano ancora). Come d’abitudine, Tintoretto avrebbe disegnato il modello come se fosse stato un nudo, aggiungendo gli abiti in una fase successiva. Tra le altre leggende raccontate dalla mostra: quella della rapidità di Tintoretto nel disegnare e, al contrario, della estrema lentezza nella manovra di arredo con stoffe preziose, gioielli fastosi, acconciature nobilissime.
Il confronto tra il Martirio di San Lorenzo (di cui esistono due versioni, quella esposta proveniente da una collezione privata e una più grande oggi nella Christ Church Picture Gallery di Oxford) e Il ratto di Elena svela un altro (bellissimo) esempio di riciclo: la figura di Elena è basata sullo stesso disegno utilizzato per il San Lorenzo dei due dipinti sul suo martirio (foto sopra: rettangoli A) e per il demone maschile in basso nelle Tentazioni di Sant’Antonio (in origine Elena aveva addirittura lo sguardo rivolto verso l’alto proprio come il santo). Ma Tintoretto non si ferma qui: il carnefice subito a destra del santo è presente anche nel Ratto (foto sopra: rettangoli B) insieme a quell’arciere che, a sua volta, compare altre due volte nel mondo di Tintoretto, nella Liberazione di Legnano e nella Battaglia del fiume Taro.
vescovo è nudo (ma con la mitra in testa). Santa Caterina è un uomo (ma vestita come un doge). La bella Elena è San Lorenzo (ma senza la graticola d’ordinanza). E una «Natività» viene riadattata da una precedente «Crocifissione»